LE FOTO S. MARIA C.V. Il cimitero chiuso, il mercato aperto e “ammucchiato”. Quello che il sindaco Mirra non ha il potere di discriminare

1 Novembre 2020 - 13:35

SANTA MARIA CAPUA VETERE (g.g.) – Sulla scia del nostro articolo di ieri mattina (clicca qui per leggere), qualche nostro lettore di Santa Maria Capua Vetere ha ritenuto, bontà sua, di mettere a disposizione quello che è senz’altro un ausilio giornalistico. Una documentazione fotografica che mette insieme le immagini riguardanti il cimitero della città totalmente vuoto per effetto di quello che abbiamo definito sempre ieri la prima ordinanza della storia firmata e non pubblicata sull’albo pretorio, nel sito istituzionale, bensì solamente in Facebook che a questo punto assume anche valore legale sostituendo gli strumenti finora in vigore per la pubblicità degli atti amministrativi, e dall’altra parte gli scatti, pressoché live di quello che sta avvenendo in questi minuti nell’area mercato.

Ieri, abbiamo scherzato un po’ con il sindaco Antonio Mirra che sicuramente è uomo di spirito qual è (o no?) e non se ne sarà sentito turbato. Oggi invece scherziamo un po’ di meno, per evitare che, magari, chi sta lì a leggere e non sottilizza, non coglie la scelta retorica dell’ironia, della satira, sia portato a pensare che si tratti di cose di poco conto, di problemi secondari che tutto sommato non investono più di tanto sull’analisi e di una valutazione serissime sulla responsabilità di un sindaco e di un’amministrazione comunale.

In realtà non è così: chiudere il cimitero nei giorni storicamente dedicati alla commemorazione dei defunti è un provvedimento molto serio, molto importante. Bisogna parlarne e scrivere in maniera da far capire a chi legge che si tratta di un altro momento di altissima straordinarietà che, attraverso la modificazione radicale di attività nelle quali si esprime la più pura identità culturale di un popolo, di una nazione, di una comunità deve necessariamente comunicare a tutti il segno di una presa d’atto definitiva, solida e consolidata (nei mesi scorsi non c’era ancora, di qui le imprudenze dell’estate) di star vivendo, per effetto del Coronavirus, una fase storica assolutamente epocale.
La commemorazione dei defunti qui da noi è infatti retaggio, cultura e ancor prima che tradizione. Riguarda l’area degli affetti biologici, e non è neppure destinata a relativizzarsi, a ridurre con il passar del tempo, con l’avvicendarsi delle generazioni, il suo grande carico emotivo dato che in linea di massima il dolore e il legame che si ha per un congiunto, per un affetto che non c’è più è, nell’anno 2020, sovrapponibile al dolore che si provava per gli stessi motivi nel 1820.

E dunque, affrontando la questione in maniera meno scherzosa, ci sentiamo di rimproverare il sindaco Mirra, sempre costruttivamente e offrendogli ampia facoltà di replica (che lui non utilizza mai, ma questo non è colpa nostra), per aver banalizzato questa sua decisione, magari fondata, sicuramente discutibile ma rispettabile, decidendo di comunicarla solo attraverso lo strumento social di Facebook, pure efficace ma sicuramente leggero, spesso friabile e permeabile, rispetto ad ogni apporto valido o non valido, vero o falso che accoglie al suo interno.

Il discorso sulla rispettabilità della decisione va fatto, perché di per se il volume del contagio è talmente cresciuto da non rendere eccessiva, a questo punto, alcuna misura di prevenzione e di contenimento. E allora, nel momento in cui scriviamo della chiusura del cimitero di Santa Maria Capua Vetere quale fatto a se stante, è sicuramente importante sottolineare gli aspetti della piena legittimità e anche di una certa fondatezza della decisione assunta da Antonio Mirra.

Però, se sei costretto, in questo caso, per dovere e non solo per diritto di cronaca, a mettere insieme le foto di un cimitero desolatamente chiuso nei giorni dedicati alla pietà del ricordo, con altre foto, scattate pressoché contemporaneamente di un mercato all’aperto pienamente in funzione, allora anche il discorso della legittimità e ancor di più quello sulla fondatezza della decisione di chiudere il cimitero, devono essere, giocoforza, messi in discussione. Si stenta a credere, infatti, che si tratti della stessa città, che si tratti dello stesso comune, che si tratti dello stesso sindaco. Ma le foto che pubblichiamo, parlano, come si suol dire, da se e non lasciano adito a dubbi di sorta: è vero che le persone indossano la mascherina, e ci mancherebbe pure, con tutto quello che sta succedendo, ma è anche vero che si sviluppa un costante contatto fisico, che poi è tipico dei mercati all’aperto, rispetto al quale anche le mascherine, il loro uso diligente, potrebbe finire per non bastare. Mettiamo che stamattina siano 30mila incroci (ovviamente il numero è espresso per difetto perché è chiaro che ognuno dei 5mila presenti si incrocerà molte più di 6 persone) a verificarsi tra le bancarelle, diamo per buona anche l’ipotesi che, nelle altrettante situazioni di incrocio, capiti che per 29990 volte le mascherine servano a neutralizzare il fatto che le bocche, i nasi e le persone siano continuamente a distanza ravvicinatissima. In un contesto così connotato da un punto di vista numerico ci sta tutto che uno su 1000, diciamo 2 su mille, si calino la mascherina per grattarsi il naso. Risultato: su 5mila visitatori escono solamente 10 contagiati, mentre ripetiamo, in altri 29990 situazioni le mascherine, il che è tutto da dimostrare, evitino spargimenti di goccioline nebulizzate. Sapete cosa significa questo in termini di catene epidemiche? Altri centinaia, forse addirittura migliaia di contagiati in un momento in cui le autorità non riescono neppure più, a messo e non concesso che in passato ci siano riuscite, a controllarle queste catene.
Nel cimitero ci sono le ragioni dei propri affetti della propria cultura, della propria identità familiare e non solo; nel mercato abitano le ragioni dell’economia, del pericolo di povertà che tocca i commercianti ambulanti e non solo. Sono entrambe grandi ragioni. Quelle del cimitero, infatti, non sono ragioni dei morti, ma quelle dei vivi, che vivono anche per dare onore alla memoria di chi li ha generati e li ha preceduti; nel mercato ci sono altri vivi che rischiano però di passare nel novero dei morti rispetto alla speranza di una vita dignitosamente spesa.

Insomma, non c’è differenza. E si tratta di un argomento talmente serio che non potrà certo essere la figura, pur importante di un sindaco, ad arrogarsi il potere di individuare un punto di discrimine che non sta né in cielo, né in terra.