IL FOCUS. OSPEDALE DI CASERTA. Infermieri e Oss trattati come animali: ecco quello che gli tocca per diritto e che non gli viene riconosciuto

15 Marzo 2021 - 19:04

Pensate un po’ che ad ottobre scorso il direttore generale Gaetano Gubitosa ha firmato il contratto integrativo aziendale, assumendo degli impegni economici e temporali che non ha mantenuti. Tutti i fronti caldi

CASERTA (g.g.) – La situazione in cui versa il personale del Comparto dell’Ospedale Civile di Caserta neutralizza ogni valutazione di tipo ideologico su quello che ormai è diventato l’annoso dibattito relativamente a ciò che può essere considerato il punto di equilibrio tra efficienza e diritti, tra produttività che si relaziona ad un agire professionale, il quale poi sviluppa la rivendicazione, la richiesta, nel momento in cui ha garantito una cifra di produttività quantomeno decente.

All’Ospedale di Caserta il problema non si pone perché il livello di riconoscimento del lavoro di infermieri, operatori socio sanitari, di tecnici è poco più che eccedente a quello di una cotoniera della Virginia negli anni immediatamente precedenti alla guerra di Secessione americana. Per cui anche il sottoscritto, da posizioni liberali e moderatamente liberiste non nutre per il pubblico impiego il massimo dell’ammirazione, non può non convenire sulle ragioni di questi lavoratori, trattandosi della vera e propria negazione dell’A-B-C. E il termine mitico “sfruttamento“, che evoca per definizione un approccio ideologico ai temi da noi appena esplicitati rappresenta, parliamo sempre dell’Ospedale di Caserta, un dato di fatto che è tale in quanto la sua dimostrazione prescinde da sensibilità e da soggettività di tipo politico.

La Pianta organica, questa sconosciuta

Negli ultimi giorni abbiamo già pubblicato due articoli (CLICCA QUI PER LEGGERE IL PIU’ RECENTE) sul modo con cui sono trattati i 688 componenti del Comparto attualmente in servizio e che lavorano in una condizione che deve sopperire ad una carenza del 36% di unità professionali, visto che la cifra messa nero su bianco è di 1.069 dipendenti. Articoli, i nostri, che dimostrano, numeri alla mano, che l’ospedale Sant’Anna e San Sebastiano tradisce se stesso quando rende inapplicata la Pianta Organica, che non è uscita dall’albero di melo, bensì da un Piano Aziendale approvato – dentro ad un più ampio Piano regionale ospedaliero – dalla giunta De Luca.

Facciamo finta di rassegnarci a questa angheria, sulla quale oggi ci soffermiamo molto di più rispetto al passato in quanto il Piano aziendale è relativamente recente, essendo datato novembre 2018, e allora non si può andare molto al di là degli ultimi due direttori generali e soprattutto di quello attuale, arrivato in un momento in cui dovevano essere maturate le condizioni per intraprendere un cammino chiaro, trasparente, sicuro verso la copertura dei posti previsti in pianta organica. Gaetano Gubitosa, infatti, viene messo al comando dell’azienda ospedaliera Sant’Anna e San Sebastiano nel giugno scorso, dopo la prima ondata di coronavirus. Dunque, quando con lucidità e cognizione di causa si sarebbero potuto convogliare tutte le buonissime intenzioni espresse non solo dalla regione, ma anche dal governo, per arricchire gli organici dei comparti, anche andando sopra le cifre delle dotazioni delle piante organiche. Al contrario, non solo i numeri sono rimasti impietosi, perché il 36% di postazioni carenti è roba veramente da denuncia ai carabinieri, ma non si è proceduto – a differenza di quello è successo in tante altre aziende ospedaliere e sanitarie campane, a partire dall’Asl Caserta – con un vero, organizzato reclutamento straordinario di emergenza (al di là di qualche toppa messa), finalizzato a fronteggiare le ondate del covid che poi, come si è visto, a partire da ottobre sono state esponenzialmente più potenti e più diffuse di quella iniziale, partita nel febbraio 2020.

Però noi facciamo finta di rassegnarci. Va bene, infermieri, Oss, tecnici: schiattate, che poi ve ne sarà reso merito nel Regno dei Cieli. Però, quantomeno, dategli quello che già vi siete impegnati personalmente a dare. E invece niente.

Il contratto integrativo, che “pacco”!

Gubitosa in persona, la sua penna, firma il 31 ottobre scorso il contratto integrativo aziendale, che viene certificato con una formale delibera dello stesso direttore generale. Roba solenne, insomma. Senza scomodare l’onore delle parole date e altre cose che appartengono ad altre epoche e ad altri uomini, limitiamoci a valutare giuridicamente quella firma, apposta congiuntamente a quella dei rappresentanti di tutte le sigle sindacali, cioè Nursing Up, Cgil, Cisl, Uil, Fials.

Badate bene che questo contratto integrativo concedeva piccole cose attese dal personale del Comparto da più di tre anni e che erano sempre state promesse e mai avviate.

Prima fra tutte: la progressione di categoria. Significa che all’interno dei reparti c’è personale che svolge mansioni collegate ad un altro trattamento professionale, ad un altro trattamento economico rispetto a quello significativamente più basso ricevuto in busta paga. Mansioni di categoria BS (Operatori socio sanitari) ancora oggi inquadrati, cristallizzando ciò che era previsto nell’assunzione – ma solo per i diritti, non certo per doveri – nella categoria A (operatori specializzati). I quali non sarebbero abilitati a svolgere mansioni che solo gli Oss possono fare e che invece le hanno sviluppate nel loro quotidiano orario di lavoro, senza che fosse riconosciuto il trattamento economico corrispondente. Stesso discorso per gli autisti di ambulanza, i quali vengono pagati oggi come categoria BS, cioè Operatori socio sanitari. Avete mai visto un Oss che svolge la complessa funzione di autista-soccorritore? No, non si vede da nessuna parte, ma all’Ospedale di Caserta gli autisti dell’ambulanza sono pagati da BS, mentre dovrebbero essere categoria C.

Seconda questione: progressione economica orizzontale. Si tratta di un piccolo aumento in busta paga, solennemente sancito dal Contratto collettivo nazionale di Lavoro del Comparto e che dunque non poteva non essere recepito nel contratto integrativo aziendale. A Caserta ci sono voluti 13 anni affinché questa ricezione avvenisse (l’ultimo risale infatti al 2008), ma non per renderlo esecutivo. Ripetiamo, piccoli scatti di stipendio legati all’anzianità, con la possibilità di dare questa progressione ogni 24 mesi.

Ora, è vero che è questa cosa è facoltativa ed è legato alla cosiddetta “capienza”, cioè alla presenza in cassa di risorse, ma se nel 2020 l’Ospedale di Caserta riconosce, come ha riconosciuto, (naturalmente solo sulla carta) dopo ben 13 anni questa progressione, reperire questa benedetta, anzi, maledetta, capienza non è più una possibilità, ma un dovere della direzione strategica. In sostanza, da almeno tre contratti nazionali a questa parte – per quelli di prima non possiamo dire – è prevista la corresponsione della progressione orizzontale, ma dal 2008 ad oggi, cioè per l’appunto, da due/tre contratti orsono, questa, a Caserta, la medesima non è stata mai riconosciuta.

Contratto integrativo, ma c’è molto di peggio

Ma fosse solo questo! Fosse solo che a marzo 2021 nulla è stato fatto su tali questione, nonostante che il direttore generale avesse sottoscritto quel contratto integrativo nel quale si impegnava ad attivare questi riconoscimenti entro il 31 dicembre 2020. Fosse solo questo! Restano, infatti, insoluti altri nodi ancor più gravi.

E torniamo ad utilizzare il metodo cardinale dei “punti”.

Cazzeggiando un po’, diciamo punto uno bis: lo straordinario per continuità assistenziale. E’ una tipologia molto particolare di lavoro aggiuntivo, perché legata a necessità ed emergenze che si possono verificare nei vari reparti. Se c’è personale in ferie, in malattia, altro che utilizza la Legge 104, bisogna sopperire. All’Ospedale di Caserta hanno architettato il delitto perfetto. Lo straordinario per questo tipo di necessità viene imposto (perché poi vacci a parlare, senza un giubbotto antiproiettile, con un primario nel momento in cui questi si rende conto che c’è un solo infermiere rimasto in un reparto da 18/20 pazienti) ma, nonostante questo comportamento coattivo, non viene pagato. E così si risolve un problema come nemmeno succedeva ai tempi del latifondo messicano attaccato e battuto da Pancho Villa ed Emiliano Zapata.

Secondo punto bis: cos’è il Covid-19? Un banale raffreddore, un mal di pancia che guarisce con i fermenti lattici o la più insidiosa e mortale malattia infettiva degli ultimi 100 anni? Nel contratto nazionale esiste un articolo che proprio in casi di grave emergenze di questo tipo prevede il riconoscimento della cosiddetta “indennità da malattia infettiva. Ciò è messo nero su bianco nell’articolo 86, lettera c, dell’appena citato Ccnl di Comparto 2016/2018, quello ancora in vigore. Questo vuol dire che la norma esiste, che ci si è posti il problema che un contatto tra un infermiere, un Oss e un paziente che soffre di una malattia infettiva, non può essere trattato alla stessa maniera di altri contatti che si verificano in reparti diversi. Chi scrisse a suo tempo l’articolo 86 non immaginava nemmeno lontanamente cosa attendesse il mondo, l’Europa e l’Italia. In caso contrario, avrebbe previsto ancor di più di un’indennità di fronte al mega Lazzaretto costituitosi a causa del Covid-19. Quella norma, che per l’appunto “non immaginava…“, prevedeva infatti (leggete bene) la somma “stratosferica” di 5,16€ di integrazione giornaliera. Poco più di 100 euro al mese. Ebbene, anzi, emmale, all’ospedale di Caserta non viene neppure garantita questa doverosissima mini integrazione.

Lo scorrimento “incantato” di Gubitosa

Ultimo punto, il terzo – sempre nel cazzeggio – stavolta non bis, perché nell’inadempienze del contratto integrativo ci siamo fermati ai primi due punti. Scorrimento di graduatoria per i coordinatori. Trattasi della sostituzione della figura professionale una volta definita caposala, l’infermiere con grado maggiore e compiti di coordinamento del personale del comparto di una singola Unità operativa complessa, o di Dipartimento o Semplice. Sono otto i capisala andati in pensione all’ospedale di Caserta.

Domande al direttore generale: perché lei continua con i facenti funzione, che potranno anche essere persone valorosissime (ovviamente fino a prova contraria), ma che per definizione non possono essere una soluzione al problema, ma sono la massimo una soluzione che se viene trascinata al di là del tempo stretto occorrente alla sostituzione, diventa essa stessa il problema, nel momento in cui, senza aver maturato un titolo reale, questi facenti funzione te li ritrovi promossi grazie ad una vertenza di lavoro in quanto hanno svolto a lungo una mansione superiore?

Ci fa capire, direttore, per quale cavolo di motivo, dopo il concorso del 2019 per capisala, il suo predecessore ha operato lo scorrimento di graduatorie per due unità, che lei ha regolarmente controfirmato quale direttore amministrativo dell’epoca, e oggi siamo arrivati a ben otto facenti funzione e tutto viene bloccato? Quasi quasi ci viene lo sfizio di farci mandare da qualche anima buona il nome degli otto coordinatori potenziali che occupano le otto prime posizioni, per vedere se non ci sia qualcuno non gradito al regime.

Se esiste la categoria professionale dei coordinatori, vuol dire che per tale funzione occorre una figura che abbia i requisiti per guidare un reparto. La graduatoria è a portata di mano e per scrivere una delibera che consenta lo scorrimento ci vuole mezz’ora. Così facendo lei, direttore Gaetano Gubitosa, ha eletto la precarietà, l’approssimazione, un modello di gestione raffazzonato a sistema di governo dell’ospedale di Caserta.

E poi – ribadiamo il concetto già espresso in un altro nostro articolo appartenente a questo filone – lei, Gubitosa, era una persona che svolgeva la nobile professione di Finanziere con la fiamma gialla in uniforme, riteniamo che si sia laureato in qualcosa che abbia a che vedere con l’amministrazione. Siccome, noi, come cittadini-contribuenti, paghiamo 10/12 mila euro al mese lordi per finanziare lo stipendio di un direttore sanitario, che sta là per occuparsi di questioni sanitarie e che per fare ciò, esclusi premi e incentivi, incassa un 145 mila euro annui, ci spiega, e arriviamo all’ultimo quesito stavolta meramente retorico, perché lei, che non è un medico, ma un amministrativo che proviene da tali ranghi professionali, per quale motivo lei accentra tutte le decisioni medico-sanitarie, per le quali è necessaria una specifica competenza?

Dicevamo prima che, come abbiamo scritto nell’ultimo articolo, dipendesse da noi, per come vengono selezionati dalla Regione Campania i presunti manager della Sanità, agiremmo per limitare quantomeno il danno, vietando a chi non ha una laurea in Medicina l’accesso alla funzione apicale di direttore generale. Non perché in assoluto riteniamo che un non laureato in Medicina non possa svolgerla, ma perché i nostri presunti manager della sanità, per come sono stati selezionati, qualora siano medici, sono con ogni probabilità scadenti, figuriamoci se provengono da altri settori.