Ecco come il CLAN DEI CASALESI terrorizzava Venezia. Il boss al direttore di banca: “Se non ritiri gli assegni, ti squarto e ti apro le corna”
27 Maggio 2021 - 11:06
Si tratta di intercettazioni rese note nel corpo delle motivazioni della sentenza di condanna pronunciata dal tribunale della città lagunare
VENEZIA – Da un paio di mesi sono state rese pubbliche le motivazioni della sentenza di primo grado, pronunciata dai giudici di uno dei collegi del tribunale di Venezia a carico dei partecipanti e dei sodali di una cellula del clan dei casalesi, insediatasi in Veneto e imperniata sulla figura di Luciano Donadio, persona nota anche nell’agro aversano, visto e considerato che il suo nome compare nei verbali delle dichiarazioni rese dal collaboratore di giustizia Salvatore Laiso, il quale racconta della presenza del citato Donadio, proveniente per l’occasione dal Veneto insieme a Raffaele Buonanno, ai funerali di suo fratello Crescenzo Laiso, ucciso per ordine di Nicola Schiavone nel 2010.
Le motivazioni riguardano una sentenza del 12 novembre 2020 dopo diverse ore di camera di consiglio, nell’aula bunker allestita a Mestre. 24 condanne su 25 imputati, tra i quali non c’era Luciano Donadio, in quanto, evidentemente, aveva chiesto e ottenuto in precedenza di essere giudicato con il rito abbreviato. In questi giorni, nei giornali veneti che non hanno, buon per loro, la stessa dimestichezza che noi siamo costretti a maturare, stanno pubblicando delle intercettazioni avendole avute nella loro disponibilità solo in sede di pubblicazione delle motivazioni della sentenza.
Per cui intercettazioni telefoniche che magari erano già presenti nel testo dell’ordinanza a suo tempo eseguita su richiesta della Dda di Venezia, sono saltate solo dopo che il testo delle motivazioni è stato ritirato in cancelleria delle parti. I giornali veneti focalizzano molto la propria sulle vicende riguardanti il sindaco di Eraclea Graziano Teso processato e condannato a 3 anni e 3 mesi in quanto considerato colpevole di aver stretto un rapporto politico affaristico con la cellula del clan dei casalesi insediatasi in provincia di Venezia. Molto si parla da quelle parti anche del ruolo svolto da un altro imputato eccellente, l’avvocato Annamaria Marin, per la quale la Dda aveva chiesto una condanna più severa degli 8 mesi sentenziati dal tribunale, per quello che è un format a cui siamo, qui da noi, largamente abituati e che possiamo definire con una battuta, quello “degli avvocati piglia e porta” che ebbe nell’avvocato Michele Santonastaso, noto penalista di Caserta, con villone e tenuta in quel di Pozzovetere, una sorta di antesignano.
Io parlo col detenuto che mi dice delle cose anche un pò criptiche e io magari le comunico all’esterno a qualche parente, garantendomi così una puntualità nel pagamento degli onorari o anche qualcosa in più, come magari è successo all’avvocato Santonastaso.
Ma in questo processo c’erano diversi imputati originari delle nostre aree: ad esempio Antonio Puoti, nipote di Luciano Donadio e autore di un clamoroso sciopero della fame che lo ha portato a perdere in carcere ben 50 chili, decidendo poi in seguito di collaborare con la giustizia. Oppure anche Giacomo Fabozzi ed altri che potrete leggere nell’elenco dei principali condannati di quel processo che pubblichiamo in calce all’articolo. Per quanto riguarda le intercettazioni, con una certa apprensione e anche con un clamore tipico di chi non è abituato a fatti legati pesantemente all’incidenza stabile della criminalità organizzata, vengono pubblicati alcuni stralci con caratteristiche a cui noi siamo invece purtroppo largamente abituati.
Ad esempio, ieri è saltata fuori una conversazione telefonica tra Luciano Donadio considerato il boss di questo gruppo criminale ed un ex direttore di una banca che non aveva ceduto alle pressioni arrivategli dai camorristi. A questa persona, Luciano Donadio disse: “Pezzo di m…ritira gli assegni, hai capito? Sennò ti apro i corni. Se la ditta viene protestata io ti squarto come un porco. Dillo pure ai carabinieri. Ritira gli assegni, pezzo di m….“.