LA VERGOGNA E’ CONSUMATA. Raffaele “Lello” De Rosa rescinde il contratto con Roberto Vitale, vittima di due attentati. E sul ponte dello Stato di diritto sventola bandiera bianca

4 Ottobre 2022 - 13:49

Noi non vogliamo necessariamente sostenere che i nostri cento articoli dedicati a questa vicenda, le tonnellate di documenti da noi pubblicati negli anni, portino necessariamente le ragioni dalla parte di CasertaCE e dalla parte di questo imprenditore teverolese. Ma quello che possiamo rivendicare, anche alla luce di questo lavoro durissimo, su cui abbiamo impiegato ore, energie, studio, è che il sistema giudiziario di questo Paese ci dica almeno che da sette anni prendiamo fischi per fiaschi, che siamo dei visionari. Fino a quando sarà silenzio, questo qui si chiamerà, a nostro avviso, sopruso

TEVEROLA (g.g.) – Quello che è successo la scorsa settimana non rappresenterebbe una notizia di rilievo, dato che una determina firmata dal dirigente del comune di Teverola Raffaele De Rosa, per gli amici Lello, con cui questo ente rescinde unilateralmente il contrato con l’imprenditore Roberto Vitale, che da anni gestisce in città la pubblica illuminazione, costituisce l’ennesimo atto ostile, uno dei tanti in questi anni, e di per sé non rappresenta la conseguenza di una chiusura defintiiva dei conti che, invece, restano aperti, visto e considerato che Vitale non ha alcuna intenzione di arretrare nella difesa dei propri diritti.

Pur considerando questa rescissione come un atto transitorio e non decisivo, abbiamo deciso di occuparcene lo stesso.

Ciò perché la citata determina di De Rosa, pur non contando moltissimo per quelle che potranno essere le sue conseguenze a breve o a medio termine, conta eccome quale ennesimo episodio legato a tutto quello che il comune di Teverola sta facendo contro Vitale da otto anni a questa parte.

Un comportamento che non appartiene di certo alla sfera dei contenziosi giuridico-amministrativi nei quali c’è una tesi di un comune che ritiene il concessionario sia in una condizione di inadempienza contrattuale e dall’altra parte c’è l’impresa che confuta questa tesi e magari ribalta, imputando al contrario le responsabilità di eventuali inadeguatezze nell’erogazione del servizio ai cittadini a inadempienze della parte pubblica.

Niente di tutto questo. Qui il diritto, la legge, le norme non c’azzeccano nulla. O meglio, non c’azzeccano quelle relative alle possibili ragioni confliggenti e conflittuali tra due o più parti contrattuali, una di queste ente di diritto pubblico.

In realtà, ci azzeccherebbe un altro tipo di legge, un altro tipo di norma, cioè quella che ad anni di distanza da questi gravissimi fatti, non ha ancora prodotto risultati tangibili in modo da assicurare alla giustizia chi il 23 maggio 2019, manco a dirlo nel giorno dell’anniversario della morte di Giovanni Falcone, profanò e praticamente distrusse all’interno del cimitero di Teverola, infliggendoli ingenti danni, la cappella di famiglia di Vitale e chi nel novembre successivo, a circa sei mesi dal primo episodio, incendiò e distrusse gli uffici della sua società, la Vitale One.

Il fatto che noi di CasertaCE abbiamo sempre posto in connessione la vicenda della vera e propria persecuzione, subita da Vitale da parte dell’amministrazione di Teverola, con gli attentati e le azioni di intimidazione, non significa che questi fatti siano necessariamente collegati.

Ma siccome si sono consumati a Teverola, proprio durante le fasi più dure, più arcigne di questa contrapposizione, è lecito chiedere, a distanza di circa tre anni, se questa connessione, tutt’altro che scontata, ma neppure inverosimile, ci sia oppure no.

Noi ci limitiamo a pubblicare articoli e non ci sembra che nella Costituzione non ci sia scritto che sia CasertaCE l’attore dell’attivazione obbligatoria dell’azione penale.

Già tanto, anzi, tantissimo abbiamo raccontato su queste vicende. E constatare a 4/5 anni di distanza – perchè noi scrivevamo già diverso tempo prima degli attentati – che nulla sia stato messo a fuoco, scoperto, risolto, spiegato rappresenta per questo giornale l’ennesimo fatto deludente nella considerazione dell’attività degli organismi costituzionali in questa provincia.

E’ Roberto Vitale che è un pazzo? E’ lui stesso che ha dato fuoco al suo ufficio o ha distrutto le tombe dei suoi genitori? Ok. Ma se è così, ditecelo, in modo da spedire Vitale a processo con l’accusa di simulazione di reato e spedire anche il sottoscritto e questo giornale a processo, per plurime e reiterate diffamazioni.

Se, invece, come noi pensiamo, non è così e ad agire è stato qualche manovale della criminalità organizzata adeguatamente assoldato da persone al momento ignote, al pari dei manovali, pure dev’essere stabilito.

E’ Roberto Vitale ad essersi inventato tutto, ad avere simulato gli attentati? E’ invece Roberto Vitale vittima di intimidazione? Hanno a che fare questi episodi con la questione della pubblica illuminazione di Teverola? Qualcosa la giustizia deve dire. Va bene tutto, ma non il silenzio, il nulla che somiglia ad un insabbiamento che non è certo nelle intenzioni degli inquirenti, ma che si configura come la conseguenza fattuale di questa storia.

Nel momento in cui nessuno spiega chi, come, quando e perchè di quei fatti e di molti altri che hanno punteggiato questa incredibile storia, è normale che il comune di Teverola, è normale che il signor Raffaele De Rosa, per gli amici Lello, dirigente dell’Ufficio Tecnico, si senta incoraggiato ad andare avanti, con una determina di risoluzione contrattuale, con la quale il comune chiude unilateralmente il rapporto con Vitale, adducendo tutta una serie di motivazioni per le quali De Rosa e probabilmente il grande e storico tessitore di questa operazione, cioè l’ex sindaco Biagio Lusini, ritengono di aver trovato delle pezze a colore, delle ragioni giuridicamente sostenibili per dimostrare quelle che, a loro dire, costituirebbero le inadempienze contrattuali dell’impresa concessionaria.

Sapete perché non andiamo ad elencarvi queste motivazioni, che mettiamo comunque a disposizione dei lettori con il testo integrale della determina pubblicato in calce?

Perchè abbiamo dedicato decine di articoli e se andate su Google e cercate Roberto Vitale ne troverete molti in cui smontiamo punto per punto, senza mai aver ricevuto una replica, queste pseudo-ragioni ancora una volta riproposte nell’atto di cui sopra.

A pensarci bene, De Rosa ci ha impiegato diversi anni ed è chiaro che il comune di Teverola, sia dal tempo in cui Lusini era sindaco, ad oggi in cui lo è di fatto, abbia indugiato, considerando che il primo (e ultimo fin’ora) tentativo risale a ben sette anni fa quando un’altra dirigente, di cui parleremo a breve, firmò un atto speculare che poi non produsse alcuna conseguenza.

Troppe, evidentemente, le voci su clamorosi provvedimenti giudiziari che si sarebbero dovuti abbattere sulla politica teverolese e su chi negli uffici a questa regge la coda.

Negli ultimi mesi, questa lunghissima fase di stasi, questa lunghissima sequela di tuoni a cui mai ha corrisposto la pioggia di un temporale (della serie tanto tuonò che…non piovve), ha indotto il comune, dopo che proprio Lusini si è dimesso dalla carica di consigliere comunale, avvertendo forse in lontananza i rumori degli avamposti di sviluppi giudiziari ormai alle porte, a prendere coraggio e a ritenere che qualsiasi cosa possa fare nei confronti di Roberto Vitale, ciò comporterà al massimo il solito articolo di CasertaCE, a cui questi qua sono abituati e nulla di più, dato che quei rumori si ritengono ormai allontanati insieme al rischio di una pesante indagine giudiziaria sulla gestione del comune di Teverola negli ultimi dieci anni.

Questa determina sarà sicuramente impugnata davanti al Tar, nonostante il tentativo compiuto da De Rosa di ingarbugliare un po’ le carte, in modo da rendere, secondo il suo proposito e secondo quello degli avvocati che lo hanno consigliato, complicata l’individuazione del Tar quale tribunale del diritto amministrativo e quindi del diritto pubblico, come organismo competente a decidere, con la speranza che tutto poi venga passato alla giustizia civile e ai suoi tempi eterni, che è quella, per l’appunto, che appartiene e regola il diritto civile, cioè il diritto privato.

A nostro avviso, invece, non c’è al riguardo alcun dubbio sul fatto (per noi un dato di fatto) che il rapporto tra il comune di Teverola e la Vitale One sia definito dalle norme e dalla giurisprudenza delle concessioni. E siccome la concessione è la devoluzione di un’attività di pubblica utilità operata da un ente pubblico, dunque (scusateci la ripetizione di questo aggettivo, ma è fondamentale nella spiegazione relativa alle competenze degli organi giudiziari sulla vicenda) di diritto pubblico e dunque di diritto amministrativo, ad un’impresa privata, chiamata però a garantire un servizio stra-pubblico, non c’è dubbio che sia il Tar, ovvero un tribunale di diritto pubblico (promesso, è l’ultima volta che scriviamo la parola pubblico) il giudice naturale per l’impugnazione.

Giusto per dirvi cosa sia questa storia, ribadiamo, visto che ne abbiamo scritto prima, già nel 2015, cioè sette anni fa, quando era Lusini sindaco di Teverola, indovinate chi fu la dirigente che attuò il primo tentativo di rescissione del contratto alla Vitale One?

Ve lo diciamo subito: Carmen Mottola, stra-indagata e stra-implicata in una delle indagini di camorra più importanti della storia, ovvero quella sul centro commerciale Jambo, in cui la dirigente veniva accusata di essere pienamente a disposizione degli interessi del clan dei Casalesi e di Michele Zagaria in particolare, al punto da essere stata arrestata il 10 dicembre 2015.

In poche parole, uno degli ultimi atti amministrativi compiuti dalla Mottola prima di andare in carcere in una fredda mattinata del 2015 fu proprio il tentativo di rescissione del contratto a Vitale, poi revocato senza alcuna difficoltà dal Tar.

E pensate un po’ che la determina di De Rosa, pubblicata in calce a questo articolo, richiama proprio quella firmata nel 2015 e affondata in men che non si dica dal tribunale amministrativo della Campania.

Questa è la storia di Lusini, De Rosa, del comune di Teverola e dell’imprenditore Roberto Vitakle.

In conclusione, ribadiamo il concetto: noi, in questi anni, ci siamo formati un’idea precisa che dà ragione all’imprenditore e torto, molto torto, a Lusini e a De Rosa. Non allarghiamo in questo caso il discorso al comune di Teverola, perché, lo ribadiamo per la centesima volta in scienza e coscienza, a nostro avviso, si tratta di una vicenda personale.

Ma ribadiamo anche che CasertaCE non possiede, a prescindere, la verità nelle proprie tasche.

Diciamo anche che i cento e passa articoli da noi dedicati alle questioni e ai fatti sintetizzati in questo che state leggendo, siano pieni di cazzate e che nulla di quei pezzi sia vero. Non solo. Diamo per buona anche l’idea che Lusini e De Rosa siano stati solo indulgenti con il sottoscritto e con questo giornale nel momento in cui non hanno mai opposto una replica e soprattutto nel momento in cui non hanno presentato, a quel punto, bontà loro, una sola querela contro CasertaCE.

Diamo per buona, dunque, che CasertaCE è un posto di pazzi, una caratteristica che l’assimila a Vitale e alla sua azienda.

Però, è mai possibile che non ci possa essere una sanzione degli organi deputati a sancire sul fatto che noi siamo i pazzi, i diffamatori assieme a Roberto Vitale?

E’ mai possibile poi, che non si possa avere un responso, erogato dalle autorità preposte ad esprimerlo, sull’esistenza o sull’inesistenza di una connessione, non solo tra gli attentati raccontati e la guerra mossa dal comune di Teverola nei confronti dell’imprenditore, ma anche, ad esempio, tra uno dei due attentati, ovvero tra i pesanti danneggiamenti inflitti alla cappella di famiglia di Vitale nel cimitero di Teverola e il diniego, formale e formalizzato in una determina, opposto in quel periodo, sempre nel 2015, da “cotanta” signora Mottola rispetto alla richiesta di concessione (o permesso a costruire che dir si voglia) presentata dall’imprenditore per regalare una degna sepoltura ai suoi affetti più cari, cosa che poi riuscì a fare solo perché fu il Tar a demolire una scelta che la dirigente evidentemente aveva forzato (altrimenti il Tar le avrebbe dato ragione), andando a rappresentare una volontà politica personale e non certo il diritto amministrativo?

Il Tar demolì la determina Lusini-Mottola, una mano rimasta ancora indecorosamente ignota demolì, invece, materialmente, quella cappella.

Su questa vicenda, citando un verso del poeta e patriota veneto Arnaldo Fusinato, reso celebre poi da una famosissima canzone di Franco Battiato, “Il morbo infuria / il pan ci manca / sul ponte sventola / bandiera bianca”.

La bandiera bianca è quella dello Stato che, a differenza della Repubblica di San Marco, assediata e riconquistata dagli Austriaci nel 1848, non si arrende davanti alla fame, al pan che ci manca, né davanti al morbo, che potremmo individuare nel covid.

Al contrario, lo Stato si arrende difronte alla difficoltà, ai mille problemi che affliggono l’attività giudiziaria, la vita delle procure e dei tribunali, soprattutto in quelli e quelle della Campania.