CAMORRA & PENTITI per finta. Le motivazioni della Corte di Appello che ha confermato la confisca del complesso Night & Day all’ex politico Luigi Cassandra. E’ un riscontro ad un’intenzione che CasertaCe ha sempre definito sospetta

6 Ottobre 2022 - 13:51

Abbiamo seguito negli anni i due gradi di giudizio ed è per questo che abbiamo cercato, fino a trovarla, la sentenza dello scorso 4 maggio ma soprattutto le 38 pagine di motivazioni, depositate il 27 luglio. Ne viene fuori un quadro che, dipendesse solamente da ciò che i giudici del secondo grado affermano, dovrebbe comportare sin da subito la revoca del programma di protezione dei benefici che Cassandra ha ottenuto sin dal 2016, allorquando, dopo il verdetto di primo grado che sanciva la confisca del complesso immobiliare, lui convinse i magistrati della Dda di essere genuinamente pentito e di poter dare un contributo alla messa a fuoco di tante verità non venute mai fuori. E invece…

TRENTOLA DUCENTA – (g.g.) Ci sono fatti di giustizia che meritano di essere, come si suol dire, un attimo approfonditi, al di là dello scheletro della notizia su una sentenza o su un’altra decisione dell’autorità giudiziaria esposta giornalisticamente solo nei suoi elementi fondamentali.

In verità sarebbero, a nostro avviso, molti gli argomenti per i quali bisognerebbe andare al di là del semplice dispositivo di una sentenza o del semplice dispositivo di un rinvio a giudizio o piuttosto anche di una richiesta di rinvio a giudizio ma il tempo è quello che è e quindi bisogna selezionare moltissimo, visto che, nel caso di sentenze, l’unica strada per cercare di capire bene, o addirittura, fino in fondo, perchè questa ha assunto un suo connotato, è quello di leggere con attenzione le motivazioni della stessa quando i vari organismi giudiziari, tribunale in composizione collegiale (quelli in composizione monocratica non affrontano casi attinenti alla cosiddetta delinquenza organizzata) oppure una corte d’assise o, spostandoci dal primo al secondo grado, una corte di appello o la Corte di Cassazione depositano entro il termine di 90 giorni.

Chi ha seguito lo sviluppo del nostro racconto sui fatti giudiziari, sa bene che abbiamo approfondito, e non poco, soprattutto i contenuti di ordinanze, firmate dai vari gip, applicative di variegate misure cautelari limitative della libertà personale, e che inoltre colpivano in prima battuta il patrimonio dei clan malavitosi, con atti di sequestro, a scopo di confisca. Poco, invece, ci siamo dedicati al ragionamento, all’approfondimento autentico delle sentenze. Ciò a causa della difficoltà che si incontra nel reperire e farsi spedire dagli avvocati difensori o da quelli di parte civile, i testi di queste motivazioni che, essendo significativamente scollegate nel tempo alla iniziale lettura e propagazione del dispositivo, finiscono subito nel dimenticatoio.

I lettori di CasertaCe, e sono tanti, attivi ed appassionati di queste nostre scelte divulgative, sanno che Trentola Ducenta, soprattutto a partire dal dicembre 2015, dalla mattina del famoso blitz riguardante il centro commerciale Jambo, è diventato un target privilegiato del lavoro di questo giornale. E siccome a Trentola è stato attivo uno dei personaggi più controversi e a più alto peso specifico, in quanto la sua partecipazione ai processi politico amministrativi, dall’interno delle istituzioni democratiche rappresentative, ha costituito una delle manifestazioni più esemplari dell’infiltrazione, del condizionamento, di quello che potremmo definire il vero e proprio sequestro della democrazia, da parte del clan dei casalesi. Per tutti questi motivi, siamo costantemente attenti e vigili e quando c’è qualcosa riguardante Luigi Cassandra, già vicesindaco di questo comune e in tantissime occasioni assessore con ogni tipo di delega, alziamo le antenne. E lo facciamo anche di fronte alla conoscenza di particolarissimi dati riguardanti la sua biografia. Uno in particolare, che ci ha sempre colpiti: l’assunzione da parte sua della carica di assessore senza delega. Così capitò dal primo agosto dell’anno 2000 al 27 maggio del 2002, che a guardar bene è uno dei periodi più lunghi tra i tanti in cui Cassandra è stato un perno delle diverse amministrazioni comunali succedutesi.

Assessore senza delega, ovvero assessore con tutte le deleghe, ovvero ancora assessore agli affari interni della camorra, sorvegliante in nome e per conto di ogni atto amministrativo approvato dalla giunta comunale.

Noi non l’avevamo mai sentita e letta una cosa di questo genere. Sicuramente è successo che assessori alla nostra provincia abbiano litigato con i sindaci e questi, in prima battuta, in una fase magari immediatamente antecedente alla revoca del ruolo istituzionale, hanno avocato a sè le deleghe attribuite in precedenza. Ma siccome qui stiamo parlando di quasi due anni di durata della carica di assessore senza deleghe, i motivi sono stati sicuramente altri.

Senza dilungarci molto, anche perchè il personaggio e le sue vicende sono più che note, diciamo che Luigi Cassandra, è stato condannato nel 2016 in primo grado dal tribunale di Santa Maria Capua Vetere alla pena di tre anni e 6 mesi insieme al boss Michele Zagaria, destinatario di un tempo di reclusione speculare, per il reato di associazione a delinquere di stampo camorristico, finalizzato all’utilizzo dei provenienti illeciti del clan dei casalesi, per realizzare sin dall’inizio una propria attività economica, cioè il complesso immobiliare Night e Day di Trentola, in società di fatto con uno dei capi assoluti del clan dei casalesi, cioè Michele Zagaria.

In quella sentenza Marisa Costanzo, moglie di Luigi Cassandra, incassò una condanna più lieve ad un anno e 4 mesi, pena sospesa, per intestazione fittizia, non collegata, però, contrariamente a quello che era stato il capo di imputazione esplicitato dalla pubblica accusa e che aveva trovato riscontro in sede di udienza preliminare, all’aggravante che al tempo era qualificata dall’articolo 7 del decreto 203 del 91, favori alla camorra, poi assorbito nell’articolo 416 bis comma 1 del codice penale.

Assolti, invece, finirono gli altri imputati Gennaro e Gaetano Campanile, anch’essi rinviati a giudizio perchè considerati dai magistrati della Dda di Napoli, teste di legno di Cassandra. Ma l’elemento più significativo di quella sentenza, datata, ripetiamo, 2016, fu costituito dalla pesante pena patrimoniale, cioè dalla confisca del famoso complesso Nigth & Day, di proprietà di Cassandra e forse probabilmente anche in parte della moglie.

Quella confisca fu l’unica decisa dal tribunale di Santa Maria Capua Vetere che, al contrario, non dette seguito e non dette riscontro nel suo giudicato ai sequestri a scopo di confisca, a suo tempo, chiesti dalla Dda e ottenuti da un gip del tribunale di Napoli in sede di ordinanza e non riguardanti invece il Night & Day ma i patrimoni personali, finiti, ripetiamo sotto chiave al momento della esecuzione dell’ordinanza, di Assunta Cassandra, di Giuseppina Cassandra, di Francesco Pirozzi, esponente del clan Mallardo, divenuto collaboratore di giustizia e storico amico di Cassandra, e anche dei due già citati Gennaro e Gaetano Campanile.

Il momento fondamentale di questa storia è però successivo alla pronuncia della sentenza. Tre anni e 6 mesi, per di più da confermare eventualmente in appello o in Cassazione, non sono infatti un pena detentiva pesantissima. Cassandra avrebbe potuto gestirla con i suoi avvocati, riducendo poi al minimo l’eventuale afflizione carceraria. E’ anche vero che a suo carico c’era un altro o altri due processi, non ricordiamo bene, ma nell’economia di ciò che stiamo affermando non conta poi granchè stabilirlo, però diciamo che la sua decisione di diventare un collaboratore di giustizia rappresentò subito ai nostri occhi, un fatto anomalo quindi da attenzionare, proprio perchè il carico afflittivo della detenzione non si configurava ancora con connotati di grande pesantezza.

Allo stesso modo, non potemmo sostenere, pur avendola considerata una possibilità, che questo pentimento non fosse dovuto alla pena di 3 anni e 6 mesi, ma a quella della confisca di Night & Day.

La veste giuridica di collaboratore di giustizia è stato validato e garantito a Cassandra durante gli ultimi anni. Ma dalle sue prime dichiarazioni abbiamo capito che quel nostro sospetto, fondato anche sulla conoscenza del soggetto in questione che aveva fatto politica e che addirittura nel 2010 si era anche candidato alle elezioni provinciali, salvo poi ritirare informalmente quella sua candidatura, all’indomani di un articolo scritto da questo giornale, era più che fondato.

Cassandra, infatti, articola la sua collaborazione con queste modalità: da un lato, come scrivono i giudici della corte di appello di Napoli, che hanno reso noto il 27 luglio scorso le motivazioni della sentenza del 4 maggio con cui hanno confermato tutte le pene inflitte dal tribunale di Santa Maria Capua Vetere, ammette di essere stato un imprenditore appartenente alla scuderia di Michele Zagaria, da un parte ammette che i rapporti con quest’ultimo erano strettissimi sin dal 1995, addirittura afferma che Zagaria lo avrebbe autorizzato a spendere il suo nome in modo da evitare di pagare il pizzo richiestogli da altri gruppi afferenti al clan dei casalesi, in relazione proprio al cantiere di Night & Day da lui attivano proprio nel 1995.

L’unica cosa che Cassandra non ammette non rappresenta certo un dettaglio. Il concetto espresso è il seguente: io ho appartenuto, io sono stato imprenditore di Michele Zagaria, con lui ho intrattenuto rapporti amichevole e stretti dalla metà degli anni 90, ma il Night & Day è un qualcosa venuto fuori solamente grazie a mie risorse economiche personali, frutto dei proventi risultati da mie attività finalizzate all’evasione e all’elusione fiscale.

In poche parole, Cassandra avvalora, dà un senso, una credibilità alla sua decisione di diventare un pentito, ingolosisce anche gli inquirenti della Dda, spaziando anche su altre vicende ma allo stesso tempo la difesa strenua dell’investimento di Night & Day appaiono, almeno ai nostri occhi, come il vero motivo per cui Cassandra si è pentito.

Della serie, allo stato dò delle informazioni e in cambio lo Stato smonta, smobilita, stacca l’edificazione del complesso turistico di Trentola dall’intervento diretto ed economicamente connotato di Michele Zagaria.

Stando alla sentenza della corte di appello ma soprattutto alle motivazioni di questa, questo piano di Cassandra sembra essere miseramente fallito. E attenzione, non è che la corte gli respinge il ricorso sulla sentenza di primo grado e probabilmente se fosse questa stata costituita solo dalla condanna carceraria, Cassandra non avrebbe neppure presentato, ma coglie, come noi avevamo colto sin dal primo momento, mettendo insieme temporalmente la sentenza di primo grado e il momento in cui Cassandra aveva deciso di pentirsi, questo suo intento.

E cogliendolo, non usa certo riguardi nei suoi confronti ma soprattutto nei confronti del suo status di collaboratore di giustizia che, dipendesse dalle motivazioni addotte dalla corte di appello di Napoli, potrebbe essere sospeso o addirittura revocato anche domani mattina.

Le tesi esposte nel ricorso degli avvocati difensori di Cassandra e Zagaria vengono infatti letteralmente subissati dai motivi di contconfutazione esposti dalla Corte di Appello. Peraltro, questa cita nelle motivazioni, una per una, le collaborazioni fornite negli anni da altri pentiti. Non una, ma addirittura 10.

Gli avvocati e anche il garantista che è in me potrebbero dire: e no, dichiarazioni apparentemente consonanti, sovrapponibili di collaboratori di giustizia hanno prodotto guai e guasti inenarrabili sicuramente la peggiore vicenda di ingiustizia verificatasi dal dopoguerra ad oggi, cioè la vicenda arcinota di Enzo Tortora.

Attenzione, però: quando leggerete nello stralcio che vi pubblichiamo in calce, le dichiarazioni rese da Cassandra da Massimiliano Caterino detto mastrone, sicuramente l’esponente del clan dei casalesi, più vicino all’ex primula rossa di Casapesenna, da altri uomini collegati a quest’ultimo quali Attilio pellegrino, Pasquale Pagano, Michele Barone, a cui si aggiungo le propalazioni di altri camorristi pentiti che pur non appartenendo al gruppo di Zagaria, dimostrano di conoscerne ogni dettaglio operativo e organizzativo, quali ad esempio Giuseppe Guerra, condannato a 13 anni e mezzo e non all’ergastolo, in quanto pentito, per essere stato, non solo il concorrente in quel delitto ma anche il motivo dello stesso, visto e considerato che durante la fase stragista attivata da Giuseppe Setola, subito dopo essere riuscito a scappare dalla clinica lombarda in cui era ricoverato, visse uno dei suoi momenti più tragici con il duplice omicidio avvenuto a san Marcellino dell’autostrasportatore Antonio ciardullo e del suo dipendente Ernesto Fabozzi, avvenuto per punire il primo che nel 1998 aveva denunciato il bidognettiano Giuseppe Guerra per estorsione, determinandone l’arresto, Raffaele Piccolo, esponente di spicco della fazione di Nicola Schiavone, e arrestato per il triplice omicidio Minutolo, Papa e Bonanno, ordinato proprio dal figlio di Sandokan, nonchè tra gli accusatori di Nicola e Giovanni Cosentino nel processo Eco4, il quale attende, ancora oggi, l’ultimo verdetto della Corte di Cassazione.

A queste vanno aggiunte le propalazioni del collaboratore di giustizia di Trentola Francesco Cantone, molto utilizzato dentro all’ordinanza Jambo e fratello di Francesco detto malapelle, uno dei capi storici del clan dei casalesi nella piazza di Trentola. E quelle di Salvatore Laiso il quale, com’è noto, Nicola Schiavone prima di essere arrestato, fa ammazzare il fratello per motivi assortiti tra i quali anche quello di una vendetta trasversale riferita alla decisione di Laiso di pentirsi e poi per ironia della sorte, avrebbe assunto pure lui a partire dal luglio 2018.

Infine, Angela Barone, moglie del boss di Casavatore Giuseppe Sacchettino, divenuto personaggio di spicco di un’alleanza con gli Scissionisti, del cartello del narcotraffico di Secondigliano e dintorni.

Il dettaglio di queste dichiarazioni dei 9 collaboratori di giustizia lo potete leggere in calce. Ma è chiaro che rispetto a quel passato indecente a cui facevamo riferimento prima, citando il caso di Tortora, non ha nulla a che vedere con il ragionamento che la Corte d’appello sviluppa su queste dichiarazioni. Caterino, le cui deposizioni, abbiamo imparato a conoscere da anni, non si smentisce e mette in gioco la sua credibilità citando un episodio specifico, cioè una riunione a cui un giovanissimo Cassandra, definito da Michele Zagaria, “un ragazzo sveglio”, partecipa fisicamente in un periodo in cui con ogni probabilità Zagaria era già ufficialmente latitante, insieme al gotha del suo gruppo. Ed è proprio in quell’occasione che Cassandra avrebbe vissuto una sorta di battesimo di fuoco mettendo completamente a disposizione le sue attività imprenditoriali degli interessi di Zagaria che da quel momento, racconta sempre o mastrone, lo tiene in palmo di mano.

E sempre Caterino un pentito collaudato e che soprattutto, ripetiamo, si è raramente rifugiato in racconti generici su cui poi diventava difficile esercitare attività di riscontro, racconta di aver visto con i suoi occhi Zagaria consegnare, sempre negli ultimi anni 90 cifre di denaro in contante a Cassandra, con tanto di esplicita raccomandazione a compiere investimenti buoni, cioè remunerativi.

Una scenda ce valida il contenuto di un’accusa che disegna un rapporto tra Cassandra e Zagaria di società di fatto o meglio ancora un rapporto che oscilla tra la società di fatto ed un ruolo di prestanome di testa di legno seppur importante, svolto da Luigi Cassandra dentro alle attività imprenditoriali e non solo come garante di ogni procedura amministrativa, seguita grazie alle funzioni di assessore più volte ricoperte.

Un’altra cosa che la Corte d’Appello nota nel momento in cui confuta le prospettazioni dei difensori di Cassandra, è rappresentata dallo sfasamento temporale tra anno 96 e anno 2000. Tra il 96, tempo in cui Cassandra dice di aver ricevuto richieste estorsive da altri esponenti del clan dei casalesi e il 2000 che costituisce il primo che proverebbe l’intervento diretto di Zagaria che agli altri esponenti del clan dei casalesi dice di non toccare Luigi Cassandra in quanto persona a lui riferibile.

Per cui la Corte di Appello si chiede come sia riuscito Cassandra a non pagare le estorsioni dal 96 al 2000. Un’incongruenza he rende poco credibile l’idea guida di Cassandra il quale tenta, fino a questo momento invano, di smobilitare Zagaria dall’investimento materiale compito per Night & Day che sembra rappresentare a questo punto il vero obiettivo di questa strategia articolata del Cassandra, che, col passare del tempo, si configura come una furberia, come una modalità per strumentalizzare la sua decisione evidentemente non genuina, in quanto non basata su una piena confessione dei reati, compiuti, dunque soprattutto di quello della sua società di fatto su Night & Day, sull’utilizzazione di tanti soldi consegnatigli direttamente da Zagaria per portare avanti quel progetto che in un primo tempo era solamente una piccola piscina.

Come vedremo nella seconda e ultima parte di questo approfondimento che con ogni probabilità pubblicheremo domani o durante il fine settimana, le valutazioni del giudici della corte di appello, non riguardano solo il fatto specifico del ricorso che un collaboratore di giustizia, il quale a questo punto entra già in polemica con l’autorità giudiziaria accusando in pratica la stessa di non considerarlo credibile, di non considerare vere le cose che racconta sulla genesi di Night & Day, ma attraverso il pronunciamento di una sentenza, mettono pesantemente in discussione, fino a questi demolirla, le genuinità el’autenticità dell’intenzione di Cassandra di chiudere per sempre con la sua militanza criminale nel momento in ci tenta di salvare il proprio patrimonio, un patrimonio costruito, sempre secondo i giudici dell’appello, grazie ai soldi di Michele Zagaria.

QUI SOTTO LE DICHIARAZIONI DEI COLLABORATORI DI GIUSTIZIA