L’EDITORIALE. Da camicia di forza: la Emme Due di Michele e Massimo Schiavone lancia un progetto per i malati psichiatrici utilizzando la scritta di AUSCHWITZ. E NON STUPISCE
4 Maggio 2023 - 12:53
In un altro posto avrebbero pensato ad un fake, ad un fotomontaggio, ad un lavoro di cesello realizzato con Photoshop. Noi, che raccontiamo questa terra da anni e anni, non abbiamo nutrito il minimo dubbio che ci sia stato qualcuno nell’azienda del re delle rsa casertane, l’inquisito Michele Schiavone, e di suo figlio Massimo, pupillo della vicepresidente dell’Europarlamento Pina Picierno, che poteva scrivere questa bestialità. Concedeteci una sola battuta: fossimo nei panni degli ospiti della Rems di Calvi Risorta saremmo un pizzico preoccupati. Magari alla porta bussa Josef Mengele
di Gianluigi Guarino
Stavolta, manco spernacchiarli possiamo. E neppure possiamo liberare per intero il nostro estro goliardico che su questa cosa avrebbe potuto realmente sbizzarrirsi.
Perché quando la tipica stronzata dell’incultura casertana, dell’ignoranza catastrofica che riduce questi nostri territori allo stato in cui sono ridotti, tocca la più grande tragedia della storia del genere umano, sì, puoi anche farla la battuta, ma non devi esagerare.
Beninteso, non perché siamo preoccupati di come questa verrebbe giudicata dalle anime belle, dai conformisti, da quelli che parlano, rimandando a memoria frasette stereotipate dietro alle quali, poi, non c’è una vera conoscenza, non c’è un bagaglio che consente realmente di condire di contenuti l’indignazione e l’esecrazione di pura maniera.
No, la shoah non è questione che può essere dibattuta. E guardate bene, se un liberale come il sottoscritto formula una frase del genere, vuol dire che siamo al di là di ogni categoria attinente allo scibile umano.
Gli storici fanno il loro lavoro, ma chi storico non è deve cercare di capire e di sapere sempre di più, ma deve farlo in silenzio, perché ogni legittima espressione di un diritto al pensiero, alla parola, ogni esercizio dei diritti della democrazia, ha difficoltà a rapportarsi con una roba riguardante un tizio afflitto da una pazzia non meno marcata di quella di un serial killer, di quella di uno che ammazza le persone e si porta a casa le loro teste tagliate o i loro genitali; un tizio che, essendo tale, è stato messo a capo di un Paese, di una Nazione, in un processo storico-politico che ancora oggi lascia increduli e che ancora oggi rende quel percorso di un manipolo di esaltati, che partirono da una birreria di Monaco di Baveria, quel percorso partecipato, avallato, protetto dal consenso di milioni e milioni di persone, sicuramente e finanche più folle, in misura esponenziale, della follia di Adolf Hitler.
Otto milioni di morti, infatti, devono costituire un enorme grumo malato, necrotico della storia che trascende le capacità, le attitudini, delle persone a vivere o a scegliere legittimamente di vivere in un stato di incultura o in uno stato in cui la creazione e l’accrescimento di un bagaglio culturale vengono visti come passione, ma anche come modello sano di progressione umana, professionale, socio-economica.
Cioè, per riassumere e semplificare il concetto, non dovrebbe esistere che una cosa come la shoah diventi oggetto di una constatazione sull’ignoranza di uno o più soggetti umani.
Perché si può anche non conoscere per intero l’alfabeto, perché si può anche non conoscere il nome delle capitali di Francia, Germania, Stati Uniti. È una scelta o anche una costrizione frutto di condizioni ab origine socio-familiari disagevoli.
Allo stesso modo rappresenta una scelta parimenti legittima quella di chi coltiva le cognizioni per sapere, per “conoscere” – usando per l’ennesima volta una frase di Luigi Einaudi, che è un po’ il nostro brand esistenziale – in modo da poter “deliberare”.
E dunque non c’è discrimine. Non esiste una persona che abita il pianeta e risiede in un contesto dove esiste la televisione, internet, strumenti ormai alla portata di tutti, che non conosca almeno in termini generali, che non conosca gli elementi, i fatti essenziali della shoah, dello sterminio, del progetto, in parte incredibilmente attuato in quei tre anni (tra il 1942 e l’inizio del 1945) di totale dispersione di ogni strumento raziocinante, di cancellazione di un popolo intero.
Almeno, il campo di concentramento più noto, più importante, più emblematico dev’essere conosciuto.
È mai possibile che Michele Schiavone, non sappiamo se anche suo figlio Massimo, il politico del Partito Democratico caro alla vice presidente del Parlamento Europeo, Pina Picierno, non sappiano che la frase da loro utilizzata o assimilata per promuovere il progetto di assistenza, di integrazione sociale, perché no, di avviamento professione degli ospiti della Rems di Calvi Risorta, strutture nate dopo la riforma e la soppressione degli istituti psichiatrici giudiziari, è una delle più sinistre, famigerate e tragicamente evocative, non della storia di Sessa Aurunca, di Calvi Risorta, della Campania, dell’Istituto alberghiero di Teano che partecipa al progetto portato avanti dalla Emme Due srl della famiglia Schiavone; non dell’Italia, dell’Europa, delle Americhe, dell’Asia o dell’Africa. No. Questa è la sequenza di parole che meglio descrive il più oscuro, nero, profondo precipizio, il crepaccio dell’umanità.
Quante volte nei documentari su Auschwitz l’avete letta? Michele Schiavone e suo figlio Massimo potrebbero dire “noi in questi programmi di divulgazione non l’abbiamo mai letta”. In verità, è stata sempre citata per milioni di volte, per decine e decine di migliaia di volte è citata come tale in ogni motore di ricerca, quale traduzione letterale della beffarda, carognesca insegna fissa di ingresso del campo di sterminio di Auschwitz e in altri lager nazisti: “Arbeit macht frei“.
E ora, gentilmente, non ci venite a spiegare che chi ha fatto questo post è un dipendente, un web master, un digital qualcosa, perché se all’ingresso di Auschwitz campeggia questa scritta, all’ingresso di questo tragicomico post campeggia il nome di Emme Due srl. Ed Emme Due srl significa Michele Schiavone e famiglia Schiavone.
Se c’è stato qualche demente che, a monte della Emme Due srl, ha concepito e partorito il titolo di questo progetto, ciò non assolverebbe, ripetiamo, ammesso e non concesso, l’impresa degli Schiavone, che, giusto per non farsi mancare proprio nulla, ha aggiunto anche le virgolette nel post, creando una sorta di rappresentazione macabra, visto che le virgolette citano qualcuno o qualcosa che si è già declinato in contesti esterni a quelli in cui opera chi sta producendo uno scritto, uno slogan. Come per dire che quella è una citazione.
Eh già, è proprio una citazione. Macabra che costringe a far riferimento al fattore dell’ignoranza, al fatto che si tratta di una scemenza per salvare da ben altri addebiti gli estensori diretti e/o indiretti di questo post social.
Tra le altre cose, essendo un’attività riguardante persone disabili, persone afflitte da gravi patologie psichiatriche, magari gli Schiavone ci possono mandare il dottor Josef Mengele, dato che sono sul pezzo, che lui sa bene cosa farci con i malati di patologie psichiatriche.
Questa è la classe dirigente casertana. Questo è il motore della provincia. Queste sono le aziende, da sempre interamente finanziate con il pubblico danaro, che hanno svolto la funzione di vettori dello sviluppo socioeconomico.
Uno sviluppo fondato su un’ignoranza sesquipedale, ma pur sempre uno sviluppo, seppur sottosviluppato, volendo utilizzare un facile ossimoro.
Gli scandali, le ruberie, le corruzioni che imperversano in ogni ufficio della pubblica amministrazione, in un rapporto malato con le imprese abilitate da convenzioni e da bonus, carinamente garantiti da una politica super oliata a sua volta, l’intero meccanismo che rende possibile ogni trasgressione, ogni violazione delle strutture normative, degli ordinamenti alla base di una Repubblica costituzionale, di questo deserto culturale rappresentano conseguenza naturale, logica e, per noi (che di questa terra raccontiamo di cotte e di crude da anni e anni) super ovvia e non più in grado di suscitare stupore.
In sostanza, non può che essere così in un posto in cui quelli che dovrebbero essere gli attori del progresso, dello sviluppo, dell’economia, del reddito occupazionale accolgono come slogan di un loro progetto la sinistra e tragica denominazione del luogo più alto e più basso della storia dell’umanità, anche superiore alle bombe sganciate ad Hiroshima e Nagasaki nel 1945 dagli americani, terminale assoluto e irripetibile di ogni dolore.