USURA, ESTORSIONI E CAMORRA. Lo spazzino-strozzino di Villa Literno, la vittima di Venezia-Villa di Briano scesa dal pero, il terzo uomo della società segreta più furbo del previsto

12 Luglio 2024 - 13:20

PRIMA PUNTATA. Abbiamo letto attentamente la prima parte dell’ordinanza che andiamo a sintetizzare non potendo più pubblicare stralci integrali a causa della stupidissima legge Cartabia, liberticida e imbavagliatrice. Ma siccome noi i “tipi” dell’agro aversano li conosciamo come le nostre tasche la sintesi di un numero molto ampio di pagine ci risulta molto semplice.

VILLA DI BRIANO /VILLA LITERNO (g.g.) A suo modo, Giuseppe Di Rosa, imprenditore di Villa di Briano, è un prototipo. Molto simile a tanti altri suoi colleghi che, da un alto hanno costituito esclusivamente le loro attività di costruttori edili nel nord Italia, nel caso specifico a Venezia e in altre zone del Veneto, dall’altro lato pur affermando di non avere più alcun rapporto professionale con il loro territorio di origine visto che Di Rosa afferma di aver ridotto drasticamente l’organico dei suoi dipendenti, e toccano solo 5 unità, selezionandoli solamente tra i residenti nel Veneto, se da un lato tutte le maestranze attinte dall’agro aversano in passato utilizzati nei cantieri veneti, sono state mollate, sono rientrate alla base, è anche vero che a differenza di quello che appare da una osservazione superficiale nel racconto di Giuseppe Di Rosa, il cordone ombelicale con l’agro aversano e tutt’altro che spezzato

Di Rosa, tutto sommato, ha un passato positivo visto che ha contribuito, tempo fa, all’arresto di pezzi importanti del clan dei casalesi. Accadeva nel 2002 quando, mirabilmente, denunciò per estorsione Francesco Montella detto evraiuolo e Oreste Reccia, personaggio notissimo del clan dei casalesi, detto recchia e lepre.

Insomma non è uno che ha paura di denunciare. Ma non ha nemmeno paura di frequentare personaggi di cui afferma di conoscere la pessima reputazione. Ammette, infatti, che Sebastiano Iannone, professione ufficiale netturbino, spazzino presso il cantiere di Villa Literno, è si spazzino ma anche strozzino. E afferma anche di essere a conoscenza del fatto che questo Iannone non è che fosse andato tanto per il sottile quando si era trattato di recuperare soldi prestati

L’idea che trasmette, dunque, Giuseppe Di Rosa – e la trasmette a noi che un po’ di esperienza ce la siamo fatti di tipi umani di quel territorio – è quello di un abile galleggiatore  che non vede e neppure intravede problemi nel momento in cui decide di mettere in piedi una società di fatto, non formalizzata davanti a un notaio, ma, dice lui, fondata “su un patto fra gentiluomini sic!” con quell’indubbio gentiluomo che risponde proprio al nome di Sebastiano Iannone e con un altro personaggio complesso ossia Giuseppe Manno, fratello di un altro imprenditore di nome Nicola Manno sul cui libretti delle fatture i tre costituenti la società di fatto appoggiano le loro operazioni di compravendite di attrezzature da cantiere edile.

Sarà un caso, ma l’unico che mette i soldi in questa società è proprio il presunto strozzino, Sebastiano Iannone: precisamente 45mial euro che servono per acquistare le prime attrezzature. Sempre “il patto tra gentiluomini” prevede che gli eventuali utili dovranno essere suddivisi in parti uguali. I tra business man  stimano il margine di profitto attestato a cifre in grado di garantire un 6 o 7% ad ognuno di loro

A dire il vero, Giuseppe Di Rosa si sente un po’ dentro e un po’ fuori a questa società perché lui è soprattutto la persona che ha fatto conoscere Sebastiano Iannone e Giuseppe Manno, che tra di loro non si conoscevano. Non sappiamo se Manno a differenza di Giuseppe di Rosa sapeva o meno che Sebastiano Iannone fosse strozzino ancora primo che spazzino nel momento in cui anche a lui va bene, al pari di quanto vada bene a Di Rosa, il fatto che i soldi li metta solamente Iannone.

Ad un certo punto sempre secondo il racconto della vittima questa, Giuseppe Di Rosa, questi si sarebbe accorto che Manno non aveva un comportamento corretto e che probabilmente si tratteneva delle somme a lui non dovute. Per questo motivo, aveva salutato la compagnia dei gentiluomini ed era uscito dalla società di fatto, andandosene con il pensiero consolidato nella sua testa e, a quanto pare, anche in quella del suo amico Sebastiano Iannone, che toccasse proprio a Manno restituire 45mila euro allo spazzino strozzino.

Passa un po’ di tempo, qualche anno, Giuseppe Di Rosa viaggia tara Villa di Briano e Venezia, qualche volta incontra il suo amico Iannone il quale gli dice lamentandosene che lui i soldi da Manno non li ha ancora avuti anche se questi gliene aveva promesso la restituzione entro il luglio 2020

Arriviamo ai primi giorni del 2024 e l’amichevole caffè assume uno sviluppo sorprendente, inaspettato per Giuseppe Di Rosa

 Ma questo lo racconteremo domani nella seconda puntata di una vicenda che, con rispetto parlando dell’impostazione di questa ordinanza, a cui bisogna inchinarsi, non ci convince completamente nel momento in cui l’autorità giudiziaria, facendo bene il proprio lavoro, ha la necessità di scavare profonde linee di demarcazione, linee discriminanti, tra presunti buoni e presunti cattivi