CASTEL VOLTURNO. Sergio Pagnozzi, l’Hyppo Kampos e la storia dell’asta fallimentare. I soldi di Nicola Schiavone, mentre su Nicola Ferraro…

21 Marzo 2019 - 14:55

CASTEL VOLTURNO(g.g.) L’interrogatorio dell’imprenditore Sergio Pagnozzi, per anni patron dell’Hyppo Kampos, luogo ampiamente selezionato dagli amanti della movida vip casertana e napoletana, negli anni 90 e nei primi anni 2000, riveste un’importanza che merita un ulteriore passaggio di approfondimento da parte nostra, che già ce ne siamo occupati ieri, in un articolo di resoconto dell’udienza svoltasi al cospetto del giudice del tribunale di Santa Maria Capua Vetere, per le misure di prevenzione, Massimo Urbano. Di Sergio Pagnozzi, affinchè qualsiasi articolo o qualsiasi commento possa essere efficace per la comprensione dei fatti che lo hanno riguardato, andrebbe conosciuto il carattere.

La sua narrazione è stata sempre, da quando Hyppo Kampos è diventato argomento di dialettica giudiziaria, improntata ad una sorta di auto-celebrazione, all’auto beatificazione e alla rimozione di tutti quegli elementi di inquinamento criminale che lui ha sempre ridotto alla presenza, da semplici avventori delle sue feste, magari accolti gratuitamente, di esponenti grandi e piccoli del clan dei casalesi.

Per anni e anni, quando un giornale ha scritto di Hyppo Kampos, lui ha sempre cercato di rintuzzare le tesi dell’infiltrazione camorristica. Lo ha fatto anche con noi, ovviamente sbattendo il naso contro un muro. Per cui non ci stupisce che questo imprenditore apparentemente stravagante, non classificabile dentro ai registri comportamentali che inducono queste figure a vivere in maniera più o meno defilata, a contare le parole una per una, abbia ingaggiato un duello dialettico impossibile con il pubblico ministero della dda Alessandro D’Alessio, al quale ha cercato di dare a bere le stesse chiacchiere che raccontava quando protestava al cospetto di certi nostri articoli.

Pagnozzi si è auto definito una sorta di benefattore della tutela ambientale, un mecenate per tutti quelli che condividevano con lui l’amore per la natura. Ovviamente, il pm D’Alessio che ha una memoria granitica, relativa agli atti giudiziari degli ultimi 10 anni gli ha risposto ricordandogli una serie di cose che accadevano là dentro e che esplicavano una realtà assolutamente diversa.

Ma al di la di questo, la tensione è salita quando il pubblico ministero gli ha chiesto conto dei 150 mila euro, che il collaboratore di giustizia Nicola Schiavone, figlio del capo dei capi Francesco Schiavone Sandokan, ha dichiarato di avergli dato, con due motivazioni collegate tra di loro: diventare socio di fatto di una quota del 10% della società Hyppo Kampos, come finalizzazione di un contributo finanziario robusto, per l’acquisto all’asta fallimentare del tribunale, di un terreno che era stato di proprietà della famiglia Mauriello. Questo accadde quando Cristoforo Coppola, accortosi del “pubblico scelto” che frequentava le feste di Sergio Pagnozzi, lo aveva sfrattato dicendogli di andarsene e di non farsi più vedere.

Ovviamente, Pagnozzi ha smentito la versione di Nicola Schiavone e a quel punto ha cominciato a decantare se stesso, incrociando i duri rimbrotti del pm.

I 150 mila euro, sempre secondo Nicola Schiavone, sarebbero arrivati nella disponibilità di Sergio Pagnozzi, attraverso l’avvocato Luca Martinelli. Quell’acquisto al tribunale costò quasi 800 mila euro. Per cui, siccome a noi sembra piuttosto inverosimile, a meno di una vincita alla lotteria, che lo stravagante Sergio Pagnozzi potesse avere a disposizione tutto questo danaro, non è escluso che sia stata promossa una sorta di colletta. In poche parole, gli altri 650 mila euro da dove sono usciti? Chissà se Pagnozzi ha cercato di coinvolgere anche Nicola Ferraro, al tempo rispettabile imprenditore di Eco Campania, che però, come si è capito dopo, i soldi li faceva anche grazie alla camorra?

Vedremo. Per intanto il 15 maggio sono fissate le discussioni delle parti e successivamente il giudice si pronuncerà sulla richiesta della dda di emanare misure cautelari di limitazione della libertà personale, nei confronti dell’appena citato Nicola Ferraro, detto fucone.