VOTO DI SCAMBIO & CAMORRA. Ecco perché, secondo la Cassazione, Giovanni Capone e Antonio Merola devono rimanere in carcere
18 Giugno 2019 - 13:36
CASERTA (red.cro.) – In questi giorni sono state rese note le motivazioni con cui la Cassazione ha respinto il ricorso presentato dagli avvocati difensori di Antonio Merola e Giovanni Capone, avverso all’ordinanza di custodia cautelare in carcere con l’accusa di voto di scambio aggravato dal metodo mafioso.
Gli avvocati di Merola e Capone, ritenuti rispettivamente membro e reggente della frangia di Caserta capoluogo del clan Belforte hanno lamentato, nel ricorso alla decisione del tribunale del Riesame, che confermava la custodia cautelare decisa dal Gip di Santa Maria Capua Vetere, la mancanza di elementi di prova sufficienti del fatto che il detenuto Giovanni Capone fosse il reggente del clan Belforte. Per quanto riguarda Merola, invece, la tesi riguarda l’assenza di un ruolo di quest’ultimo nel clan, mancherebbe quindi, per la difesa, la pericolosità dell’indagato nel caso dell’accordo con il candidato Pasquale Carbone, ex sindaco di San Marcellino, sul procacciamento dei voti in cambio di 5 mila euro, in parte restituiti dopo la sfortunata tornata elettorale.
Ma per i giudici della 5a sezione della corte di Cassazione gli elementi presentati dall’avvocato non sono ammissibili e ha respinto il ricorso. Nella sentenza, gli ermellini spiegano che nell’ordinanza le conversazioni intercettate facevano dedurre in maniera “congrua” che Giovanni Capone aveva mantenuto il ruolo di vertice nel clan Belforte, visto che, anche se in carcere, aveva dato disposizioni affinché il clan imponesse il proprio predominio anche sull’attività di affissione dei manifesti elettorali.
Gli ordini sarebbero stati veicolati attraverso il fratello Agostino che poteva fargli visita, ricevendo dei “pizzini” per evitare che le autorità e