CAMORRA E BANCHE. Ecco come Francesco Zagaria faceva il “comodo suo” in una filiale di S.MARIA C.V. Una cascata di prelievi in contanti sopra soglia e l’impiegato D’Alessandro…

15 Marzo 2021 - 13:30

La Dda ha chiesto all’ultima direttrice Filomena Allocca, di illustrare quali fossero i limiti e le regole imposte dalla banca per evitare atti di riciclaggio, reato, quest’ultimo, contestato, insieme al 416 bis comma 1, al cassiere indagato e trasferito dal 2019 nella filiale della banca Popolare di Bari di Casal di Principe

 

SANTA MARIA CAPUA VETERE – L’accusa formulata nei confronti dell’impiegato-cassiere della Banca Popolare di Bari Andrea D’Alessandro, è molto grave: riciclaggio, legato ad una attività di tipo camorristico al punto che oltre al 648, si ipotizza anche il reato del 416 bis comma 1.

A fronte di ciò, Andrea D’Alessandro ha ricevuto una misura relativamente blanda: interdizione dal pubblico ufficio per un anno. Non sappiamo se il D’Alessandro lavori ancora nella filiale di Casal di Principe della Banca Popolare di Bari nella quale è stato trasferito nell’anno 2019. Ma se è così, dovrà rimanere ai box per qualche tempo.

Sintetizzando, visto e considerato che tutto il ragionamento svolto dalla Dda di Napoli lo potete leggere nel dettaglio all’interno dello stralcio dell’ordinanza che pubblichiamo in calce e che comprende sia l’incolpazione, sia una lunga testimonianza dell’ultima direttrice della filiale della Banca Popolare di Bari di Santa Maria, Corso Garibaldi, Filomena Allocca, che effettivamente fornisce un quadro esaustivo di quello che, in una banca, si può fare, per quel che concerne la movimentazione dei contanti, e quello che invece che non si potrebbe fare e che se si fa, può configurare la contestazione di un reato di riciclaggio.

La Allocca esamina un terno di distinte, risalenti all’anno 2009, quando esisteva già un rapporto diretto tra Francesco Zagaria, detto Ciccio ‘e Brezza, oggi divenuto collaboratore di giustizia, e il citato D’Alessandro. Tre distinte esemplificative, scrive il gip, perchè il meccanismo si è trascinato per molto tempo. Dal conto corrente di Prisma, società con sede a San Prisco, con amministratore “di legno”, Domenico Farina, il noto fedelissimo dello Zagaria, alla Effezeta di cui amministratore è Antonio Farina, fratello di Domenico, anche se quest’ultimo aveva in pratica acquisito concretamente la funzione per effetto di una procura speciale firmatagli dal suo congiunto.

Le quote di Prisma erano suddivise tra i due Fratelli Farina e Marialuigia Pucillo, moglie di Francesco Zagaria, mentre Effezeta, con sede a Capua, era nelle mani di un solo Farina o dei Farina. Dettaglio non rilevantissimo perchè, come si evince tra le altre cose dalla denominazione sociale Effezeta, queste erano due società nel pieno, anzi totale controllo di Francesco Zagaria.

Nella filiale di Santa Maria Capua Vetere sarebbero avvenuti moltissimi prelievi di danaro contante. E’ lo stesso Francesco Zagaria a confermarlo in un interrogatorio dell’anno 2019, sostenuto da collaboratore di giustizia. Dalla ordinanza si capisce che la Dda, attraverso il lavoro dei carabinieri, ha in mano tantissime di queste distinte e  ne usa solo tre per farsi spiegare il meccanismo e le regole organizzative interne della Banca Popolare di Bari dalla direttrice Allocca.

In effetti, trattandosi di materia tecnica, abbiamo la sensazione che le prime due, datate gennaio e luglio 2009, non offrano grandissimi spunti mentre la terza, datata 13 novembre 2009, è priva sia della firma dell’operatore che compie l’operazione sia di quella del direttore. Perchè nel caso specifico, il direttore doveva apporre il suo visto trattandosi di un prelievo di una cifra superiore ai 2.500 euro. Somma rispetto alla quale è il direttore della banca ad assumersi al responsabilità di verificare, al di la di un tempo comodo che la stessa banca vuole garantire ad un cliente quando questo è conosciuto da tempo, se ci siano delle situazioni tali da alimentare l’idea che quel prelievo possa configurare, in qualche modo, un’attività di riciclaggio.

Sempre secondo la Dda, tutte le altre distinte sequestrate conterrebbero gli stessi problemi. Insomma, un meccanismo stabile di trasferimento di prelievi di somme di denaro a Effezeta, non abbiamo ben capito però se attraverso trasmissioni teelematiche o attraverso versamenti fatti con i contanti.

Per quanto riguarda la causale utilizzata da Francesco Zagaria, anzi le causali visto che erano due, la prima giustificava quei prelievi con la necessità di pagare gli stipendi ai dipendenti, cosa che, come spiega la direttrice Allocca, era possibile fare nell’anno 2009, la seconda era “rimborso finanziamento soci” cioè la restituzione ai soci di somme al socio che ha finanziato al società. In quest’ultimo caso, la procedura prevedeva l’obbligo di tracciamento e cioè di realizzazione di un bonifico o di più bonifici, in relazione ad ognuna di queste operazioni.

Al contrario, di bonifici non ci sarebbe nemmeno l’ombra e i prelievi di danaro sarebbero avvenuti sempre in contanti. Il pentimento di Francesco Zagaria che con Andrea D’Alessandro aveva costruito un rapporto di amicizia al punto che le due famiglie si frequentavano anche, ha prodotto anche una spiegazione sull’utilizzo di queste provviste di danaro contante che sarebbero servite a finanziare le attività di corruzione finalizzate ad ottenere i lavori pubblici dal comune di Capua o anche da altri comuni.

In conclusione, un’affermazione contenuta sempre nello stralcio dell’ordinanza che pubblichiamo in calce. E’ lo stesso Zagaria ad affermare che oltre al rapporto con D’Alessandro che era operativo, e che si concretizzava a colpi di prelievi costantemente sopra la soglia consentita, la sua tranquilla frequentazione all’interno di quella banca sarebbe stata legata “a un rapporto consolidato con i direttori, tali Izzo e Zamuner nonchè con i vari cassieri che saprei riconoscere“.

 

QUI SOTTO GLI STRALCI DELL’ORDINANZA