CAPUA. Don Gianni incassa centinaia di migliaia di euro dal comune di cui è sindaco il fratello. Ecco perché per la legge il primo cittadino è incompatibile

2 Settembre 2020 - 18:57

Ma al di là di questo, non è possibile che l’arcivescovo e l’opposizione, evidentemente conscia del fardello che pesa anche su di essa, non esprimono una loro posizione, lasciando che sia la “solita” CasertaCe imbeccata da qualche anima buona (e forse interessata) ad alzare il velo su una vicenda probabilmente nota ai 4/5 dei capuani, purtroppo

CAPUA (gianluigi guarino) – La città di Capua vanta fertili intelligenze in molti settori della sua vita pubblica. Ma anche quella spirituale declina questa attitudine. Nella locale arcidiocesi, almeno per quanto riguarda il clero capuano propriamente detto, ci sono sacerdoti dall’intelligenza, dalla preparazione e anche dall’intraprendenza non comuni. E proprio perché, forse, esprimono capacità intellettive superiori alla media, incontrano qualche difficoltà nello stare dentro al perimetro di espressione del proprio ministero. Al riguardo, da tempo si registra una forma di partecipazione quasi diretta, esplicita, sicuramente unica nel suo genere almeno per quel che riguarda il contesto locale, di due sacerdoti in particolare nell’attività politica finalizzata all’amministrazione della cosa pubblica.

Inutile stare qui a sottolineare le alte e preziose qualità culturali di don Giuseppe Centore, sacerdote ed intellettuale, totalmente disinibito nell’unire il secolo allo spirito. Avete presente il rancoroso “non expedit” di Pio IX? Esattamente il contrario. Quel papa espugnato il 20 settembre (anche quella data è stata profanata, perché proprio allora si voterà per ‘sti quattro ricottari

della regione) ordina sdegnosamente ai cattolici italiani di evitare ogni partecipazione diretta e indiretta alla politica dello Stato unitario sabaudo. A Capua, invece, don Centore ha partecipato direttamente a tantissime campagne elettorali, mettendo insieme una lista chiamata Capua Fidelis. Un nome che ha sempre parlato da sé e che in qualche modo lo ha collocato in una dimensione che ha trovato giustificazione solo nel fatto che l’Italia, dopo il non expedit, ha avuto anche don Luigi Sturzo il quale, pur tra mille difficoltà, pur costretto all’esilio dal regime fascista con cui il Pontefice era costretto a venire a patti, è riuscito a dire messa e contemporaneamente, con il Manifesto dei Liberi e dei Forti, a fondare quel Partito Popolare da cui poi avrebbe preso forma, nei giorni della Liberazione, la Democrazia Cristiana.

Insomma, don Giuseppe Centore può sempre dire che lui, come don Sturzo, è andato al di là di ciò che il Vaticano ha definito nel concilio iniziato da Giovanni XXIII, il Papa buono, e chiuso da Paolo VI, ma lo ha fatto, in una sorta di nuova crociata contro la relativizzazione dei costumi, per tenere in alto i valori della fede cattolica, informando dei medesimi l’amministrazione della cosa pubblica.

Diverso, invece, è sempre stato il discorso relativo a don Giovanni Branco. Al tempo in cui chi scrive dirigeva il Corriere di Caserta, uscì un articolo, a mia firma, nel quale gigioneggiavo un po’ (lo facevo al tempo anche perché in quel caso questo tipo di pubblicazione non era sgradito a Paolo Romano, grande amico dell’editore ed influencer della linea editoriale di quel giornale) dicendogli che effettivamente esisteva un altro don Gianni con il ghiribizzo della politica, ma quello non era un prete qualunque. Si chiamava, infatti, don Gianni Badget Bozzo, figura intellettualmente evolutissima che, essendosi innamorato di Bettino Craxi e quindi del Partito Socialista ed essendo stato eletto al parlamento europeo grazie al sostegno di colui che Antonello Venditti definì sprezzantemente, da comunista rosicone qual’era, un ottimista dall’aria vagamente socialista, fu in pratica cacciato dalla chiesa con tanto di sospensione a divinis firmata dall’allora pontefice Giovanni Paolo II.

Era il tempo in cui don Gianni Branco viveva un’esperienza politica collegata proprio al Partito Socialista, ormai in disfacimento. Al tempo quell’articolo fu scritto per evidenziare la particolarissima e frenetica attività di don Branco che attraverso il fratello Luca Branco rappresentava se stesso nella politica capuana, come sarebbe successo, anche questo bisogna dirlo per amor di verità, anni dopo con don Centore che lanciò e propiziò l’elezione a sindaco del fratello, Edoardo, generale dei Carabinieri in pensione.

Sempre in quell’articolo evidenziavamo l’attività di don Branco nel cosiddetto Terzo Settore. Per carità. A riguardo l’espressione casca a pennello, dato che allora, come del resto oggi, la motivazione che muove il sacerdote è di matrice nobilissima, volendo lui applicare il vangelo nel momento in cui attende realmente alle necessità dei diseredati, a partire da quelle degli immigrati. Un’intenzione nobilissima sostenuta giustamente da cospicui finanziamenti pubblici, dunque frutto di ciò che lo Stato e le sue derivazioni territoriali incassano grazie al gettito fiscale. Tanti anni fa, dalle colonne di quel Corriere di Caserta (che senza offese per nessuno, vendeva una media di 8 mila copie giornaliere) esprimevamo delle perplessità quando Luca Branco si candidò o aveva intenzione di candidarsi a sindaco, le mettevamo nero su bianco in relazione alle attività del fratello sacerdote, finanziate dalle casse pubbliche, precisamente dal comune di Capua.

Essendo trascorsi circa di 15 anni da allora, uno è portato a pensare che certe situazioni siano state allontanate, siano state superate da una concezione più moderna, più rispettosa dei diversi identità istituzionali, civili o religiose che siano.

Mai avremmo pensato, dunque, che ancora oggi don Gianni Branco, motore e artefice dell’elezione a sindaco del fratello, presiedesse il consiglio di amministrazione della Cooperativa Città Irene di cui, badate bene, perché questo è il dato giuridico più importante, è il legale rappresentante.

Quando nel 2017 questa cooperativa si è aggiudicata il servizio per l’accoglienza e per la tutela dei richiedenti asilo, il progetto SPRAR, ad epilogo di un pubblico incanto, nessuno ha potuto obbiettare nulla perché al tempo la città di Capua era amministrata dal già citato sindaco Edoardo Centore. Due anni dopo, nel 2019, sono scesi in campo alla conquista della massima carica cittadina, Luca Branco e, diciamocela tutta, don Gianni. Attenzione, rimaniamo ancora nel perimetro dell’opportunità, del buon senso, del rispetto rigoroso dell’identità trasparente di un’istituzione rappresentativa qual è quella di un comune. Ed è su questo terreno, lo scopriamo solo oggi perché prima non lo sapevamo, che i fratelli Branco, a nostro avviso, sbagliano di grosso, perché quantomeno il sacerdote avrebbe dovuto fare la creanza di dimettersi da ogni carica interna alla cooperativa Città Irene, cessando di esserne il legale rappresentante già nel momento della candidatura del fratello. Non l’ha fatto. E se per questo don Gianni e il fratello Luca sono condannati dall’etica pubblica e perché no anche dall’etica cristiana, i due non sono condannabili dalla legge, dato che questa, all’articolo 61, comma 1-bis del Testo Unico sugli enti locali, stabilisce un dato di incompatibilità, e non di ineleggibilità, nel momento in cui “[…] ascendenti o discendenti ovvero parenti o affini fino al secondo grado che coprano nelle rispettive amministrazioni il posto di appaltatore di lavori o di servizi comunali o provinciali o in qualunque modo loro fideiussore“.

Al momento della sua proclamazione, il neo sindaco Luca Branco è entrato, dunque, in questa condizione di incompatibilità regolata dal Tuel. Vabbé, don Gianni è uno che la sa lunga, per cui non ha voluto rischiare e ha atteso il risultato delle elezioni per regolare la sua posizione nella cooperativa. No, non è andata così e onestamente non vogliano neppure pensare che si sia registrata da parte del sindaco e di suo fratello un’ignoranza, visto che per definizione la legge non l’ammette. Dal giugno 2019 ad oggi sono trascorsi circa 15 mesi e don Gianni Branco sta sempre lì. Questo già sarebbe sufficiente per porre formalmente la questione dell’incompatibilità al sindaco, perché Luca Branco diventa esso stesso autore di un atto di potestà attraverso il quale, a contratto scaduto, l’amministrazione comunale di Capua proroga il servizio alla cooperativa di cui don Gianni Branco è presidente del CdA, nonché legale rappresentante, una volta e poi anche, a quanto pare, la seconda volta, fino al 30 giugno e poi fino al 31 dicembre.

L’atto amministrativo della prima proroga l’abbiamo trovato, il secondo no ma lo cercheremo e da questo abbiamo capito che la cooperativa ha introitato oltre 221 mila euro. Non sappiamo se questi soldi siano stati replicati con la seconda proroga e non sappiamo quale sia stato il trasferimento dal comune alla cooperativa, cioè da Luca Branco a Giovanni Branco, dal 12 giugno 2019 al 31 dicembre dello stesso anno, dentro al periodo regolato dal contratto frutto della gara aggiudicata a Città Irene nel 2017. Potrebbero essere quasi 600 mila euro.

Ora ammesso, ma anche non concesso, ma proprio non concesso, che possa esistere un cavillo in grado di eludere ciò che è scritto nel comma 1 bis dell’articolo 61 del Tuel, ripetiamo, ammettiamo che il cavillo ci sia, ma vi pare questa una cosa ben fatta, trasparente e che allontani ogni ombra nella relazione tra Stato e Chiesa nel comune di Capua?

Qui non vogliamo alzare il ditino contro nessuno, ma chiediamo all’arcivescovo Salvatore Visco quale credibilità può avere un clero (mi permetto perché il sottoscritto proviene da questo mondo) e una chiesa in cui esiste questa trasgressività e questo rapporto lascivo con le prescrizioni normative. Date a Cesare quel che è di Cesare, date a Dio quel che è di Dio, ma qui le lingue si confondono e questa frase su cui è stata fondata la civiltà occidentale, la quale, nonostante il Medio Evo, le bassezze degli uomini, ha sempre voluto tendere alla separazione tra le cose dello Stato, di Cesare, e quelle di Dio, viene totalmente disattesa.

E di questo non ci possiamo occupare noi di CasertaCe, ma devono farlo, sempre a nostro avviso, da un lato l’arcivescovo di Capua, dall’altro la politica locale, che non abbiamo capito ancora perché, evidentemente a causa degli scheletri che popolano anche gli armadi dell’attuale opposizione, non solleva nelle sedi opportune questo grave caso di violazione normativa.