CASERTA. DISSESTO E CAOS. Il Consiglio di Stato smentisce il Tar e riconosce il 50% ad un creditore del comune che non si era accordato al 40%

8 Aprile 2022 - 18:26

In calce all’articolo il testo integrale della sentenza che finirà per diventare un importante precedente giurisprudenziale in grado di modificare anche le modalità transattive della cosiddetta procedura semplificata. Abbiamo provato – nei limiti del possibile – di spiegare la vicenda in termine comprensibile

CASERTA (g.g.) – Come scritto su quei cartelli ormai meno frequentemente proposti lungo le Autostrade: Lavoriamo per voi. Solo che quelli là lavoravano per voi, cittadini, con molto calma, visto e considerato che i cantieri della Salerno-Reggio, ad esempio, sono stati aperti per una trentina d’anni. Noi, invece, li trattiamo bene i nostri lettori. Continuiamo a fraccarci la testa su sentenze complicate, atti di potestà amministrativa assolutamente incomprensibili, oppure andando sull’ottovolante di leggi e leggine che puntualmente rimandano ad altre, in quella che noi definiamo la matrioska impazzita di una legiferazione elefantiaca e assolutamente fuori dalla portata della comprensione delle persone normalmente intelligenti.

A dire la verità, la sentenza che il Consiglio di Stato pubblicata lo scorso 4 febbraio, non c’è proprio malaccio, visto che abbiamo letto molto di peggio. Tutto sommato ce la siamo cavata in mezz’ora o poco più, in modo di dirvi in parole povere che il Consorzio Stabile Europeo Multiservice il quale si è occupato delle pulizie del municipio di Caserta negli 2009, 2010, 2011,

deve avere evidentemente già intascato la somma di 371.068 euro e 95 centesimi. Cioè esattamente il 50% del credito vantato dal Consorzio così come questo è stato formalmente da un decreto ingiuntivo del 2010 e approvato dal tribunale di Santa Maria Capua Vetere nei primi mesi del 2011.

Detta così pare notizia da poco. Al contrario, è molto interessante perché il Consorzio Stabile Europeo Multiservice vince al Consiglio di Stato dopo aver perso al Tar della Campania.

La questione risale alla dichiarazione del primo dissesto del comune di Caserta, datato – se non andiamo errati – ottobre 2011. Com’è noto soprattutto agli imprenditori che campano con la pubblica amministrazione, le procedure esecutive di un decreto ingiuntivo, come quello presentato da Multiservice, vengono interrotte, congelate quando un consiglio comunale approva il dissesto finanziario dell’ente, riconoscendo l’insolvenza dello stesso e l’impossibilità di adempiere ai propri doveri nei confronti dei creditori e spesso anche nei confronti dei suoi dipendenti.

Così successe anche per i 740 mila euro e rotti che il Consorzio con sede in via Cintia, a Napoli – Fuorigrotta, doveva ricevere dal comune di Caserta per servizi erogati e non remunerati. Questo credito, per manifesta e manifestata volontà di chi ne era titolare, venne inserito nella cosiddetta massa passiva del dissesto. L’Organo di liquidazione propose, una volta ottenuta dalla giunta comunale la possibilità di muoversi attraverso la cosiddetta procedura semplificata, di chiudere al 40%, cioè riconoscendo a Multiservice poco più di 296 mila euro.

Il creditore non accettò, visto e considerato che gli organi di liquidazione hanno la possibilità di muoversi, nel caso di procedura semplificata, in un range che va dal 40 al 60%, e dunque il suo credito ritornò ad essere vivo, cioè utilizzabile per una procedura esecutiva. Il Consorzio che, evidentemente, ha chiesto al comune di ottemperare per intero la sua obbligazione, ricevendo in cambio un diniego, si è rivolto al Tar della Campania che, però, ha dichiarato inammissibile questo ricorso perché – in parole molto povere, a questo serve rompersi il culo per leggere riga per riga una sentenza delle varie giurisdizioni – il credito di 740 mila euro e passa, riconosciuto a suo tempo dal tribunale, continuava ad essere congelato in quanto lo stesso Tar riteneva che non ci fosse soluzione di continuità tra il primo e il secondo dissesto.

Anzi, possiamo dire che non esistesse un primo e un secondo dissesto, ma ce ne fosse uno solo che collegava la procedura iniziata nell’ottobre del 2011 e completata nei primi mesi dell’anno 2017, quando, avendo assorbito l’approvazione del conto Consuntivo, a quel punto bonificato, relativo all’anno 2016, con conseguente chiusura della gestione straordinaria ed extra-comunale della fase debitoria, c’è la cessazione totale dell’esistenza dell’Osl, alla nuova procedura partita con la dichiarazione di dissesto, approvata dal consiglio comunale di Caserta nell’aprile 2018, cioè un anno e un mese dopo la chiusura della prima.

Il consorzio Multiservice non si è dato per vinto e ha presentato il ricorso al Consiglio di Stato. la Corte ha totalmente ribaltato questa sentenza e ha stabilito che il ricorrente ha diritto di vedersi liquidare entro e non oltre 30 giorni dalla notifica del pronunciamento il 50% del credito, cioè i 371 mila euro di cui scrivevamo prima. Con la “minaccia” che, in caso di ottemperanza, sia il Prefetto di Caserta (o un suo delegato, come sempre avviene) ad occuparsi delle operazioni quale commissario ad acta.

Riteniamo che il consorzio ne abbia fatto una questione di principio, oppure è evidente che al suo interno siano cambiate le sensibilità di governance, essendo tutto da dimostrare che fossero molto meno convenienti 296 mila euro e spiccioli, offerti dal primo organo di liquidazione e che, se accettati, sarebbero stati incassati pressoché immediatamente, cioè entro 30 giorni, rispetto ai i 371 mila euro, ottenuti però più di 7 anni dopo, tanto è il tempo trascorso da quel febbraio 2015 in cui l’Osl formulò la proposta transattiva al consorzio napoletano. Oddio, a pensarci bene sono quasi 75 mila euro di differenza. Sono calcoli di matematica finanziaria collegata agli scoperti o agli interessi bancari che non sono certo proponibili in questa sede.

Ma da dove li ha dovuti prendere per effetto di questa sentenza il comune di Caserta questi 371 mila euro. Semplice: da quel fondo che, per legge, ai sensi dell’articolo 258 comma 4 del TUEL, va accantonato sotto l’egida dell’Organo di liquidazione nella misura del 50% della somma complessivamente sopravvissuta agli accordi transattivi creditori-Osl e che dunque torna ad essere secondo il Consiglio di Stato un credito totalmente esigibile.

Perché, non a caso il Consorzio chiede che il comune paghi il 100% dello stesso, aggiungendo in subordine la richiesta del 50%. Gli avvocati di questo gruppo imprenditoriale sapevano bene di dover puntare prima di tutto sulla completa riacquisizione dello status di creditore pieno per l’importo approvato a suo tempo dal tribunale e successivamente notificato al comune con decreto ingiuntivo.

Vi risparmiamo il complesso ragionamento fatto dal Consiglio di Stato, dato che agli appassionati della materia regaliamo il testo integrale di questa sentenza che pubblichiamo in calce all’articolo. Gli elementi costitutivi della stessa sono quelli che vi abbiamo appena scritto, ma ci sono anche altri utilizzati per spiegare il motivo perché quello del 2011 si chiama dissesto numero 1 e quello del 2018 si chiami dissesto numero 2, differente dal primo. Sono un’altra cosa.

E d’altronde, su un piano più plebeo, più prosaico, il secondo dissesto viene gestito ancora da un Organismo di liquidazione formato da tre persone diverse da coloro che gestirono il primo. In poche parole, l’accantonamento del 50% di cui prima ha senso se questa cifra è totalmente inderogabilmente vincolata al soddisfacimento dei creditori che hanno considerato insufficiente l’offerta transattiva dell’Osl, ma che, conoscendo la norma, avevano confidato in un’offerta maggiore, visto e considerato che il Testo Unico dà la possibilità all’Organo di liquidazione di arrivare fino al 60%. Traslare questo fondo di riserva sulle necessità del secondo dissesto significa – per il Consiglio di Stato – violare i principi della par condicio creditoria.

Va detto che un’altra sezione del Consiglio di Stato si era pronunciato diversamente tempo fa. La materia è ancora dibattuta e c’è qualcuno che potrebbe dire che, avendo la certezza di ricevere almeno il 50%, così come sancito dalla Corte, la par condicio dei creditori sia stata violata, riconoscendo a chi ha transato il 40% e a chi no il 50%.

Attenzione, però, quel 40% è solo una delle 31 opzioni a numero intero a disposizione dell’Osl ed è l’offerta minima prevista dalla legge. Accettando il 40%, si intascano i soldi dopo un mese esatto. Non accettando si può chiedere e ottenere il 50% attinto dall’accantonamento obbligatorio, non beneficiando però della procedura semplificata e dunque dovendo attendere un bel po’ di tempo in più.

Anche se questo pronunciamento del Consiglio di Stato potrebbe trasformare l’impostazione dei comuni dissestati i quali, sapendo di perdere in giudizio, potrebbero essere indotti a garantire il soddisfacimento della richiesta in subordine del 50% presentata dai soggetti economici non accordatisi in fase di transazione. Ciò potrebbe modificare anche l’angolo visuale e dunque l’atteggiamento degli organi di liquidazione i quali, magari, avranno più difficoltà a chiudere al 40% e che forse dovranno salire, arrivando al 46-47%, rendendo appetibile quel termine temporale breve.

Insomma, si tratta di una sentenza che farà giurisprudenza e che esclude indiscutibilmente la transazione, obiettivamente e francamente illogica e ingiusta, dei diritti del creditore da un dissesto all’altro, perché questo, attraverso l’utilizzo del fondo accantonato, determinerebbe un ingiusto vantaggio per le ragioni dei creditori successivi e collegati esclusivamente al secondo dissesto.

PER GLI AMANTI DELLA MATERIA, LA SENTENZA DEL CONSIGLIO DI STATO SUL CASO CASERTA-CONSORZIO EUROPEO MULTISERVICE