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Dalla SUN all’Australia: è il casertano Antonello Celentano il più giovane docente dell’Università di Melbourne

21 Maggio 2019 - 12:38

MELBOURNEAntonio Celentano, per familiari ed amici Antonello, è partito oltre quattro anni fa come facevano gli italiani a cavallo tra diciottesimo e diciannovesimo secolo, avendo dinanzi a sé un ignoto colmo di speranze e di altrettante paure.
Antonello, cresciuto tra l’affetto di genitori e fratelli accarezzando la sua amata chitarra e coccolando un pallone da basket, ha vissuto la sua adolescenza a San Nicola La Strada, passando tra i banchi del Liceo Scientifico di Caserta ‘Armando Diaz’ per poi laurearsi in Odontoiatria e Protesi Dentaria presso l’Università degli Studi della Campania ‘Luigi Vanvitelli’, allora SUN, e continuare il suo percorso di crescita professionale con un dottorato all’Università degli Studi ‘Federico II’ di Napoli.
Insomma, un odontoiatra, figlio di due odontoiatri, con un percorso segnato nel prendere, insieme ai fratelli Giuseppe e Sergio, le redini dello studio dei genitori. Ma ad Antonello non bastava. Il suo sogno era quello di mettere le sue conoscenze al servizio della scienza, voleva semplicemente avere la possibilità di fare ricerca in modo stabile e serio, opportunità che qui, molto probabilmente, non avrebbe avuto.
Nel nostro Paese, purtroppo, i finanziamenti per la ricerca vengono dati solo in modo residuale, senza comprendere che è proprio con l’innovazione e con la ricerca che la nostra Italia può trovare il miglior modo di costruire il proprio futuro.
Antonello, ha dovuto quindi fare una scelta difficile, lasciando il dottorato alla Federico II per andare a ricoprire lo stesso ruolo all’Università di Melbourne, essendosi sudato e guadagnato quell’opportunità con i frutti del suo lavoro.
Ma lasciare la sua terra, come dichiarato ai colleghi de ‘La Repubblica’, non è stato semplice:

“Dall’Italia sono dovuto scappare, e mi piange il cuore nel raccontarlo. Ma lì, per me, non c’erano sbocchi: avrei dovuto aspettare cinque o dieci anni nella speranza che collimassero certi meccanismi occulti, arrivasse il mio turno ed il mio lavoro fosse riconosciuto. Non potevo accettarlo. E così, a metà del mio dottorato di ricerca, ho preso l’aereo e sono venuto qui. Gli anni alla Federico II non sono stati facili, un incubo fatto di un’ora di traffico per andare ed altrettanto per tornare”.
La famiglia cui è legatissimo è ora lontana, e lasciarla per poter inseguire la sua realizzazione professionale è stata una scelta sofferta: “Pianificare i rientri è difficilissimo. Significa oltretutto non vedere i tuoi genitori che invecchiano, i tuoi fratelli che vanno avanti con le loro vite, i tuoi nipotini che diventano grandi. È dura, inutile negarlo, anche perché in caso di emergenza non puoi mica prendere un aereo ed essere a casa in poche ore. In più prima, oltre al dottorato, avevo l’opportunità di esercitare la professione privatamente, cosa che in Australia non è possibile viste le loro ferree regolamentazioni. Prendendo quell’aereo ho perso tanto ma, a conti fatti, vedendo ciò che ho guadagnato, lo riprenderei altre cento volte”.
Il dottorato iniziato a Napoli e proseguito a Melbourne ha aperto i suoi orizzonti professionali: “Mi sono occupato dello studio dell’effetto dei glucocorticoidi nel cavo orale, usando modelli in vitro del carcinoma squamoso”.
Da quando è diventato il più giovane docente universitario delle sua facoltà, titolare della cattedra di ‘Special Care Dentisty’ ha l’opportunità di trasmettere il suo sapere agli studenti: “Insegno la gestione odontoiatrica dei pazienti complessi ed in parallelo porto avanti i miei progetti di ricerca, che vertono sulla sperimentazione dell’attività antitumorale, sempre nel cavo orale, dei principi attivi contenuti nelle radici di una pianta che appartiene alle piperaceae”.

Una sperimentazione che gli è valsa premi: “Gli indigeni chiamano questa pianta Kava. I primi risultati ottenuti sono buoni, ho partecipato ad un concorso indetto dall’università e l’ho vinto, ottenendo un finanziamento di 20mila dollari per poter continuare la sperimentazione”.
Oltre alla vita lavorativa, ciò che più è cambiato nel fare un salto dall’altra parte del mondo, è la qualità della vita: “Ero arrivato da poco tempo in Australia quando ho scoperto che nei dintorni di Melbourne ci sono molte fattorie: ogni giorno i contadini lasciano in delle piccole costruzioni in legno sacchi dei loro prodotti, che sono in vendita. Lasciano una cassetta dove depositare il pagamento con qualche moneta per il resto, poi vanno via e recuperano il guadagno a fine giornata. La prima volta non potevo crederci e sono rimasto almeno dieci minuti ad osservare per vedere se c’era qualcuno che faceva il furbo portandosi via tutto. Ma non è successo nulla, perché c’è un senso di civiltà che, rispetto all’Italia, non ha paragoni”.
È questo che, in fondo, a volte fa venir meno la voglia di tornare: “Sono venuto in Italia un paio di volte con la mia compagna australiana, Tami: è rimasta sconvolta dalla realtà campana e casertana. Nella nostra terra, dove i rifiuti si interrano, il degrado è all’ordine del giorno. Tornando non potrei fare molto per cambiare le cose. Dovrei rinunciare oltretutto a ciò che ho qui e che mi sono guadagnato con grandi sacrifici. Melbourne ha alle spalle 200 anni di storia, l’Italia millenni. Ma essere un Paese con cultura e tradizioni non basta, bisogna saper fornire ad una persona gli strumenti e le opportunità per vivere e farsi strada, come è accaduto a me qui”.