GRUPPO FARINA, la “pazza idea”: fatturato, ma prima ancora etica e reputazione

3 Febbraio 2020 - 09:40

CASERTA (Gianluigi Guarino) – Ma chi gliel’ha fatto fare! Farina reca le insegne di chi ha vinto la sfida del mercato, incrociando, ogni giorno, la fatica e la scomodità di una strada impervia, che non tutti gli imprenditori sono disposti ad imboccare, soprattutto dalle nostre parti. Passione trasfusa nella “pazza idea” di far lievitare, non solo il fatturato, ma anche e soprattutto la reputazione. Oggi Farina è una realtà che non ha bisogno di essere raccontata attraverso i fondamentali nudi e crudi di una struttura di Bilancio. E non ci sarebbe neppure bisogno di pubblicare le mappe dei punti vendita e l’ampia scacchiera delle concessionarie di proprietà del Gruppo, per rendere manifesta la prova di una crescita esponenziale che si coglie, anzi, si vede ad occhio nudo quale risultante un’evoluzione, di un riassetto, che tende fatalmente verso la ristabilizzazione del mercato dell’automobile in Campania e nell’Italia meridionale. Tutto questo è, dunque, palmare anche per chi non è un esperto in microeconomia della produzione.

Il Gruppo Farina ha salvato, tutto sommato, il settore. Le sue acquisizioni di attività sull’orlo del fallimento affermano, almeno ai nostri occhi, il primato di valori che, diciamocela tutta, qui da noi, negli 60, 70, 80 e pure 90, non erano decisivi, anzi, hanno anche rappresentato un freno allo sviluppo reddituale. Per cui, se ai tempi della cicala che cantava a squarciagola, se ai tempi dei banchidiNapoli dal prestito facile, bastavano le relazioni, le raccomandazioni, oggi che l’economia ha presentato il suo conto salatissimo alla politica, si vince o si perde, aggiungo io finalmente,

in base alla qualità del progetto industriale e all’iniezione di ore di lavoro sacro e duro che in esso si iniettano.

Stando così le cose, un’azienda, una vera e propria holding delle concessionarie che non insegue più da un pezzo, ma viene inseguita dai marchi e dalle livree più prestigiose ed importanti (ultima della serie l’Alfa Romeo), il Gruppo Farina aveva tutto il diritto di diversificare i propri investimenti, facendo crescere, nel bilancio aziendale, la voce delle patrimonializzazioni e dunque mettendo, in ancor maggiore sicurezza, la ricchezza materiale della fatica costituita sulla saggezza e implementata costantemente con l’uso di puro olio di gomito.

Qualche anno fa, nella testa di Felice Farina era impiantata un’idea, non quella pazza citata all’inizio, ma quella saggia del buon risparmiatore. Come è saggio fare, si operava e, stavolta il termine casca proprio a pennello, si industriava per rafforzare la struttura patrimoniale del gruppo. Ciò, Felice Farina pensava nel suo ufficio dello storico quartier generale di Casapulla. Il suo pensiero volava verso il luogo di cui si era innamorato da anni. Era un tipo di amore che solo un asceta, in grado di far diventare sentimento le curve della produzione e dei diagrammi dei fatturati, può nutrire. L’amore per un luogo perfetto, un vero paradiso terrestre dove si incrociano tutte le linee di domanda e di offerta conosciute dalla microeconomia. Viale Carlo III è diventato un esempio vivo di tutto ciò, non grazie alla politica, ma perché fortunatamente l’economia, nonostante i tentativi maldestri di improbabili, sgangherati e sedicenti epigoni di Keynes, che la vorrebbe infagottare e piegare alle necessità di un partito o di un governo oppure ancora di una semplice bottega lobbistica, sa camminare da sempre da sola infischiandosene di ogni tentativo dirigista, come hanno insegnato i mercanti di Venezia o quelli della Lega Anseatica.

Il Viale Carlo III di oggi, se fosse solamente un pelo tutelato in termini di sicurezza (perché la sicurezza rappresenta, purtroppo, anche un potente e spesso decisivo fattore dell’economia produttiva), costituirebbe una sorta di modello, realizzando quello che Re Ferdinando aveva già nella testa: una grande area metropolitana che avrebbe messo insieme Napoli e Caserta con il sontuoso gradiente della Reggia. Con l’arrivo del Centro Commerciale Campania e dell’Outlet si sono create condizioni ancor più favorevoli allo sviluppo dell’area. E allora, l’idea di papà Felice Farina, quella saggia, conservativa e risparmiatrice, si è trasformata nella pazza idea del figlio Giuseppe, che è riuscito, però, ad entusiasmare e coinvolgere anche il genitore: al diavolo l’investimento immobiliare difensivo e patrimonialistico, andiamo ad esplorare la frontiera di un nuovo modo di fare azienda, legando il commercio ad un’etica che diventa anche strumento di promozione di immagine e reputazione. Se non è questa una pazza idea, nel momento in cui si vuole correre tale rischio a Caserta, in Campania e al sud, diteci voi cos’è la pazzia, che mai come in questa occasione va elogiata, parafrasando Erasmo da Rotterdam.

Nell’intervista che ci ha concesso, Giuseppe Farina mette in fila idee nitide e che tali restano anche nel percorso complesso che porta alla loro realizzazione, al loro divenire compiuto disegno aziendale.