I tre dell’Apocalisse Zannini, Bosco e Caputo si sono già messi d’accordo sui nomi dei possibili assessori provinciali: ecco chi sono. In pratica la Provincia è la loro camera da letto

14 Giugno 2022 - 17:50

A dicembre scorso era data già per acquisita, poi i problemi e la guerra hanno bloccato tutto, ma circa un mese fa la ministra Lamorgese…

 

 

CASERTA (g.g.) E’ normale che Giorgio Magliocca attenda con grande euforia l’approvazione di una nuova legge che riformi in alcuni passi importanti la 56 del 2014, meglio nota come legge Delrio, che un Matteo Renzi, al tempo presidente del Consiglio e in modalità megalomania galoppante, pretese perché lui pensava che di lì a poco, la sua riforma costituzionale, con la quale le amministrazioni provinciali sarebbero state abolite, sarebbe stata approvata a furor di popolo.

Le cose poi andarono diversamente, perché le quattro letture per l’approvazione in Parlamento della riforma ai sensi dell’art. 138 della nostra Carta fondamentale, portarono via più tempo di quello che l’allora Fonzie fiorentino aveva previsto e, inoltre, quando il referendum si fece, il 4 dicembre 2016, a distanza di due anni dall’approvazione della Delrio, si trasformò in una Caporetto per chi l’aveva proposta, in quanto la luna di miele degli italiani con Renzi, che aveva avuto la sua massima manifestazione alle elezioni europee tenutesi proprio in quel 2014 in cui la legge spazza-province fu approvata, era già terminata.

Risultato: Matteo Renzi distrutto e ridotto ad una mini entità della politica italiana. Ma la legge Delrio è rimasta in vigore. E siccome faceva schifo, come avemmo modo di scrivere più volte al tempo, già come strumento normativo di transizione che avrebbe dovuto accompagnare le Province alla camera mortuaria, figuriamoci dopo, quando queste istituzioni sopravvissero al referendum e dunque, la loro presenza nel nostro ordinamento continuò ad essere solennemente sancita dalla Costituzione. Oggi le amministrazioni provinciali sono un mostriciattolo, a partire dai tempi di vita sfalsati del presidente e del consiglio provinciale, con il primo che dura in carica quattro anni ed il secondo che dura in carica due.

Ma caliamo un velo pietoso sulla Delrio e pensiamo al futuro. Ed è proprio qui che sta il problema, perché sul futuro, di veli pietosi non ce ne vuole uno, bensì almeno quattro. Sapete cosa bolle in pentola in Parlamento dall’autunno scorso? Un Disegno di legge di riforma della Delrio che non va a ricostituire l’unica cosa fondamentale che dovrebbe ricostituire, cioè la legalità costituzionale della relazione tra un’istituzione prevista e tutelata dalla massima espressione dell’ordinamento nazionale e quel popolo sovrano che dovrebbe essere, a sua volta, la massima espressione di una categoria ancora più grande, più solenne dell’ordinamento, cioè quella della democrazia che trova nella manifestazione del voto da parte dei cittadini il suo principale, irrinunciabile, propedeutico fondamento.

Questa legge di riforma non prevede il ritorno, doveroso, al voto popolare, bensì il mantenimento di quell’autentico mercato delle vacche attuale, realizzato attraverso un voto il cui diritto è attribuito solo ai consiglieri comunali delle amministrazioni locali ricomprese nel perimetro delle province. Sapete, invece, su che cosa hanno pressato quei bellimbusti, molti dei quali autentici perdigiorno senz’arte né parte e che campano (alla grande) solo grazie alla politica, dell’Unione delle province italiane? La riattribuzione di competenze che ricostituiscono la capacità di spesa di un tempo e, dunque, la possibilità di tritare soldi dello Stato, soldi dei cittadini per ingrassare le proprie clientele e per accrescere, per quel che è possibile ancora, soprattutto dalle nostre parti, il livello di corruzione, galoppante e imperante in certi uffici, così come hanno dimostrato recenti ordinanze dell’autorità giudiziaria. Ma non finisce qui: il modernissimo disegno di legge di riforma prevede anche il ritorno ai tanto rimpianti assessori provinciali.

Uno come Magliocca non può non fregarsi le mani, anche perché questo Disegno di legge prevede l’allungamento a cinque anni del mandato del presidente e il riallineamento a questo del mandato del consiglio provinciale che, dunque, durerebbe ugualmente un quinquennio.

La giunta sarebbe formata da tre assessori. Il Disegno di legge, con tutti questi casini del Covid e della guerra, ha subito diverse battute d’arresto anche se, ultimamente, il ministro dell’Interno, Lamorgese, che però non si sa in nome di quali gruppi parlamentare si esprima, ha garantito, solo istituzionalmente, che, di qui a poco, il Governo lo ripresenterà alla Camera o al Senato.

La pressione lobbistica dell’Unione delle Province d’Italia è molto forte. E siccome là dentro sono rappresentati tutti, in special modo presidenti del Pd e del centrosinistra, ma anche alcuni del centrodestra, non è escluso che si trovi il modo di accelerare i tempi per trasformare il Ddl in legge prima della chiusura della legislatura, fissata per l’inizio del prossimo mese di marzo.

Pensate un po’ che i quattro moschettieri , cioè gli attuali padroni della politica casertana, Giovanni Zannini, Luigi Bosco, l’assessore regionale Nicola Caputo e, seppur confinato un paio di gradini sotto, lo stesso Giorgio Magliocca, nel momento in cui si sono spartiti la Gisec, gli Ato rifiuti e Ato Ciclo delle acque e tante altre cose ancora, hanno anche stabilito quote e nomi dei nuovi assessori provinciali. Quello di Zannini si chiama ristoro. Non si tratta di un cognome, ma dell’impegno che il consigliere regionale, in puro stile feudale, ha assunto con l’inconcludente sindaco uscente di Mondragone Virgilio Pacifico, che dopo 5 anni di amministrazione non è stato in grado, per quanto è rimasto schiacciato totalmente sotto al tacco di Zannini, di giocarsi una sola carta credibile per la propria riconferma. Siccome la legge di riforma della Delrio prevede anche una bella indennità per gli assessori che dovranno essere tutti rigorosamente esterni al consiglio provinciale e prevede pure che questa indennità dovrà essere pari alla metà di quella introitata dagli assessori del Comune capoluogo, non si può certo affermare che quella di Virgilio Pacifico sarà una quiescenza noiosa, dato che dovrà continuare a telefonare ogni mattina a Giovanni Zannini per ricevere direttive, così come ha fatto per cinque anni stando al timone, si fa per dire, del Comune di Mondragone diventando, poi, uno dei pochissimi casi in Italia di non riproposizione della candidatura del sindaco uscente per motivi non ascrivibili alla forza maggiore.

Il secondo assessore in pectore si chiama Luigi Bosco. Direttamente lui nominante e nominato. Il ritardo dell’approvazione della legge ha determinato quella che possiamo definire una sorta di “ingorgo dell’ingordo”.

Cazzeggio e giri di parole a parte, Bosco aveva calcolato di diventare assessore provinciale due o tre mesi fa, tanto è vero che avendo evidentemente la necessità di avere comunque sempre in mano una poltrona di potere e di remunerazione, aveva raccontato ai consiglieri comunali di Caserta appartenenti al suo gruppo, cioè a Liliana Trovato, Antonio De Lucia e al medico Mimmo Natale che lui avrebbe lasciato la poltrona di assessore ai Servizi sociali dopo sei mesi dall’insediamento. Ovviamente, di mesi ne sono trascorsi otto e Bosco, ovviamente,  sta ancora là. L’idea di attendere l’approvazione della legge di riforma della Delrio in uno stato di sospensione, cioè senza avere una carica di governo remunerata, non lo ha allettato proprio per nulla. Oggi, dunque, la Trovato, De Lucia e Natale “buttano calci” e cominciano a far pressing su Carlo Marino perché Bosco esca dalla giunta. Il sindaco, che certo non vuole creare un conflitto con Mastella, primo tutor del citato Bosco, traccheggia,  temporeggia. Ovviamente, siccome il Ddl non è stato ancora ripresentato al Parlamento è chiaro che di qui a fine anno non sarà approvato. Per cui, o la Trovato, De Lucia e Natale saranno “apparati” in un altro modo, magari creando anche una spaccatura tra di loro, oppure le prime tensioni reali si manifesteranno nella maggioranza, peraltro al momento amplissima e blindatissima di Carlo Marino.

Terzo assessore provinciale in quota Nicola Caputo, verrebbe da Aversa. Trattasi della consigliera comunale Imma Dello Iacono, la quale, ai tempi del ribaltone si è schierata all’opposizione del sindaco Alfonso Golia, ma che andrebbe a gestire una posizione di potere per effetto di un accordo che coinvolge non solo il suo riferimento politico Caputo, ma anche Luigi Bosco e Giovanni Zannini, quest’ultimo principale protagonista del citato ribaltone e tutore-protettore, insieme a Stefano Graziano, dell’amministrazione comunale di Alfonso Golia. Per cui, non possiamo sapere cosa succederebbe negli equilibri politici della città normanna in caso di nomina della Dello Iacono in giunta provinciale.

Una brevissima chiosa: è stato detto in questi giorni che la Dello Iacono sarebbe anche in quota Enzo Santangelo che fa parte, al pari di Caputo, di Italia viva, cioè del partito di Matteo Renzi. In realtà, Santangelo che di Iv è consigliere regionale, la Dello Iacono a stento la conosce e non è stato certo votato da questa nel settembre del 2020. Dunque, con questa possibile nomina, Caputo continuerebbe a non far toccare palla al “povero Santangelo”.

Vabbè, questo articolo è durato fino troppo per la parva materia di cui è stato costretto ad occuparsi.