IL FALLIMENTO DELLA CASERTANA. Come mai Publiservizi, Ecocar & Co. non contribuiscono neppure con 1 euro? E per forza, hanno già dato alla politica di questi farabutti che da 20 anni stanno al potere

27 Luglio 2021 - 12:47

È arrivato il verdetto definitivo, che ha respinto anche l’ultimo ricorso presentato dalla società. Ora sarebbe troppo comodo prendersela con lo stravagante D’Agostino, che non è la causa ma solo la conseguenza

 

 

CASERTA – Anche l’ultimo appello, presentato dalla Casertana, è stato respinto, com’era largamente prevedibile.
Per carità di patria, ci siamo limitati a pubblicare un semplice resoconto della conferenza stampa che il presidente Giuseppe D’Agostino ha tenuto di cui comunque vi abbiamo dato riscontro letterale attraverso la pubblicazione dei video che l’hanno immortalata.
Per carità di patria in quanto D’Agostino non ha risposto ad una solo dei rilievi posti dalla Figc, che però, a sua volta, dovrebbe farsi un’esame di coscienza per aver consentito ad uno così di portare avanti per cinque anni il titolo sportivo della Casertana solo grazie alla fideiussione, visto e considerato che l’allucinante quadro delle inadempienze, a partire da quelle fiscali, i federali l’hanno tirato fuori solo quando D’Agostino ha presentato il primo ricorso avverso all’esclusione dal campionato di Serie C.
dal 2015 la Casertana non ha mai versato 1 euro a titolo di Iva, fatto gravissimo, visto che si tratta di soldi dello Stato che ha introitato e utilizzato per la sua gestione.
Stesso discorso per quanto riguarda l’Irap, l’Irpef per collaboratori e dipendenti. Non parliamo poi dell’Ires e dell’Inps, dove tra ritenute e altro si è creato un buco mastodontico che solo la generosità e la disponibilità di dirigenti e funzionari della sede casertana avevano consentito, nelle calde giornate di questo luglio di fuoco, di trasformare in un problematico piano di rientro, messo a disposizione di D’agostino come estrema arma di persuasione nei confronti della federazione.
Se è vero che nel calcio ci sono tante storie simili, è anche vero che probabilmente a questi livelli di irregolarità non si era mai arrivati prima.
La scelta di non commentare a caldo la conferenza stampa, sulla quale ci siamo limitati a spendere solo un titolo, in cui gli chiedevamo, stante il complotto universale che sosteneva di aver subito, di denunciare e portare in Tribunale la Figc, anche perché il suo parlare biascicare parole, il suo ripetere in maniera stucchevole e senza dimostrare con un solo esempio concreto il suo surreale assunto che la Casertana non aveva un euro di debito, ha portato noi ad allargare le braccia e a comportarci come quando si incrociano i passi di una persona un po’ così, cioè non strumentata a ragionar di nulla che sia serio.
Se vogliamo cercare un aggettivo serio, per riassumere il quadro della situazione, dovremmo sorprendere tutti quelli che si aspettano una o più parole forti utilizzando, invece, un tollerantissimo “inesatto”.

Inesatto, è, infatti, addossare a D’Agostino l’esclusiva responsabilità del fallimento sportivo e societario della Casertana.
Un’analisi seria deve necessariamente affrontare una ed una sola questione: come mai un format alla Giuseppe D’Agostino, una persona laboriosa nella sua attività imprenditoriale di produttore e venditore di mozzarella di bufala, ma totalmente disarmato di ogni arma culturale e anche professionale per poter stare a capo di una squadra del calcio professionistico italiano, abbia potuto al contrario fare tutto ciò per ben 5 anni.
Se alla Federazione Italiana Gioco Calcio noi imputiamo di aver coperto per troppo tempo le inadempienze, illegalità fiscale esplose poi quando i creditori, stufi di aspettare, hanno cominciato a sciorinare decreti ingiuntivi e istanze di fallimento, il maggior colpevole non può non essere in scienza e coscienza il sindaco che in questi cinque anni ha gestito (si fa per dire) la città e che oggi, non avendo nessun argomento serio per rivendicare, davanti ad essa, la validità di un’azione di governo in realtà inesistente, punta sulla credulità della vulgata costruendo una campagna elettorale surreale, che sarebbe buona in una città come Reggio Calabria, Bari, anche come Napoli, ma che a Caserta fa letteralmente ridere, in quanto l’assunto Salvini uguale Zinzi è una sciocchezza ipergalattica.

Quando Salvini faceva il giovinastro nella fossa rossonera a San Siro, Domenico Zinzi, papà di Gianpiero Zinzi, era uno dei leader più importanti e potenti della Democrazia Cristiana e poi dei partiti post-democristiani, europeisti per definizione, centristi in quintessenza, soprattutto cattolici e attenti alla cosiddetta dottrina della Chiesa, esattamente il contrario di certe visioni non proprio compassionevoli nei confronti degli immigrati formulate da Salvini.
Ma questo è un argomento che affronteremo più in là, evidenziando anche l’attività politica dello stesso Gianpiero Zinzi, che ha sviluppato tutta la sua esperienza politica nei partiti di centro, fino al momento in cui è stato epurato in maniera violenta da “Giggino a’ purpetta” e da suo figlio Armando Cesaro, che in mezz’ora l’hanno fatto fuori da Forza Italia.
Dunque, Carlo Marino sarà condannato a confrontarsi con la sua esperienza di sindaco, con i suoi fallimenti, che non gli hanno tolto mai il sonno, visto che le cose, invece, hanno sempre funzionato molto bene nella distribuzione degli appalti e del danaro pubblico.
Tra questi fallimenti uno dei più importanti è proprio quello rappresentato dalla Casertana.
Impietoso il passaggio, contenuto nella lettera della FIGC in cui questa, evidentemente non abituata ai pranzetti che si confezionano nella cucina degli orrori dell’archimagirus Franco Biondi, ha evidenziato le mancanze del Comune relativamente all’attività di adeguamento dello stadio Pinto alle regole federali.
Manifestando nel contempo sconcerto di fronte alle procedure dell’ultimo minuto attraverso le quali, con atti tecnicamente illegittimi, Marino, smentendo tutto ciò che il Comune aveva dovuto confessare alla Federazione, ha tentato di inventarsi l’agibilità di un pezzo di curva nord, quella prospiciente alla Caserma Garibaldi, destinata ad accogliere le tifoserie ospiti.
La Casertana muore, almeno per quanto riguarda l’adesione al calcio professionistico, alle 60 squadre che rappresentano il copioso contingente dei tre gironi della Serie C, a causa di scelte politiche.
Perché è inutile girarci intorno: la Casertana è un problema politico di questa città.
In altri luoghi, in altri Comuni, la politica infatti fa un passo indietro rispetto al calcio, indiscutibile sovrastruttura sociale del nostro Paese solo quando hanno fatto di tutto per creare le condizioni affinché la squadra in cui si identifica la città possa difenderne dignitosamente il vessillo.
Quante volte in maniera intransigente abbiamo scritto che il pallone, il basket, lo sport in generale, non devono – almeno in via generale – rappresentare ragioni per le quali un Comune sviluppo pressioni sulle imprese aggiudicatarie delle concessioni più importanti e lucrose, che erogano servizi pubblici fondamentali?

Ripetiamo, in linea generale noi rimaniamo convinti di quella posizione.
Ma è chiaro che un imprenditore che riscuote le tasse dei cittadini, che riscuote una parte dell’importo dei parcheggi a pagamento o che gestisce la pubblica illuminazione o che raccoglie i rifiuti, questo per citare solo gli esempi più significativi, svolge bene la sua attività se vive in armonia con quelli che a loro cospetto si trasformano in contribuenti.
E se dunque nell’ambito dell’esercizio del contratto di concessione, uno dei contraenti, cioè la città, proprio in nome di questa armonia e serenità di rapporto, chiede alla concessionaria di dare una mano al raggiungimento di un obiettivo sociale qual è quello rappresentato da un calcio che appassiona e coinvolge, che soprattutto sviluppa la cultura sportiva attraverso i settori giovanili, no questo non è peccato.

Ma allora cosa impedisce alla politica di sviluppare, di elaborare questo rapporto tra gli impeditori dei maggiori servizi pubblici e i cittadini che ne dovrebbero beneficiare e che comunque li finanziano fino all’ultimo euro attraverso il pagamento delle tasse locali?

Come mai la Publiservizi, la Ecocar, quegli altri lì di Enel Sole, i tanti imprenditori titolari di sontuosi appalti per opere pubbliche si girano sistematicamente dall’altra parte? E come mai chi amministra questa città, cioè il sindaco Marino oggi, ma sarebbe intellettualmente disonesto non affermare che l’andazzo non esistesse anche prima (un prima di cui Marino era comunque protagonista, negli anni in cui ha svolto la funzione di assessore ai Lavori Pubblici in quota Forza Italia), dicevamo come mai Marino e tutti gli altri non osano chiedere alcun contributo sociale per la città, per il calcio, per il basket, per la cultura sportiva a questi paperoni?

Forse perché il Bilancio nel rapporto tra politica e impresa di erogazione di pubblici servizi è già considerato pari e patta grazie alle assunzioni clientelari di amici, parenti, mogli, figli, commarelle e compari?

Forse perché queste aziende ritengono di non dover più nulla alla città in quanto costrette ad un supplemento di assunzioni, quelle fatte in cambio di voti, attraverso una formula per effetto della quale qualche fesso finisce in carcere o viene condannato per mille euro di buoni carburante, ed altri se la spassano, anzi vedono accrescere il proprio potere passando in rassegna i poveri cristi di Caserta, dando loro una mollica di pane, ad esempio un contratto a termine nella monnezza, in cambio del voto di ognuno di loro e delle proprie famiglie.

O forse perché il saldo è in pareggio, intendendo per saldo anche quello finanziario, perché magari qualche bustarella di qua, qualche bustarella di là, danno la possibilità a questi imprenditori di rispondere alla politica “Oh, ragazzi, avete rotto. Ho appena finito di cacciare, mo’ volete anche i soldi per la Casertana”?

Questa è l’analisi da fare, ed ecco perché non ci siamo accaniti e non ci accaniremo contro Giuseppe D’Agostino, che è solo l’effetto stravagante, perché no, anche simpaticamente folcloristico, di una causa tossica e ancor più mefitica della morte nera portata dalla peste bubbonica che nel 1300 sterminò 25 milioni di europei, un terzo di tutta la popolazione.