IL FOCUS. AVERSA. Concentratevi per una volta a leggere, caproni di “non cittadini” L’Oro… di Matacena. Il sindaco, l’Innocenti e gli assessori “si stanno ingrassando” con indennità-stipendi nettamente superiori a quelli legali. Vi spieghiamo passo passo il perché

7 Agosto 2025 - 21:59

Quando abbiamo avuto notizia dell’iniziativa dell’ex presidente del consiglio comunale Carmine Palmiero, ci siamo messi umilmente a studiare tutto quello che c’era da studiare. Il pronunciamento della sez. Basilicata della Corte dei Conti non dice mai esplicitamente che il riallineamento della categoria demografica di cui fa parte Aversa debba essere realizzato in base all’ultimo censimento generale. La dirigente Oro, è tifosa e politicamente complice del sindaco. A nostro avviso, la sua imparzialità è pari a zero

AVERSA (Gianluigi Guarino )L’Istat, che sta per Istituto nazionale di statistica, è un’ente dello Stato che l’anno prossimo compirà 100 anni. Non è un caso che il Presidente dell’Istat venga nominato con Decreto del Presidente della Repubblica, sentito il parere del Presidente del Consiglio dei Ministri. Siamo di fronte, dunque, ad una struttura di solenne importanza.

Non è il Parlamento, non è il Governo, non è lo stesso Presidente della Repubblica, non è la magistratura, non esercita il potere esecutivo, né quello legislativo, né quello giudiziario. Ma l’Istat è, a ragione o torto, piaccia o non piaccia, l’unico ente su cui gli organi dello Stato strutturano la loro conoscenza dei fenomeni socio-economici del Paese.

La dirigente comunale “tifosa” Paola Oro e la Corte dei Conti della Basilicata

Non esiste, e ci rivolgiamo subito alla segretaria generale del comune di Aversa, Emanuela De Chiara, e alla dirigente dell’area amministrativa Paola Oro, un atto dell’Istat che non sia ufficiale. Zero.

Questo rimprovero lo possiamo estendere, ma solo in parte, ai magistrati della Sezione Basilicata della Corte dei Conti, i quali, forse, hanno sbagliato in diverse cose, ma soprattutto in una: specificare con l’aggettivo “ufficiale” quello che era inutile specificare.

E su questo la dirigente Oro ha preso la palla al balzo per debordare – ci si consenta l’uso di questo termine, espresso nel massimo rispetto della persona di cui stiamo parlando

da quella che dovrebbe essere la sua funzione di tenutaria imparziale di una delega comunale di tipo tecnico, che invece, in questo caso, volontariamente o per pura eterogenesi dei fini, ossia involontariamente, ha messo a disposizione degli interessi tutti politici del Sindaco Francesco Matacena, dei suoi assessori e dell’ineffabile presidente del consiglio comunale Giovanni Innocenti.

Se trattiamo questa vicenda delle indennità, in pratica auto riconosciutesi da Matacena e compagnia, con la complicità volontaria o involontaria della dirigente Oro, esce fuori un trattatello molto lungo che sarebbe sicuramente abbandonato dalla maggior parte delle persone interessate alla vicenda. Ora non vi aspettate un articolo brevissimo, perché la complessità della materia non si adatta ad una superficialità espositiva frettolosa, altrimenti non riusciremmo a far capire realmente come sta questa situazione.

Cercheremo, ovviamente, di chiudere in una sola puntata, perché altrimenti ce ne vorrebbero almeno tre e la cosa diventerebbe troppo lunga e complicata da seguire.

L’Istat non è un ente privato e la bancarella del torrone, ma un corpo dello Stato

In Italia, dopo il ventennio fascista, l’Istat ha iniziato a rifunzionare a pieno regime con il censimento generale del 19 5. Generale, cara dirigente Oro, e non ufficiale, perché ufficiale è tutto quello che l’Istat fa come istituzione dello Stato. Ecco perché abbiamo scritto prima che l’errore maggiore compiuto dalla Corte dei Conti della Basilicata è stato quello di utilizzare impropriamente l’aggettivo “ufficiale”, nel momento in cui ha voluto propendere per l’uso del censimento decennale e non per le rilevazioni annuali.

Dal ’51 in poi, con cadenza decennale, l’Istat si è occupato del censimento della popolazione ed anche delle strutture immobiliari di suolo, o insistenti su suolo del Paese.

’51, ’61, ’71, ’81, ’91, 2001, 2011 e 2021, otto censimenti generali, do you remember dott.ssa Oro? Generali, non ufficiali.

Ci siamo fino a questo punto? Pensiamo di sì. Dal ’51 ad oggi sono trascorsi 74 anni. E’ cambiata la vita, è cambiata la tecnologia. In questi 74 anni gli strumenti del progresso tecnologico, messi a disposizione del genere umano, sono stati il quadruplo, forse il quintuplo di quelli che erano stati messi a disposizione nei 74 anni precedenti.

Insomma, il progresso ha camminato ad una velocità mai toccata nelle epoche passate. Internet, digitalizzazione, reti, navigazione veloce, intelligenza artificiale.

E’ mai possibile che Istat, istituto di statistica, della quinta potenza industriale del mondo, potesse continuare ad essere dotata del solo censimento generale che un tempo si faceva con le schede, casa per casa? Anzi, a dirla tutta, in tempo molto precedente, sotto l’egida amministrativa dell’impero romano, ai tempi di Betlemme si faceva, come ci racconta il Nuovo Testamento, in base all’obbligo che ogni cittadino aveva di raggiungere una località definitiva dicendo: “io mi chiamo tal dei tali e sono cittadino di”. Nel caso più eclatante, che potete ben dedurre, cittadini di Nazareth.

Il progresso, l’Istat e le nuove necessità

Nel XXI secolo, le esigenze socio economiche del Paese, le esigenze degli enti territoriali derivati dallo Stato, di un rilievo costituzionale, ossia Regioni, Provincie, Comuni, hanno avuto bisogno, con molta più frequenza, di avere un quadro dei valori materiali della loro popolazione e del parco immobiliare.

L’Istat, che non poteva non assecondare il progresso tecnologico, si è organizzata e ogni anno ha aggiornato, partendo dai dati del censimento generale – non ufficiale, dottoressa Oro – la popolazione dei quasi 8mila comuni d’Italia. Poi, con la legge del 17 dicembre 2012, n. 221, il legislatore ha assecondato le ulteriori necessità sopravvenute di conoscenza dei valori demografici e immobiliari, assegnando all’Istat altre risorse per realizzare il cosiddetto censimento permanente, partito ufficialmente – si sa, che il nostro Paese sulle lentezze burocratiche non ha rivali nel mondo – nel 2018. Questo censimento permanente si fonda su una rilevazione campionaria, nel senso che nel mese di ottobre di ogni anno si produce il vino delle cantine e i numeri negli uffici degli Istat. Non vi facciamo allungare la barba, spiegandovi come vengano acquisite queste informazioni censuarie, vi diciamo solo che ciò avviene anche attraverso il concorso delle famiglie e dei singoli individui.

Ma se il censimento permanente riguarda solo 1/3 dei comuni italiani, degli altri 2/3 non conosciamo la popolazione anno per anno? Sì, la conosciamo. L’Istat, infatti, se non applica per tutti i comuni italiani la procedura prevista per il censimento permanente, attiva procedure per conoscere l’evoluzione demografica dei quasi 8mila comuni italiani, anno per anno.

I numeri della città di Aversa

D’altronde, se noi sappiamo che Aversa nel 2015 contava 53.047 abitanti residenti, nel 2016 53.040, nel 2017 52.794, nel 2018 51.801, nel 2019 51.344, nel 2020 50.640, nel 2021 50.194 (probabilmente numero acquisito dal censimento generale decennale), nel 2022 49.815, nel 2023 49.544.

Vuol dire che l’Istat ha rilevato ogni anno il numero degli abitanti residenti della città normanna. Sappiamo che quelli del 2021 sono frutto del censimento generale (non ufficiale, dottoressa Oro, e sono quattro). Non sappiamo quali di quelli rilevati dal 2018 al 2023 siano frutto delle procedure del censimento permanente, e quali invece delle rilevazioni ordinarie dell’Istat. Sappiamo, invece, che quelle che vanno dal 2015 al 2017 compreso, sono sicuramente frutto del rilevamento ordinario, perché al tempo il sistema del censimento permanente non era ancora attuato.

Ci siamo, dottoressa Oro? Glielo stiamo spiegando con il cucchiaino.

Quando lei ha risposto alla domanda formulata, con la richiesta di accesso agli atti dall’ex presidente del consiglio comunale di Aversa, Carmine Palmiero, oggi semplicemente cittadino, si è letteralmente abbarbicata, anzi “avvinta”, per dirla alla Nilla Pizzi, come un cespuglio di edera secolare, ad una recente deliberazione della sez. Basilicata della Corte dei Conti. Lei, dott.ssa Oro, dice di aver letto, in quella deliberazione una comunicazione chiara all’utilizzo del metodo statico a cui collocare il calcolo delle indennità.

In effetti quella deliberazione è un gran casotto, perché si fa riferimento all’art. 82 del Tuel comma 8, che effettivamente prevede il metodo statico (collegamento al censimento decennale) per associare le indennità al numero di abitanti (CLICCA E LEGGI).

Per la dirigente, stipendi d’oro per Matacena&Co. fino al 2031

Il casotto del pronunciamento della sez. Basilicata della Corte dei Conti è costituito dal tentativo, a nostro avviso pienamente fallito, di utilizzare un pronunciamento del 2023 della Sezione Autonomie della Corte dei Conti Nazionale, di rango evidentemente più alto rispetto ad una Corte dei Conti regionale.

Ricordate: la dirigente Oro afferma che Matacena e compagnia dovranno prendere l’indennità superiore ai 50mila abitanti fino al 2031, ovvero fino al prossimo censimento generale che secondo la bizzarra interpretazione della Oro e anche un po’ della sez. Basilicata, sarebbe solo costituito dal censimento generale decennale.

Ecco cosa dice la Sezione Autonomie della Corte dei Conti del 2023, a cui si aggancia la sezione lucana: “…con la legge n. 234/2021, il legislatore ha inteso modificare espressamente e con legge i precedenti importi delle indennità fino ad allora fissati con il DM 119/2000, definendo così una evidente successione di legge nel tempo con effetti abroganti la precedente disciplina da parte di quella successiva”.

E che c’azzecca questo con la relazione tra la categoria a cui appartiene un comune, rispetto alle indennità da elargire al sindaco, al vicesindaco, assessori e presidente del consiglio? La Sezione Autonomie della Corte dei Conti prende atto di tutto quello che abbiamo scritto in questi anni, e cioè che la politica ha fatto un regalone ai sindaci e ai loro accoliti, aumentando sostanziosamente le indennità che prima erano state stabilite con il decreto ministeriale del 4 aprile del 2000, n.119.

Oggi, un sindaco di una delle dieci città metropolitane d’Italia, intasca lo stesso stipendio di un presidente della regione.

Il sindaco di una città capoluogo di regione, ma non città metropolitana, più i sindaci di una città capoluogo di provincia con popolazione superiore ai 100mila abitanti, intascano l’80 per cento dello stipendio di un Presidente della Regione.

Poi, un sindaco di una città capoluogo di provincia con popolazione inferiore ai 100mila abitanti intasca il 70% dello stipendio di un Presidente della Regione.

Un sindaco, e veniamo al nostro caso, di una città con popolazione superiore ai 50mila abitanti, gode di uno stipendio pari al 45%. Al momento è quello che mette in tasca Matacena.

Adesso, non sappiamo qual è esattamente lo stipendio di De Luca ma riteniamo che Matacena superi tranquillamente i 5mila euro al mese. Poi ci sono i sindaci dei comuni che vanno da 30mila e 1 a 50mila che intascano il 35%, i sindaci di comuni che vanno da 10mila e 1 a 30mila abitanti che intascano il 30%; da 5001 a 10mila il 29% (hanno fatto lo sforzo); da 3001 a 5mila il 22%; tutti gli altri comuni da 1 a 3mila il 16%.

Tutto ciò è accaduto il 30 dicembre del 2021, quando il Parlamento ha approvato la legge di bilancio varata dal Governo Draghi. Questa specifica tabella è contenuta nell’art.1 comma 583.

Tutto quello che la sez. Basilicata prova, ma non riesce a dimostrare, è che le dinamiche di riforma sul tema dell’indennità degli amministratori locali, abbiano modificato anche il meccanismo di relazione temporale di aggiornamento. E sapete perché girano intorno a questa specifica questione? Perché quelli della Corte dei Conti della Basilicata provano a mettere la Sezione Autonomia del 2023, che tutto dice fuorché modificare il meccanismo di aggiornamento di inserimento di un comune in un cluster, poiché l’unica cosa chiara, precisa, granitica, tombale, in questa vicenda, dott.sse De Chiara e Oro, è rappresentata dalla deliberazione della Sez. Autonomia della Corte dei Conti degli ultimissimi giorni del 2009, precisamente il 21 dicembre.

E’ l’unico momento in cui un organismo giudiziario di altissimo profilo si occupa e stabilisce una regola definitoria sulla questione della relazione temporale, intesa come variabili numeriche per la verifica e per la modifica di un cluster o categoria di appartenenza di un comune. Quello che è successo dopo, con la legge del 2012, ossia l’introduzione del censimento permanente che parte in concreto 2018 e ancora la legge di bilancio del 2022, va affrontato solo e solamente la questione delle cifre finanziarie che finiscono nelle tasche dei sindaci.

Della relazione temporale di aggiornamento non si è parlato più e non si è scritto più in nessun documento giudiziario e legislativo, per cui è una baggianata collegare capziosamente l’esistenza di effetti di una riforma a un tema che quelle riforme non ha mai più toccato. Basterebbe presentare un esposto ben scritto, contenente tutte queste valutazioni corredate dai riferimenti giurisprudenziali, alla Corte dei Conti regionale campana, lombarda, laziale, marchigiana – non quella lucana perché francamente la sua decisione ci sembra orientata da esigenze un po’ diverse da quella della somministrazione imparziale del diritto e non potrà non collegarsi a quello che ha scritto la sez. autonomia a fine 2009.

Esiste una sola decisione che fa Giurisprudenza: rilevazione annuale

Ed ecco cosa scrivono i giudici, nel momento in cui ritengono l’applicazione dell’art 156 del Tuel (allineamento dinamico e non statico, come quello previsto dall’art 82 comma 8 dello stesso Tuel): “(…) Da questi elementi può, quindi, ragionevolmente dedursi che la rilevazione delle dimensioni demografiche dell’ente, utile per operare gli allineamenti delle indennità in questione, deve essere operata in base al criterio fissato dall’articolo 156 del Decreto Legislativo 267/2000. Detto criterio, in quanto riferito a dati concreti ed attuali, prevale su quelli più astratti e risalenti al lontano 2001, rappresentati nell’ultimo censimento.”

Alla luce di questa motivazione la sez. autonomie della corte dei conti così delibera: “Il criterio della “..popolazione residente, calcolata alla fine del penultimo anno precedente..”, di cui all’articolo 156, 2°comma, del Decreto Legislativo 267/2000, rappresenta la normativa di riferimento per una corretta modalità di rilevazione delle variazioni demografiche degli enti locali, che, secondo quanto previsto dagli scaglioni indicati nel D.M. 4 aprile 2000 n. 119, costituiscono il presupposto per l’adeguamento delle indennità spettanti agli Amministratori.

Ci siamo capiti, dottoressa Oro? Da quegli ultimi giorni del dicembre 2009 non c’è stato mai un pronunciamento giudiziario sulla questione del riallineamento dei cluster dei comuni per l’indennità. Ed è inutile che dite che dopo c’è stata la riforma perché in nessun articolo della riforma, a partire da quella 2012, fino ad arrivare alla legge 2022 art.1 comma 583, 584, 585, c’è traccia di un ordinamento, di una statuizione del riallineamento delle categorie dei comuni per l’indennità, differentemente da quello scritto dalla sez. autonomie del 2009.

Per altro, il vecchio meccanismo, quello del decreto ministeriale del 4 aprile del 2000, differiva dal nuovo meccanismo, quello della legge di bilancio 2022, non come merito e criterio di riconoscimento ai sindaci di un’indennità, ma solo nella misura di quattrini, esponenzialmente aumentata, registratasi tra ciò che ha deciso il Parlamento nella legge di bilancio 2022 e ciò che lo stesso Organo aveva deciso con la legge del 1999, il cui regolamento era stato emanato col più volte citato decreto ministeriale del 4 aprile 2000 e che, tra le altre cose, arriva quattro mesi prima dell’approvazione del Tuel.

Dottoressa Oro, lei fa politica e gliel’abbiamo dimostrato

Non ci sono giustificazioni, dottoressa Oro. Lei si è messa a disposizione delle necessità del sindaco Matacena. Dal 2024, differentemente da quello che lei ha deciso, bisogna adeguare la città di Aversa al censimento annuale demografico dell’Istat, relativo a due anni precedenti, ossia al 2022.

Per cui sono già trascorsi tanti mesi durante i quali, sindaco, assessori e presidente del consiglio comunale hanno incassato più soldi di quanto dovevano incassare. Magari, una Corte dei Conti correttamente investita della questione, potrebbe anche costringere Matacena, Innocenti e gli assessori quanto impropriamente introitato.

E attenzione dottoressa Oro, quando la Corte dei Conti della Basilicata, fa anche riferimento come elemento di riforma al comma successivo al 583, cioè al 584, scopre, non volendolo fare, perché la sua intenzione è diversa, un’altra magagna. E sa perché? E mo’ glielo leggiamo il 584: “In sede di prima applicazione l’indennita’ di funzione di cui al comma 583 e’ adeguata al 45 per cento nell’anno 2022 e al 68 per cento nell’anno 2023 delle misure indicate al medesimo comma 583. A decorrere dall’anno 2022 la predetta indennita’ puo’ essere altresi’ corrisposta nelle integrali misure di cui al comma 583 nel rispetto pluriennale dell’equilibrio di bilancio.”

Per cui, il conto pieno del 45%, parametrato allo stipendio del presidente della regione, va certificato dalla ripartizione finanze e bilancio del comune di Aversa, che deve attestare che venga rispettato in misura pluriennale l’equilibrio di bilancio. Altrimenti l’approccio è graduale, si parte dal 45% del 45%, poi l’anno dopo si passa al 68% del 45%.

Insomma, lei, dott.ssa Oro, ha voluto capirci ben poco. Si mostra troppo tifosa del sindaco Matacena e della sua amministrazione. E questo, sempre nel rispetto della sua persona, rappresenta ai nostri occhi un dato che non ci permette di riporre alcuna fiducia nel suo operato.