IL FOCUS, SECONDA PARTE. Reggia di Caserta, palazzo sandwich per pubblicità a buon mercato di aziende scadenti

11 Dicembre 2018 - 15:59

CASERTA (Pasman) – Riprendiamo il tema, affrontato nella sua prima parte alcuni giorni fa, della tutela della Reggia, la quale è oramai caduta in un vortice di aperto sfruttamento consumistico che non ha eguali persino rispetto ad un passato più recente, in cui, pur nelle difficoltà gestionali, ne erano quantomeno salvaguardate il decoro ed il rilievo culturale.

Anzi, siccome non ci si preoccupa neppure più di salvare le forme, il principale giornale del mezzogiorno, che dovrebbe rappresentare l’avanguardia civile dei nostri territori, nel presentare le iniziative del periodo ha potuto pacificamente titolare nei  giorni scorsi: “Alla Reggia il grande show della moda e del design”. Con quel termine, show, che fa entrare apertamente il monumento nella dimensione dello spettacolo e dell’intrattenimento. Ma, d’altra parte, il termine rappresenta vividamente quello che in realtà si combina nel sito reale. Come informa il quotidiano, si tratta di “…sfilate…”, “…fashion show …”, e, udite udite, “…trunk show…” (che, secondo un sito specializzato consultato, consiste nella  vendita di abiti a prezzo scontato). Il tutto condito dalla precisazione che si sarà in presenza di “…Una ventata di lusso…”: chissà se è un invito a coprirsi contro i malanni o a presentarsi con un portafoglio ben munito. E con tale opportunità per queste aziende, prima di tutto commerciali e che vivono di pubblicità in qualsiasi forma, di accostare insperatamente e a buon prezzo il loro nome al Palazzo Reale. Tanto è vero che chi di pubblicità non ha bisogno, come il Centro Commerciale Campania, l’Outlet… Oromare od il Tarì è ovvio che paradossalmente restano volutamente a margine.

Lo Scalone d’onore ed il Vestibolo sono per solito gli ambienti – le stupende location, come melensamente usa dirsi in quei giri – dove queste cose si svolgono, perché nell’ottica pratica dei promotori vi si offrono spazi ideali di allestimento e non importa il loro intrinseco impatto con sedie, tavoli, cavalletti, casse, carrelli, etc., etc. . Il matrimonio Ammaturo ne ha dato una prova eloquente. La meraviglia delle forme, della luce e delle cromie di quelle quinte architettoniche non li sfiora per niente né li fa sentire come profanatori, essendo esse solo funzionali alle loro messe in scena.

Abbiamo concluso – si ricorderà – la prima parte di questa riflessione evidenziando come la borghesia più facoltosa ed il ceto medio, con le categorie dei professionisti, degli imprenditori, degli intellettuali, delle burocrazie pubbliche, dai quali si immaginerebbe una spiccata sensibilità per il sito reale, con una pochezza preoccupante non se ne impensieriscono punto. E non perdono occasione, grande o piccola, per tenervi incontri, convegni, banchetti o comunque per figurare. In questo imitate da tante istituzioni anche benemerite, che non necessiterebbero di un tale sfoggio di ostentazione che spesso sfocia nell’esibizionismo.

Uno dei segni di evoluzione della nostra società gravemente arretrata, provinciale, si coglierà allorché tutti costoro si asterranno in futuro dal volersi, insensatamente e senza ragione plausibile, rappresentare nella Reggia, perché vorranno, per scelta consapevole, salvaguardarne l’integrità.

Che poi – c’è da considerare – questi eventi in conto terzi, come vengono definiti nel gergo burocratico, sono i più contestati dai sindacati dell’ente museale, almeno da parte di quelli più credibili che non hanno scelto l’appeasement della cogestione come durante la direzione di Mauro Felicori. Oltre a metterne in discussione i criteri di trasparenza, evidenziano il fatto che invariabilmente finiscano per lasciare danni e guasti al monumento. Come difatti il nostro giornale ha documentato tante volte, a cominciare dalle sigarette spente nei bicchieri di carta abbandonati sui piedistalli delle colonne proprio del vestibolo, dopo un aperitivo (sic!); perché spesso questo è il livello: vi si fuma e vi si sporca come neanche nell’ultima delle bettole.