INTERPORTO. Forse ha girato più di 1 MILIARDO DI EURO. Concordati comodi, fallimenti, distrazioni. Alias il “sistema Barletta”

15 Settembre 2019 - 12:48

MARCIANISE (G.G.) – Se dall’anno 2000, cioè negli ultimi 19, il sottoscritto, quando ha potuto farlo, molto di più dal momento della nascita di Casertace (sito di mia proprietà nel quale dunque non dovevo dar conto), ha osteggiato fortemente i metodi di gestione dell’Interporto, c’era un perché.
Ovviamente l’arretratezza e il disagio culturale di un giornalismo che non esiste, ha fatto sì che quella sia stata, fino al marzo scorso, l’unica voce in dissonanza, o, meglio ancora, l’unica voce che si occupava di un argomento tutt’altro che secondario, visto che dentro a questi meccanismi di muovevano centinai e centinai di milioni di euro (fino a lambire, se non addirittura a superare, il miliardo).
A marzo, ‘sti cialtroni giornali casertani si sono accorti che nell’Interporto qualcosa non andava.
Tipico atteggiamento del ricottaro di talento: mai attaccare i potenti fino a quando sono potenti. Poi, se cadono nella polvere, “dalli all’untore”.
Noi, però, ci godiamo il vantaggio della conoscenza e dunque raccontiamo le vicende giudiziarie sempre in totale solitudine.
Ma stavolta perché negli atti giudiziari, in ordinanze come quella scritta dal Gip Orazio Rossi, nessuno ci capisce un cavolo e alla terza riga, distinguendosi la classe dei presunti colleghi per attitudine e dimestichezza alla lettura, al terzo inafferrabile concetto di diritto societario e tributario, un bel click sul mouse e si chiude l’ordinanza.
Lo stralcio che pubblichiamo stamattina è utile perché si connota come una stringata sintesi della vicenda.
Il signor Giuseppe Barletta ha utilizzato le società non curando la loro qualità, ma la loro quantità.
Le costituiva, le metteva in opera, e quando c’era da pagare le tasse non lo faceva. Distraeva grandi somme, molte delle quali prendevano la strada dei Paesi Bassi.
Enormi proprietà immobiliari diventavano i titoli dell’antico gioco del Monopoli, transitando da una società a un’altra. Quando arrivavano le istanze di fallimento del Tribunale, si prendeva la strada dei concordati preventivi.
Finché il giochino è durato, forse anche grazie alla manica larga di qualche antico giudice della Fallimentare, ok.
Quando, nel 2015, il Tribunale ha cominciato a far sul serio e i fallimenti sono diventati inevitabili, il nocciolo duro del patrimonio di Barletta è finito nella società “Agli Antichi Splendori”, la quale, con operazioni turpi come quella di Leroy Merlin (che ha già versato molti soldi in anticipo), ha introitato quattrini, ha costruito la prospettiva di guadagnarne tantissimi altri e, attraverso questi, è diventata anche la garante dei debiti di altre società che Barletta non voleva far sparire, come “Piazza degli Svaghi” e “Tonard”.
Lo stralcio di oggi, dunque, rappresenta il gradiente di fusione, la riunificazione di fatto operata dal Gip Orazio Rossi tra la sua ordinanza del marzo scorso e quella di pochi giorni fa, spin-off della prima.