La Domenica di Don Franco: “La fede non è un prodotto logico, la conclusione di un sillogismo, ma un processo faticoso, un’umile ricerca, senza fine”

18 Aprile 2021 - 08:49

18 aprile 2021 / III Domenica di Pasqua – (Anno B / TO)

GESÙ RISORTO: UN MONDO NUOVO COMINCIA!

Prima lettura: Dio ha risuscitato Gesù, e noi ne siamo testimoni (At 3,13). Seconda lettura: Abbiamo un avvocato presso il Padre (1Gv 2,1). Terza lettura: Pace a voi! Perché siete turbati? (Lc 24,35).

Difficoltà di interpretazione    Questo racconto si svolge in Gerusalemme, nel giorno di Pasqua. È notte, gli Undici e altri discepoli stanno discorrendo del Risorto, quando giungono trafelati due da Emmaus, che raccontano di avere incontrato il Risorto. Ci sono, però, alcuni particolari che fanno problema e vanno spiegati: appare il Signore e ci aspetteremmo una reazione di gioia, invece “rimasero
stupiti, spaventati, turbati”
(Lc 24,36). Difficile anche capire l’espressione “per la grande gioia non credevano” (Lc 24,41). Come conciliare la gioia con i dubbi?  Lascia anche perplessi il fatto che Gesù mangia del pesce davanti ai discepoli (Lc 24,39): uno ‘spirito non può mangiare! E poi: Gerusalemme è lontana dal mare, molto improbabile che i discepoli potessero tirare fuori subito del pesce arrostito. Il fatto sarebbe stato più verosimile a Cafarnao, paese di mare.  Infine è strano quel riconoscimento fatto attraverso le ‘mani e i piedi’: le persone si riconoscono dal viso e non dagli arti! Queste difficoltà, avanzate dai razionalisti, ci permettono di andare oltre, di leggere altro. Cosa significano questi particolari strani a prima vista? Cerchiamo di approfondire. Ogni esperienza di Dio narrata nella Bibbia produce sempre timore; vedere Dio significa morire (Es 3,6: 20,19; 33,20; Dt 5,26). Pensiamo a Isaia nel momento della sua vocazione: “Ohimè! Sono perduto, perché ho visto Dio!” (Is 6,5). Pensiamo anche a Zaccaria e a Maria che “rimasero turbati” all’annuncio della nascita di un figlio (Lc 1,12.29). Pensiamo, infine, agli apostoli che, durante la trasfigurazione, furono presi da spavento (Mc 9,6). Meraviglia e paura accompagnano sempre, anche oggi, le manifestazioni del Signore. Il mondo di Dio è sempre “fascinoso e tremendo” (R. Otto).  In carne ed ossa. L’insistenza di Luca sulla ‘corporeità’ del Risorto è dovuta a preoccupazione pastorale: il corpo materiale era considerato una prigione per l’anima, che desiderava staccarsi dal corpo: era l’insegnamento degli orfici e di Platone; la risurrezione del corpo era inconcepibile, i morti erano paragonati sempre a ombre, spiriti, fantasmi. Per i discepoli era difficile comprendere che Gesù è veramente vivo. Pensano che sia un fantasma; la traduzione di πνεῦμα con fantasma però non è corretta. Gesù risorto non è uno spirito e meno ancora un fantasma; scrive Paolo che egli ha un “corpo spirituale” (1 Cor 15,44). Questo gli permette di continuare a mangiare e bere, cioè partecipare alle nostre speranze e delusioni, essere nostro compagno di vita. Per fare comprendere la novità della risurrezione cristiana, Luca – unico fra gli evangelisti! – ricorre a un linguaggio molto corporeo: i discepoli toccano il Risorto, mangiano con lui, guardano le sue ferite… Un realismo sconcertante! Ora si comprende anche il significato di “guardare le sue mani e i suoi piedi” (v. 39): mentre le persone vengono identificate dal volto, Gesù vuole essere riconosciuto dalle mani e dai piedi, dalle ferite dei chiodi, apice di una vita spesa in amore. Anche il cristiano sarà riconosciuto dalle mani e dai piedi, segnati dall’amore. Con Paolo potrà gloriarsi: “Io porto le stigmate di Gesù nel mio corpo” (Gal 6,17).

Avere dubbi di fede non è una colpa …   Chi non ha fede, deve sempre mestamente concludere: ignoràmus et ignoràbimus. Il credente, invece, procede nelle ‘tenebre accecanti’ della fede. Avere fede è capacità di sopportare il dubbio, di convivere con gli interrogativi della vita. La fede non è un prodotto logico, la conclusione di un sillogismo, ma un processo faticoso, un’umile ricerca, senza fine. È importante ricuperare questa dimensione della fede: avere dubbi non è una colpa o una mancanza di fede, ma l’occasione per un vero atto di fiducia in Dio. Solo una concezione intellettualistica della fede esclude il dubbio. Gesù stesso comprende le difficoltà dei suoi discepoli. Il dubbio non lo scandalizza: la fede è un dubbio superato, l’anima della fede è la fedeltà, la mia fedeltà è il salario quotidiano che devo pagare a Dio. Sino in fondo! Anche Gesù ha dovuto credere, nella derelizione massima: “Padre, perché mi hai abbandonato?” (Mt 27,46). Anche per lui, in un momento della vita, l’unica cosa certa fu l’incertezza. Ma restò fedele: “Padre, nelle tue mani consegno la mia vita!” (Lc 23,46; Sal 31,6). Questo non significa coltivare morbose ansietà, ma accettare i limiti ontologici e psicologici dell’uomo. Significa compassione e comprensione per le fragilità dell’uomo: “Padre, perdona loro, non sanno quello che fanno!” (Lc 23,34). E Pietro aggiunge: “Fratelli, so che voi avete agito per ignoranza!” (At 3,17).

… ma occasione per credere davvero!   Gesù è risuscitato da morte. Meglio: “Dio ha risuscitato Gesù da morte” (At 3,15). La risurrezione è un atto di Dio che libera Gesù dalla schiavitù del sepolcro. Gesù ha avuto fiducia totale nel Padre. Gesù è morto, e non in apparenza. Non è entrato nel sepolcro con la decisione di risorgere per intrinseca sua capacità. Gesù si è totalmente consegnato alla morte. È disceso agli inferi in senso non mitico né allegorico, ma nel reale annientamento del suo essere. La potenza di Dio lo ha però liberato. E noi? La morte ci appartiene. Anzi, noi apparteniamo alla morte. Se vediamo tanto male attorno a noi (e dentro di noi!), perché cadere nel dubbio? Perché non convincersi che queste tenebre ci appartengono? L’ateo crede che si muore totalmente. Anche il credente ritiene che si muore totalmente. Però crede anche che la potenza di Dio libera dalla morte. Questa è la diversità! Questa certezza Dio ce la offre attraverso il Gesù risorto, e non tramite le ambigue consolazioni dei filosofi e dei visionari. È importante essere solidali con la sofferenza del mondo, senza dare consolazioni in anticipo. Noi non possiamo essere gli insegnanti di una teodicea, che con ingenuo ottimismo giustifica tutto. Saremmo gli epigoni di Leibniz, ferocemente ironizzati da Voltaire nel suo libro Candido.

Si salvi chi può. Un’eresia!   Non entreremo da soli in cielo! Ci tireremo dietro tutti quelli che abbiamo amato e aiutato, o ci perderemo con tutti quelli che da noi dipendevano e che noi abbiamo abbandonato. “Fuori dalla chiesa non c’è salvezza” significa che non ci salveremo da soli né fuori dalla ‘comunità’. Scopo del cristianesimo non è “Si salvi chi può”. Il cristianesimo è la religione dei salvati che salvano, dei redenti che redimono, degli amati che amano. Il mondo finirà sulla stessa domanda che si legge all’inizio della Scrittura: “Caino, dov’è tuo fratello Abele?” (Gn 4,9). Dio raduna gli uomini di buona volontà non per coccolarli o viziarli; li raduna, li incoraggia e li manda a lavorare nel cantiere della vita. I cristiani non possono chiudersi nel ghetto, dietro le mura della chiesa o del convento. Ricordate Maria? Dopo l’annunciazione fece una visitazione, come possiamo fare tutti. Ricordate la suocera di Pietro? Dopo la guarigione dalla febbre, si mise a servirli, come possiamo fare tutti. Anche Maria Maddalena voleva stringersi alle ginocchia di Gesù risorto, ma questi le ordina: “Va’ dai miei fratelli!”. I primi cristiani hanno convertito il mondo perché erano una minoranza felice e contagiosa. Abbiamo un immenso e silenzioso potere: il nostro esempio, la nostra parola buona, la nostra preghiera. Come Francesco, che andò in Assisi a predicare: “E non disse una parola!”.

Gesù risorto e disceso negli inferi   Siamo davanti a una delle tante apparizioni di Gesù. I discepoli di Emmaus sono appena ritornati a Gerusalemme, stanno raccontando quanto è successo loro durante il viaggio, quando Gesù in persona appare e saluta: “שָלוֹם עֲלֵֵיכֶם… Pace a voi!”. Incredulità e gioia insieme: “Per la grande gioia ancora non credevano!” (Lc 24,41). I nostri fratelli ortodossi lo hanno compreso meglio di noi; per essi la risurrezione di Gesù è tutto. Nel periodo pasquale, incontrando qualcuno, chi saluta dice: “Cristo è risorto!”, e l’altro risponde: “E’ risorto in verità”. È interessante sapere come viene raffigurata la risurrezione nella chiesa cattolica e nella chiesa ortodossa. In genere (penso al pittore Piero della Francesca), in occidente Gesù esce dal sepolcro con una bandiera in mano, segno di vittoria sulla morte; nella tradizione orientale, invece, la scena è diversa: non si svolge a cielo aperto, ma sottoterra; Gesù non sale al cielo ma scende negli inferi, prende per mano Adamo ed Eva, e dietro di loro una folla innumerevole di credenti che aspettano la risurrezione. La vittoria di Gesù non è tanto sui nemici visibili, ma su quelli invisibili, cioè la morte, il dolore, il demonio. Ogni uomo, ogni donna deve identificarsi in Adamo ed Eva, afferrare la mano di Gesù risorto, e con lui uscire dal sepolcro, verso la luce.

Alcune notazioni    Lungo la via… nello spezzare il pane. Sperimentare il Cristo risuscitato non è un’esperienza per pochi privilegiati, ma una possibilità per tutti i credenti. E’ quello che gli evangelisti vogliono trasmetterci con i racconti della risurrezione. Nel Vangelo di Luca, dopo l’episodio di Emmaus, i discepoli protagonisti di quest’esperienza sconvolgente del Signore, narrano “ciò che era accaduto lungo la via e come l’avevano riconosciuto nello spezzare il pane”. Questa sarà una caratteristica presente in tutti i Vangeli. L’esperienza del Cristo risuscitato è possibile soltanto nello spezzare il pane, nel farsi pane per gli altri. Quando della propria vita si fa un dono d’amore per gli altri, allora avviene l’incontro con il Signore che si è fatto pane per noi. In mezzo a loro. E’ una caratteristica di tutti i Vangeli, quando Gesù risuscitato appare, non si mette non alla testa di un gruppo, non crea una gerarchia, non divide le persone in base ai titoli. Tutto il gruppo gli è attorno nella condivisione fraterna.  La conversione… il perdono. Gesù cerca di far comprendere che in lui si realizza il progetto di Dio, quel progetto che è stato trasmesso attraverso la legge di Mosè, che è stato portato avanti dai profeti e che è stato cantato nei salmi. Quale? La perfetta realizzazione del progetto di Dio sull’umanità: “saranno predicati a tutti i popoli la conversione e il perdono dei peccati, cominciando da Gerusalemme”. Vediamo ciascuno di questi elementi: a) per ‘conversione’ in greco si usano due termini: uno è ἐπιστροφή, che significa ‘il ritorno a Dio’ quindi il ritorno al culto, il ritorno al tempio, alla preghiera; b) gli evangelisti evitano questo termine, usano μετάνοια, che significa ‘cambiamento di mentalità’, cioè orientare diversamente l’esistenza, non verso l’io ma verso gli altri. Il ‘perdono dei peccati’ (ἄφεσιν ἁμαρτιῶν) non indica le colpe abituali degli uomini, ma la direzione sbagliata della propria esistenza. Quando uno cambia vita, anche il peccato è cancellato. Questo dev’essere annunziato a tutti i popoli pagani (τὰ ἔθνη), cominciando da (ἀρξάμενοι) … E qui abbiamo la sorpresa: da chi cominciare? qual è il primo popolo pagano, bisognoso di conversione? la Siria? l’Egitto? No, è Gerusalemme: Ἰερουσαλήμ. La città santa è equiparata da Gesù a terra pagana bisognosa di conversione. Sono le istituzioni religiose quelle che per prime hanno bisogno di convertirsi.

Ignorare le Scritture è ignorare Cristo   La parte finale del racconto è tutta incentrata sulla Parola: lo dimostra l’insistenza sulla Bibbia, riletta alla luce di Gesù: “Tutte le cose scritte su di me nella Legge, nei Profeti, nei Salmi”. Davvero ignorare le Scritture è ignorare Cristo! Anche a noi Gesù potrebbe rivolgere il rimprovero che un giorno rivolse agli ebrei: “Voi vi ingannate, non conoscendo le Scritture” (Mt 22,29). Un piccolo slogan di un semplice testimone di Geova è capace di mettere in difficoltà un cattolico. Il Corano definisce gli ebrei e i cristiani come “gli uomini del Libro”. Forse i musulmani ci conoscono poco, ci stimano troppo! Non conosciamo, non leggiamo, non crediamo, non viviamo la Bibbia. Questo Vangelo diventi per tutti uno stimolo a riprendere tra le mani questo santo Libro, un libro di storia, meglio, il libro di salvezza! Buona Vita!