La Domenica di don Franco: “Quaggiù tutto è provvisorio! Ogni giudizio finale è spostato alla fine dei tempi!”

19 Luglio 2020 - 09:12

19 luglio 2020 – XVI Domenica TO (A)

DENUNCIARE IL MALE FUORI E DENTRO DI NOI

gruppo biblico ebraico-cristiano השרשים הקדושים

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Prima lettura: Tu concedi la possibilità di pentirsi dei peccati (Sap 12,13). Seconda lettura: Noi non sappiamo nemmeno cosa sia conveniente domandare (Rm 8,26). Terza lettura: Lasciate che grano e zizzania crescano insieme fino alla mietitura (Mt 13,24).

La domenica “della pazienza di Dio”   Con la parabola del seminatore di domenica scorsa si è inaugurata, nel Vangelo di Matteo, la sequenza delle parabole agricole. Il Vangelo di oggi sembra tutto un fascio di parabole, di stile contadino e familiare: chicchi di senape e di frumento, erbe buone e cattive, terra scavata per nascondervi un tesoro, falò per bruciare la zizzania; se osserviamo i personaggi, essi sono contadini, seminatori, servi, padroni della fattoria; se osserviamo bene la casa, si tratta di una casa colonica, dove la massaia impasta il pane con un pizzico di lievito. Nel Vangelo di oggi, il Regno dei cieli viene paragonato a un chicco di senape, il quale, pur essendo il più piccolo dei semi, cresce fino a diventare un alberello in grado di accogliere in sé gli uccelli. Ancora: il Regno dei cieli è simile al lievito che una donna prende e mescola con la farina, perché diventi pane profumato. In passato, era familiare la donna che, quasi sacerdotessa di un mistero di vita, impastava con la farina un pugno di lievito. Un rito sacro! Più misteriosa si presenta la parabola della zizzania, che il nemico, il diavolo, sparge di notte nel campo di grano. Quel nemico, quel diavolo ci sembra un pazzo, come quel criminale che in un attimo, con un fiammifero, attizza il fuoco e incenerisce ettari di grano, o ettari di bosco secolare. In questo Regno di Dio sulla terra c’è di tutto: il buono e il cattivo, il bello e il brutto, l’angelo e la bestia. Quaggiù tutto è provvisorio! Ogni giudizio finale è spostato alla fine dei tempi!

Laudato sii, o mio Signore … La prima lezione: in queste parabole, niente allegorismi o romanticismi, ma la vita santa e dura di tutti i giorni. Non quelle delle corti o delle curie, delle caserme o dei divertimenti, ma la vita a contatto con la natura, la verde natura che ci sta sfuggendo di mano. Si prega molto meglio il Padre dei cieli nella libera natura che non tra i bip-bip dei moderni computer! Guardate i fiori dei campi, gli uccelli del cielo, la nascita del sole, l’immensità del mare, la solennità della notte… “Laudato sii, o mio Signore!”. C’è poi in ogni parabola il messaggio spirituale. In quelle di oggi è quello della pazienza. E’ la seconda lezione. Ci penserà Dio stesso a separare il grano dalla zizzania: alla fine dei tempi! Il motivo è semplice: solo alla fine si potrà sapere chi è buon grano, e chi è cattiva zizzania. La zizzania umana, diversamente da quella vegetale, può convertirsi! E poi solo Dio può giudicare. L’uomo non deve anticipare il giudizio finale, la data è scritta nel calendario di Dio e non nel nostro.

“Da dove viene la zizzania”   La domanda che gli uomini si sono posti ieri e oggi è: qual è l’origine del male? Nel tentare di rispondere a tale questione, gli uomini hanno cercato la soluzione facendo ricorso a Dio. Ma il ricorso a Dio ha complicato il problema. Poiché la religione cristiana non si limita alle sofferenze di questa vita, ma si interessa alle sofferenze dell’altra vita. Non ci bastavano le disgrazie di questo mondo!. Bisogna spiegare anche quelle dell’altro mondo! Con un’aggravante: le sofferenze dell’aldilà sono eterne! Davvero la teologia cristiana ha reso difficile l’argomento Dio. Altri hanno escogitato un’altra teoria: la colpa non è di Dio, ma dell’uomo, che è peccatore e cattivo. E hanno cercato nell’Antico Testamento le prove. Per esempio, Adamo ed Eva, espulsi dal paradiso a causa del peccato che commisero. La stessa idea si ripete nel mito di Giobbe. Il problema di male è perfettamente formulato dagli amici di Giobbe: “Se i tuoi figli hanno peccato contro Dio, li ha messi in balia della loro iniquità” (Gb 8,3-4). Tale idea era la concezione popolare di quei tempi, che vedeva la sofferenza come un castigo per il peccato. E questo modo di pensare continua a vivere nella coscienza di molta gente. Tutti abbiamo udito qualche volta qualcuno chiedersi: “Che avrò fatto io di male perché mi accada questo?”.

Ma il problema del male non si risolve scagionando Dio, per colpevolizzare l’uomo. Poiché, alla fine dei conti, chi ha fatto l’uomo è stato Dio. Se Dio ci ha fatti liberi di peccare, e poi ci castiga perché abbiamo peccato, con tutta ragione possiamo chiedere a Dio: “Perché ci hai fatti così?”. Inoltre, vi sono tantissime sofferenze che non dipendono dalla libertà di nessuno. Continuare a dire che Dio non “castiga”, ma “permette” i mali e le disgrazie che avvengono in questo mondo, equivale a immettersi su una strada che inevitabilmente termina nell’assurdo. Non esiste una spiegazione alla nostra portata. Stando così le cose, la cosa più ragionevole è dire che tanto Dio come il male sono due realtà che stanno oltre la nostra capacità di capire. Ci troviamo di fronte a due problemi, meglio, a due misteri (G. Marcel). Dio e male sono due misteri (o metaproblemi) e noi non sappiamo come armonizzare l’uno e l’altro. Sembra che si possa dire quanto segue:

– Sappiamo anche che “Dio nessuno l’ha mai visto” (Gv 1, 18). Questo vuol dire che non sta alla nostra portata sapere e spiegare perché esiste la sofferenza umana. Affermare che Dio “vuole” o “permette” il male e le disgrazie che succedono nel mondo è dare una spiegazione, è comprendere l’incomprensibile. Ma Dio e il male non sono alla nostra portata!

– La cosa più sicura che possiamo sapere è che Dio non è causa di sofferenza, ma colui che annuncia e assicura la felicità a quanti soffrono (Lc 6, 20-26; Mt 5, 1-12). Naturalmente, nel dire ciò, non risolviamo tutti i nostri dubbi. Bisogna slegare Dio, una volta per tutte, dai beni e dai mali che accadono in questo mondo. Non dobbiamo gloriarci della nostra felicità, quasi che siamo dei privilegiati da Dio, né dobbiamo disperarci delle nostre disgrazie, quasi che siamo dei castigati da Dio. Quando associamo il problema del male con il problema di Dio, le domande allora hanno meno risposte, e spingono molte persone alla disperazione o alla bestemmia.

L’insegnamento della parabola del grano e della zizzania è chiaro: in questa vita nessuno ha il diritto di ergersi a giudice del bene e del male. Nessuno ha il diritto di decidere dove sta il bene (il grano) e dove sta il male (la zizzania). Ed ancor meno, nessuno ha il diritto di considerarsi in possesso del potere per voler estirpare il male dalla radice. Nessuno può condannare nessuno. Perché corre il pericolo di sbagliarsi. In maniera tale che, pensando di fare una cosa buona, in realtà fa un danno. In questo modo Gesù condanna il puritanesimo e l’intolleranza. Tutti abbiamo il pericolo di incorrere in questo tipo di comportamenti. Ma questo pericolo aumenta nella misura in cui una persona diventa più religiosa, soprattutto se la sua religione è di tipo fondamentalista. Questo mondo è pieno di fanatici. La gente “molto religiosa” fa paura. E rende la vita insopportabile e la convivenza amara. In fondo, il problema sta nel fatto che in fin dei conti il bene ed il male sono categorie che dipendono da coloro che hanno il potere per definirle. Friederich Nietzsche lo ha detto molto bene: “Sono stati gli stessi «buoni», cioè i nobili, i potenti, gli uomini di ceto superiore e di sentimenti elevati a sentire e definire se stessi e le loro azioni come buoni, cioè di prim’ordine, e in antitesi a tutto ciò che è volgare, di sentimenti volgari, comune e plebeo” (Genealogia della morale, I, 2). In fin dei conti l’essenza del fanatismo consiste nel desiderio (e persino nell’impegno) di “obbligare gli altri a cambiare” (Amos Oz). Questo è il punto su cui sono d’accordo tutti i fanatici del mondo. BUONA VITA!