La Domenica di Don Galeone. Cosa spinge, verso Gesù, le folle del suo tempo e gli uomini e le donne di oggi? 

4 Settembre 2022 - 12:27

 XXIII Domenica T.O. (C) – 4 settembre 2022
                                                               La fede comporta una scelta radicale
Prima lettura Chi può immaginare che cosa vuole il Signore? (Sap 9,13). Seconda lettura  Accoglilo non più come schiavo, ma come un fratello carissimo (Fm 9, 19). Terza lettura

  Chi non rinunzia a tutti i suoi averi, non può essere mio discepolo! (Lc 14, 25).
La domenica “della croce di Cristo”. Il Vangelo di Luca è la descrizione del viaggio di Cristo verso Gerusalemme, città santa, terra di martirio e di gloria. Luca vuole presentare l’intera vita cristiana come un andare con Gesù e come Gesù verso la croce e la risurrezione. È il tema della “sequela Christi”. Da buon regista, Luca organizza tutto il materiale attorno a questo leit motiv, autentico filo d’Arianna nel suo Vangelo. Il discepolo segue il Maestro, porta la propria croce, rinunzia agli averi. Abbiamo due massime (“Se uno viene a me e non odia … Chi non porta la sua croce”), commentate da due esempi (“Chi vuole costruire una torre … Chi sta per fare una guerra”); sono presenti anche in Matteo, ma con più sfumature; Luca è più radicale con quella sua frase: “portare ogni giorno la croce”.
Noi cerchiamo la vita, non la morte, e la croce non evoca, purtroppo, l’idea di salvezza. Certe
forme di mortificazione, di penitenze non hanno reso un buon servizio al Vangelo! Il cristiano non
aspira al dolore (nemmeno Gesù lo ha cercato!), ma all’amore. Tuttavia, quando l’amore è “vissuto
fino alla fine” (Gv 13,1) giunge al dono della vita. Ecco perché la croce, da segno di morte, diviene
simbolo di vita. Fino alla fine del III secolo, i simboli del cristiano erano l’àncora, il pescatore, il
pesce, mai la croce. Sarà a partire dal IV secolo, con il ritrovamento dello strumento del supplizio
di Gesù da parte di S. Elena, che la croce diverrà simbolo di vittoria, non sui nemici di Costantino a
Ponte Milvio, ma sulla morte e su tutto ciò che fa morire. Scegliere la croce è scegliere la vita. Ma
non è facile da capire!
Di fronte ai “grandi numeri”, alle “folle oceaniche” Gesù, invece di rallegrarsi, si preoccupa.
Immagina i suoi discepoli come un “piccolo gregge” (Lc 12,32), come un po’ di sale (Mt 5,13) o di
fermento (Mt 13,33), come un granello di senape (Mt 13,31). Egli rimane stupito al vedere che “era
molta la gente che andava con lui” (v.25). Forse c’è stato un equivoco, forse le folle hanno
frainteso le sue parole. Allora si volta e comincia a spiegare che cosa comporta la scelta di essere
suoi discepoli.
Gesù fa tre richieste, molto dure, che si concludono con il medesimo, severo ritornello: “non può
essere mio discepolo!” (vv. 26.27.33). Sembra quasi che voglia allontanare le persone, più che
attirarle. Il brano è stato applicato spesso alla vocazione monastica. In realtà è diretto alle folle che
vanno con lui, e rivolto a tutti coloro che vogliono essere cristiani. Luca vuole indirizzare le parole
di Gesù ai numerosi convertiti delle sue comunità, i quali sono attratti dal Maestro, provano
simpatia per lui e per il suo messaggio, ma sono anche tentati di «addomesticare» il Vangelo. Le
condizioni che Gesù pone sono chiare e non sono trattabili, niente se e niente ma!
> La prima: “Se uno viene a me e non odia suo padre, sua madre, la moglie, i figli, i fratelli, le
sorelle e perfino la propria vita, non può essere mio discepolo!” (v. 26). Gesù usa sempre immagini
molto forti. Non vuole che qualcuno si faccia delle illusioni. Abbiamo sentito, qualche domenica fa,
dichiarazioni molto forti (Lc 9,57-62; Mc 9,43-47). Tuttavia, non era mai arrivato ad affermare che
è necessario odiare i propri familiari e addirittura la propria vita. Com’è possibile? Il cristiano è
colui che ama tutti, anche i nemici. Quando Gesù parla di odio, si riferisce ai tagli netti che è necessario fare quando si tratta di rimanere fedeli al Vangelo. Odiare significa avere il coraggio di rompere anche i legami più cari, quando costituiscono un impedimento a seguire lui. Questi distacchi possono venire classificati come «odio», ma sono gesti coraggiosi di autentico amore.
> La seconda condizione: “Chi non porta la propria croce e non viene dietro di me, non può essere
mio discepolo!” (v. 27). Questa frase viene interpretata spesso come un invito a sopportare con
pazienza le contrarietà; altre volte è intesa come un invito a mortificarsi, a fare dei sacrifici. Gesù
non fa una richiesta di rassegnazione, ma di disponibilità a testimoniare la propria fede. Il martirio
è un’eventualità da mettere in conto!
> La terza condizione: “Chiunque di voi non rinunzia a tutti i suoi averi, non può essere mio
discepolo!” (v. 33). Non si tratta di dare qualche spicciolo in elemosina. Bisogna rinunciare a tutto.
Non è uno scherzo! Per rendere praticabile questa richiesta è stata escogitata un’infelice
soluzione. Si è cominciato a parlare di istituti di perfezione (i religiosi, i monaci, le suore) che –
prendendo i voti – si impegnano a praticare integralmente la povertà. I cristiani semplici possono,
invece, continuare a possedere e amministrare i loro beni, ma devono rassegnarsi a essere
cristiani imperfetti, di serie B. La richiesta di rinuncia totale ai beni non è rivolta solo a qualcuno,
ma a chiunque viene a Gesù.
“Chi non odia la propria vita …”. Noi non possiamo vivere felici senza avere una buona
immagine di noi stessi. Ce lo insegnano la psicologia e la psicanalisi. Per essere felici dobbiamo
superare ogni conflitto interiore, il nostro comportamento dev’essere gratificante, soprattutto non
dobbiamo avere sensi di colpa. Guardandoci allo specchio, vogliamo vedere l’immagine di un
vincitore, non importa quanti morti o feriti abbiamo lasciato sul campo. È la legge della
sopravvivenza. Inutile, dannoso avere rimorsi! Ci insegnano da ogni cattedra ad amarci,
nonostante i nostri vizi e peccati, che non si chiamano più così, ma Ego, cioè io. La nostra
personalità è una perfetta macchina per la vittoria. Perciò non sopportiamo il dubbio, la sconfitta.
Grazie ai manuali del successo facciamo apprendistato per il suicidio. Né gli analisti né i manuali ci
potranno salvare, Siamo diventati il nostro solo e ultimo dio. Per questa piccola divinità, l’uomo
spreca le sue migliori energie. Gesù ci invita a odiare questo falso e ridicolo io; a odiare
l’attaccamento a cose e persone come ad oggetti di possesso. Insomma, a ribaltare i falsi valori del
mondo. A mettere al primo posto Dio e i valori del suo regno.
“Chi non porta la propria croce, non può essere mio discepolo!”. Le parole di Gesù sono rivolte a
tutti i credenti: prendere la croce significa scegliere Gesù. Che la vita, secondo Gesù, sia un
progetto, appare dal brano del Vangelo con quelle due immagini del costruttore che, prima di
costruire una torre, fa bene prima a tavolino i suoi calcoli; e del re che, prima di fare guerra,
anch’egli fa bene i suoi calcoli per evitare di essere sconfitto. Anche il cristiano, prima di
intraprendere la “sequela Christi”, deve sapere a cosa va incontro, motivare la sua scelta, non
tornare più indietro.
La Parola di Dio non è una parola qualunque: passa attraverso la testimonianza. Paolo non andò
nei suoi viaggi, a fare il predicatore di professione; non apparteneva all’ordine dei predicatori ma
dei testimoni; non andò come padre né come maestro, meno ancora come padrone; si presentò,
uomo fra gli uomini, preoccupandosi di non essere di peso ad alcuno, lavorando in pace con le sue
mani. Fu il primo e vero prete operaio. Non dobbiamo stupirci che i vescovi, successori degli
apostoli, vivano come gli altri, come Cristo e Paolo, che non cercarono distinzioni, e furono sempre
in polemica contro la religiosa ipocrisia, i turiboli maleodoranti. Se la comunità cristiana deve
essere una comunità fraterna, voi capite quante impalcature devono cadere! In genere, noi ci
difendiamo dal radicalismo del Vangelo con lo “spiritualismo”, senza comprendere che l’essere
figli di Dio deve tradursi in forme visibili dl fraternità. Noi abbiamo titoli a non finire. Nella società
civile, sono stati compiuti passi grandiosi nella direzione dell’uguaglianza, libertà, fraternità; nello
stato di diritto, quanti privilegi (meglio, pravilegi!) sono caduti; all’interno della chiesa, invece,
sopravvivono. La chiesa, in un passo del Concilio, riconosce che il mondo ha molto da insegnarci!
BUONA VITA!