La domenica di Don Galeone: “Gesù a Cana compie il suo primo miracolo: l’acqua è trasformata in vino”

16 Gennaio 2022 - 08:51

II Domenica tempo ordinario (C) – 16 gennaio 2022

Non hanno più vino!

Prima lettura: Gioirà lo sposo per la sposa (Is 62,1). Seconda lettura: L’unico e medesimo Spirito distribuisce a ciascuno come vuole (1 Cor 12,4). Terza lettura: Così Gesù diede inizio ai suoi miracoli in Cana di Galilea (Gv 2,1). 1)

Una delle caratteristiche della religione ebraica (e anche cristiana) è la paura della divinità (deos timor fecit!), paura che si tenta di esorcizzare mediante l’osservanza meticolosa e ossessiva di pratiche, di tabù, di riti purificatori. Ne deriva un rapporto con Dio angosciante. Questa religione, fondata sulla miseria psicologica umana, si concretizza nel groviglio di obbligazioni e norme, osservanze e proibizioni, «precetti e insegnamenti umani senza alcun valore» (Col 2,22).

Ritroviamo questo rapporto errato con Dio ogni volta che ricompare la religione dei precetti, delle minacce. E’ una religione che toglie il sorriso, genera scrupoli, trasforma anche la festa in un dovere giuridico. Avere paura di Dio, trasformare la religione in una caserma, fare le cose per dovere… può piacere a Dio? L’obbligo della messa domenicale mal si concilia con la gioia dell’incontro con Dio Padre. Eppure il Catechismo della Chiesa Cattolica così recita: “La Chiesa fa obbligo ai «fedeli di partecipare alla divina Liturgia la domenica e le feste» (CCC 1389), e « che deliberatamente non ottemperano a quest’obbligo commettono un peccato grave» (Ib.). Peccato ‘grave’ è la stessa cosa che peccato ‘mortale’, come ha chiarito Giovanni Paolo II: “Il peccato grave s’identifica praticamente, con il peccato mortale” (Reconciliatio et Paenitentia 17). Ma una religione, che manda all’inferno un fedele che non è andato a messa la domenica, ci obbliga a chiederci: in quale Dio crede? Quale Dio ha in testa?

E’ urgente ristabilire con Dio un rapporto d’amore. Nella Bibbia vengono impiegati vari simboli per descrivere l’amore di Dio per il suo popolo. Egli è liberatore, alleato, re, pastore… Il profeta Osea introduce un’altra immagine – la più espressiva di tutte – quella coniugale: il Signore è lo sposo, Israele la sua sposa. Gli israeliti hanno impiegato un po’ di tempo ad applicarla al loro Dio, perché temevano che qualcuno equivocasse fantasticando su avventure amorose come quelle degli dèi greci. Scongiurato il pericolo, ecco che nei grandi profeti – Isaia, Ezechiele, Geremia – quest’immagine diviene la più rilevante.

Le tre letture bibliche di questa domenica sono un invito a entrare nel progetto di Dio e questa verità ci viene comunicata attraverso la bella immagine delle nozze: Gesù e i suoi seguaci non erano stati invitati alla nozze, eppure parteciparono anch’essi alla festa. Il racconto di Giovanni è davvero gustoso, ma attenzione ai numerosi simboli; difatti egli chiama tutti i miracoli di Gesù “segni/σημεῖον”, proprio a motivo di questo metalinguaggio.

Premesso che il matrimonio presso gli ebrei durava da 5 a 7 giorni, e che gli apostoli non si fecero pregare per mangiare e bere, notiamo subito che Gesù manifesta la sua gloria, inizia la sua missione non attraverso una lezione di catechismo, un congresso eucaristico, una solenne enciclica, ma un banchetto, un matrimonio, un fatto della vita, una situazione per nulla sacrale. Un banchetto di nozze, un po’ di allegria, qualche bicchiere in più del previsto: tutto qui. E’ quasi scandaloso che Gesù faccia il suo “primo” miracolo durante un banchetto! Ancora del vino, perché non cessi l’allegria! Questo significa che tutto è sotto lo sguardo di Dio, i nostri poveri giorni, le nostre povere gioie e dolori. Scandalizziamoci pure: anche un bicchiere di buon vino in più serve a ricordarci che Dio ci è vicino. Dio non è il guastafeste della nostra vita! “Tutto è grazia!” è la splendida frase che chiude il Diario di un curato di campagna, di Bernanos. Non siamo chiamati a cose eccezionali, ma a vivere con attenzione la vita. Sì, perché quanti furono a quel banchetto a riconoscere fra loro la presenza di Dio?

Ci troviamo davanti a un Vangelo un po’ strano, addirittura imbarazzante. Giovanni nel suo Vangelo narra solo sette miracoli/segni: possibile che non ne avesse uno più interessante da scegliere? A leggere questo brano viene da concludere: “Siamo a livello di Bacco!”. Le difficoltà sono numerose:

i primi discepoli di Gesù erano stati seguaci del Battista, un asceta che non mangiava e non beveva (Mt 11,18). Di fronte a un eccesso di vino, non avrebbero dovuto credere in Gesù, ma rimanere scandalizzati. Perché l’evangelista Giovanni dà tanta importanza a questo episodio? Sottolinea che è stato il primo dei segni compiuti da Gesù, segno di fronte al quale i discepoli hanno creduto. Impiega un’espressione solenne, che non ricorre in nessun’altra parte del Nuovo Testamento: «Gesù manifestò la sua gloria» (Gv 2,11). Per così poco? Le annotazioni dell’evangelista sembrano eccessive, fuori luogo. Sarebbero più logiche, per esempio, dopo la guarigione del cieco nato o dopo la risurrezione di Lazzaro;

e ancora: non si parla dei protagonisti della festa. La sposa non esiste proprio, lo sposo ha un ruolo insignificante, non dice una parola; più importanti di loro sono il capotavola, i servi e le giare che vengono descritte fin nei minimi particolari (v.6);

ci si chiede ancora: che cosa ci facevano in una casa privata tante giare di pietra solo per le purificazioni? Non si capisce bene neppure perché si parli della madre di Gesù senza citarla per nome, esattamente come avviene ai piedi della croce (Gv 19,25). Se avessimo solo il Vangelo di Giovanni, non sapremmo nemmeno che si chiamava Maria. C’è anche un accenno misterioso all’ora di Gesù. Un’ora drammatica che si avvicina sempre più. Di essa si parlerà più avanti nel Vangelo di Giovanni (Gv 7,30; 8,20; 12,23.27; 17,1). Di che ora si tratta?

infine: perché dopo aver dato una risposta negativa e un po’ brusca alla madre, Gesù compie ugualmente il miracolo? Troppe difficoltà ci fanno intuire che questo brano non è un semplice fatto di cronaca! Dietro il racconto, apparentemente semplice, si cela un messaggio più profondo. Il Vangelo di Giovanni è come un immenso oceano: può essere contemplato in superficie oppure in profondità. Dalla riva affascinano l’incresparsi delle onde, ma le emozioni più intense sono per chi scende nel fondo profondo. Che cosa c’è in profondità? Per scendere dobbiamo attrezzarci con gli strumenti che ci vengono forniti dall’Antico Testamento.

La festa di nozze Il nome Israele – che per noi è maschile – in ebraico è femminile: un’opportunità che i profeti non si sono lasciati sfuggire per introdurre il simbolismo coniugale nella descrizione del rapporto del loro popolo con il Signore: Dio – dicono – è lo sposo fedele, mentre Israele è la sposa che spesso si lascia sedurre dagli idoli, concede il suo amore a estranei. Al tempo di Gesù, Israele aveva ripreso gli atteggiamenti della schiava, non quelli della sposa. Particolare interessante: ‘Cana’ in ebraico si dice Qanàh /הָנָ ק che significa ‘comprare’: Israele – sposa infedele – è stata comperata e redenta da Dio: “Ti farò mia sposa nella fedeltà e tu conoscerai il Signore” (Os 2,21).

Il vino Nella Bibbia è condannata l’ebbrezza (Prv 23,30), ma il vino è anche simbolo della felicità e  dell’amore (Qo 10,19; Ct 4,10). Una festa senza vino diventa un funerale: «Che vita è quella di chi non ha vino?» (Sir 31,27). «Il vino rallegra il cuore dell’uomo» – esclama il Salmista (Sal 104,15). «Non c’è vino; ogni gioia è scomparsa» – afferma Isaia (Is 24,11). Al tempo di Gesù, i rapporti tra Israele e Dio non sono più quelli della sposa, ma quelli della schiava costretta a obbedire agli ordini del padrone. Siccome le trasgressioni sono inevitabili e ci si sente sempre impuri, sono stati escogitati i riti di purificazione, i bagni rituali per i quali è indispensabile avere sempre a disposizione l’acqua (in ebraico miqvèh הֶוְ קִ מ).  Eccolo allora il significato simbolico delle sei giare di pietra piene di acqua: rappresentano la religione delle purificazioni, dei riti incapaci di comunicare serenità e gioia; le sei giare sono di ‘pietra’ e non di ‘argilla’ a simboleggiare la durezza della legge. Le nozze di Cana senza vino rappresentano la condizione triste del credente che ha sostituito le beatitudini con i precetti, la sequela con i comandamenti. E’ inutile ricorrere al capotavola, cioè ai capi religiosi, che sono incapaci di organizzare un’autentica festa. Giovanni colloca questo «segno» all’inizio del suo Vangelo perché è una sintesi di tutto ciò che Gesù farà in seguito. La festa è iniziata, ma avrà il suo culmine quando «giungerà la sua ora». A Cana egli compie solo un “segno” di ciò che farà.

Non hanno più vino! L’espressione significa che è finito il vecchio ordine religioso. Questo si comprende quando teniamo conto che l’acqua che Gesù trasformò in vino non era acqua per usi domestici o profani, cioè non era acqua per la vita (bere, cucinare, lavarsi, irrigare…), ma era acqua per la religione. Il Vangelo lo indica espressamente (Gv 2,6): circa seicento litri d’acqua, in contenitori di pietra. Si esprime così, in linguaggio metaforico, l’enormità e la pesantezza della religione del tempo (Charls Harold Dodd). In definitiva, ciò che Gesù ha voluto dire, mediante questo segno a Cana, fu che il vecchio ordine religioso era terminato. I convitati “non hanno più vino” significa pure che il popolo è privo del vino della felicità, che l’uomo ha bisogno di Dio, che i nostri pozzi sono screpolati, che la nostra acqua è inquinata, che la nostra vita “fa acqua” da tutte le parti. Dio manifesta la sua “gloria” (doxa) (Gv 2,11) in altro modo: non imponendo rituali religiosi e purificazioni sacre. Dio si comunica, invece, nella vita, nella gioia della vita. Per comprendere bene il contrasto tra la religione del Battista e di Gesù, bisogna ricordare la parabola dei due gruppi di bambini che giocano nella piazza del villaggio (Mt 11,16; Lc 7,32): in questa parabola Gesù paragona Giovanni Battista a un funerale, mentre identifica se stesso con una festa di nozze. Davvero la religione umana di Gesù è diversa da quella dell’asceta Giovanni!

Fate quello che vi dirà! A Cana, come sul Calvario, si attua per Maria un passaggio ad una sfera superiore: a Cana, dal ruolo di madre terrena a collaboratrice nella fede; sul Calvario, da madre di Gesù a madre dei discepoli di Cristo; per il miracolo operato grazie al suo intervento, i discepoli credono in Cristo; per il dono di Gesù morente, il discepolo prende Maria con sé come madre. L’intervento di Maria ci ricorda il suo ruolo nella storia della chiesa e di ogni credente. Ad Iesum per Mariam! Buona vita!