La Domenica di Don Galeone: “Ipocrisia, formalismo, esteriorità: tre pericoli sempre incombenti” 

29 Agosto 2021 - 08:51

XXII Domenica del TO/B – 29 agosto 2021

CONSERVARE o CAMBIARE  ?

Prima lettura: Non aggiungerete e non toglierete nulla! (Dt 4,1). Seconda lettura: Siate di quelli che mettono in pratica la parola (Gc 1,17). Terza lettura: I farisei insegnano dottrine che sono precetti di uomini (Mc 7,1).

In Egitto non è mai esistito un codice di leggi, anzi, la stessa parola “legge” è sconosciuta, perché il faraone, incarnazione del dio Ra/Ammon, stabiliva, con la sua parola, il giusto e l’ingiusto. Egli, secondo i testi egiziani, “prende consiglio dal proprio cuore, detta allo scriba disposizioni eccellenti e ordina ai giudici di far applicare le sue parole”. Nulla di simile in Israele: la legge non è del re ma di Dio: il re ha il potere esecutivo e giudiziario ma non legislativo; il suo compito è che tutti osservino la legge del Signore, lui per primo. Nel giorno della sua incoronazione, gli era offerta una copia della Toràh perché la meditasse ogni giorno della sua vita (Dt 17,18). Chi, come il faraone, si illude di essere saggio, va incontro al fallimento; a costui la Bibbia nega il titolo di saggio (Sal 14,1) perché la vera saggezza è nell’osservanza della Toràh.

Prima lettura (Dt 4,1)    Questo brano appartiene al primo dei discorsi che formano il libro del Deuteronomio e che sarebbero stati pronunciati da Mosè stesso il giorno della sua morte (Dt 1,1-5). Sono quindi le sue ultime parole, il suo testamento spirituale! Ma si tratta di un artificio letterario: l’autore sacro (anonimo!) mette in campo Mosè per dare autorevolezza alle sue parole: il libro in realtà è stato scritto poco prima del 400 a.C. ma Mosè è vissuto nel 1200 a.C. Sono trascorsi, quindi, almeno 800 anni! Il libro del Deuteronomio è stato composto forse a Babilonia, forse da un sacerdote, forse nel 400 a.c. Troppi forse! È rivolto agli israeliti delusi e rassegnati al loro destino, dopo il loro ritorno in Israele dall’esilio di Babilonia. L’autore invita a non scoraggiarsi perché essi sono sempre in possesso del dono più grande, la Toràh. Questa Toràh non può essere modificata perché non è opera di uomini ma di Dio. Notiamo subito che Gesù ha un atteggiamento molto più libero: “Scrollatevi questo giogo insopportabile, senza preoccuparvi delle critiche e delle minacce di chi, abusivamente, lo ha caricato in nome di Dio” (Mt 11,28-30). L’attaccamento alla Legge, che pure ha reso grande Israele, comportava due pericoli: a) mettere sullo stesso piano tutti i precetti (248 positivi, 365 negativi); b) credersi giusti non per grazia di Dio ma per la semplice osservanza della Legge. Gesù prende spunto dalle prescrizioni di purità rituale della tradizione ebraica per insegnare che Dio rifiuta la pratica solo esteriore della religione; Gesù fa suo il rimprovero del profeta Isaia: “Questo popolo mi onora con le labbra, ma il suo cuore è lontano da me” (Is 29,13 = Mc 7,6). Nella nostra vita di fede, gli atti esteriori, gli stessi sacramenti, devono avere le radici nel cuore puro, nell’intenzione sana. E le tradizioni? Esse sono valide se, nell’oggi, ci aiutano ad osservare l’unico comandamento dell’amore di Dio e del servizio del prossimo.

Cosa è puro e impuro    Noi cristiani difficilmente riusciamo a immaginare la rivoluzionaria rivelazione, la potenza liberante delle affermazioni di Gesù. Il pagano, lo stesso ebreo, vivevano chiusi in innumerevoli tabù, norme, divieti; per gli ebrei i divieti erano 365 (quanti sono i giorni dell’anno), e i precetti invece 248 (quante erano le ossa del corpo umano, secondo gli ebrei): bisogna osservare ben 613 norme! Le cose erano pure o impure, sacre o profane, benefiche o malefiche, per ragioni misteriose, e chi violava una prescrizione, incorreva in terribili sanzioni, anche a sua insaputa. Non solo le cose erano impure, lo erano anche certi uomini (le donne, naturalmente, tutte!). Un mio amico sacerdote del Burundi mi descriveva con stupore cosa aveva provato il giorno del suo battesimo; la sua prima educazione pagana gli aveva inculcato molte superstizioni popolari, facendolo vivere in un universo di terrore. Poi il battesimo segnò l’ora felice della sua liberazione; da quel momento si aggirava nella foresta come Adamo nel paradiso, in un universo riconciliato. Gesù ha abbattuto tutte le frontiere: nessuna cosa, nessun essere è impuro per natura o per nascita; ogni impurità viene dal cuore; solo il peccato rende impuri. Pietro descrive l’esperienza che gli fece superare i suoi pregiudizi: vide in estasi “dal cielo spalancato scendere una tovaglia, che conteneva ogni sorta di animali; una voce gli ordinò di uccidere e di mangiare, ma Pietro gridò: “No, Signore, finora non ho mai mangiato nulla di immondo”. Ma la voce insisté: “Non considerare impuro quello che Dio ha purificato” (At 10,11).

Niente è impuro, perché Dio ha purificato tutto!    Con Gesù, la distinzione tra sacro e profano, tra puro e impuro, è abolita. Gesù ha desacralizzato tutto ciò che era “sacro” e ha sacralizzato ogni uomo e ogni donna: “Tutte le cose cattive vengono fuori dal di dentro, e contaminano” (Mc 7, 23). Proviamo a immaginare lo stupore dei vecchi credenti circoncisi quando constatano che lo Spirito era stato diffuso anche sui pagani; perciò Pietro esclama: “Chi può negare il battesimo a queste persone che hanno già ricevuto lo Spirito” (At 10,45). Noi, nei secoli passati, abbiamo ricostruito i tabù aboliti da Gesù. Mi riferisco non solo alle superstizioni diffuse sia tra i credenti che tra gli atei, ma anche ad altre frutto della nostra male-educazione religiosa: in molti luoghi, per esempio, ancora oggi gli sposi ritengono impuri i loro rapporti sessuali, e si astengono dalla comunione; tanti fedeli provano terrore al pensiero di ricevere Gesù nelle loro mani, e perciò continuano a fare la comunione con la convinzione che la “bocca” è più pura delle “mani”; la donna, agli occhi di molti, resta impura, e nella chiesa può raggiungere la sua dignità solo nella verginità, cioè rinnegando la sua femminilità. Soprattutto, ci capita di meravigliarci nel vedere la santità fiorire “fuori” dalla chiesa: i cristiani hanno creduto per molto tempo di monopolizzare lo Spirito; per fortuna egli riempie tutto l’universo, “illumina ogni uomo che viene in questo mondo” (Gv 1,9). Insomma, il Signore, il Santo, non ha paura  di stare con noi peccatori: “Se qualcuno mi apre, entrerò da lui, cenerò con lui e lui con me” (Ap 3,20).

L’uomo è il metro di tutto, e Dio è il metro dell’uomo     E’ da tutti riconosciuto che il rapporto tra coscienza e legge è stato illuminato da Gesù, e tutto a vantaggio della coscienza. Nel brano del Deuteronomio abbiamo ascoltato l’importanza della legge; grazie alla legge quei profughi dall’Egitto divennero un popolo. La legge ebraica fu data da Mosè in vista della Terra Promessa; era una legge che non aveva valore di per se stessa, quasi fosse garanzia di santità. Per quel popolo in cammino, la legge era garanzia di compattezza sociale, di unità religiosa; quindi, una legge aperta sul futuro, e per questo relativa, disponibile al cambiamento. Assoluto è il viaggio verso la Terra Promessa non la legge; come dirà Paolo: la legge è pedagogia verso la realizzazione. Quando la legge diventa un assoluto, in quel momento il viaggio si blocca, muore la speranza, cadiamo nell’idolatria. La contrapposizione però tra coscienza e legge, tra antica e nuova alleanza, tra Dio degli ebrei e Dio di Gesù, tra legge del taglione e legge dell’amore … è posta male se concludiamo che gli ebrei sono i cattivi e i cristiani sono i buoni! Il pericolo di osservare la legge e di sacrificare l’uomo è presente in tutte le religioni! “La legge è buona” dirà l’apostolo Paolo, proprio uno dei critici più severi della legge; solo che la legge diventa facilmente strumento di potere. Questo gruppo di farisei e di scribi, contro cui combatte Gesù, usa la legge per garantire il proprio dominio sugli altri; furono proprio i custodi della legge a uccidere Gesù, che non era venuto per abolire la legge ma per darle compimento e pienezza. Gesù si pose davanti alla legge non per negarla, ma per distinguere la volontà di Dio dalle tradizioni umane.

Esaminare tutto, e prendere ciò che è buono!     Sono nella memoria di tutti noi quelle cavillose regole che disciplinavano il digiuno, l’astinenza, il rituale, le rubriche, la casistiche; tutte regole che sono valide nella misura in cui restano sempre funzionali all’uomo, pronte a scomparire quando diventano inutili. Per essere fedeli alla parola del Signore, noi dobbiamo abolire ancora oggi ogni discriminazione morale che nasce dall’esterno dell’uomo. Ecco perché il vangelo è un annuncio liberante; ma noi, figli dei farisei più che fratelli di Gesù, abbiamo riformulato la legge del Talmud e del Codice, soffocando così lo spirito creativo della Parola; abbiamo riformulato la distinzione tra sacro e profano, che Gesù ha abolito. L’unica realtà sacra per Gesù è l’uomo vivente! Vale più un uomo vivente che questo sacro edificio; anche il sabato (e quando Gesù diceva “sabato” diceva un valore sacro!), è per l’uomo. Siamo ancora agli inizi, agli esordi del cristianesimo: la sua energia innovativa deve ancora manifestarsi!

Ipocrisia, formalismo, esteriorità: tre pericoli sempre incombenti     Oggi la parola “fariseismo” è diventata sinonimo di “ipocrisia”, ma all’inizio era sinonimo di “perfezione”; siamo nel falso se pensiamo che tutti i farisei erano ipocriti. Cristo aveva 4 numerosi amici tra i farisei; Nicodemo, che va da Gesù di notte e che più tardi lo difende nel sinedrio, era un fariseo. Fariseo era anche Gamaliele, che difende gli apostoli davanti al sinedrio; alcuni farisei lo invitano persino a pranzo in casa loro. Anche Paolo era un fariseo; i farisei, tra l’altro, hanno avuto il merito di avere conservato l’unità nazionale e religiosa in tempi difficili. Ma questo attaccamento alla Legge li esponeva a due pericoli: il primo era quello di mettere sullo stesso piano tutti i precetti religiosi, morali, civili, cultuali, per cui era difficile poi districarsi tra i 248 comandi e i 365 divieti; la Legge finiva per diventare un gabbia, una schiavitù; il secondo errore era quello di credersi santi e giusti per il solo fatto di avere osservato la Legge, come se questa fosse fonte di salvezza e non un dono di Dio. Ipocrisia, formalismo, esteriorità sono pericoli sempre incombenti, soprattutto nelle persone che frequentano la religione; anche la chiesa primitiva corse il rischio di esserne intrappolata, e fu necessario un concilio, la forte parola di Paolo, per liberarsi dalle tradizioni giudaiche. Noi siamo ipocriti a) quando confondiamo il vangelo di Cristo con le mutevoli forme storiche e culturali dell’occidente latino, con la lingua latina, la filosofia greca, il canto gregoriano, l’abito che, si dice, fa il monaco! b) quando cerchiamo di ingessare l’inafferrabile Spirito, quando diciamo “Questa è la legge” a coloro che sono stati liberati dalla legge; c) quando confondiamo la fedeltà alla tradizione con la fedeltà alla propria pigrizia. Fedeli a Dio e fedeli all’uomo, cioè una fedeltà dinamica e non meramente ripetitiva. L’immobilità spegne la vita. Gesù ha detto di essere la “verità”, non la “tradizione”. Buona vita e buone vacanze!

Ogni mattina, il potente e ricchissimo re di Bengodi riceveva l’omaggio dei suoi sudditi. Aveva conquistato tutto il conquistabile e si annoiava un po’. In mezzo agli altri, puntuale ogni mattina, arrivava anche un silenzioso mendicante, che porgeva al re una mela. Poi, sempre in silenzio, si ritirava. Il re, abituato a ricevere ben altri regali, con un gesto un po’ infastidito, accettava il dono, ma appena il mendicante voltava le spalle cominciava a deriderlo, imitato da tutta la corte. Il mendicante non si scoraggiava. Tornava ogni mattina a consegnare nelle mani del re il suo dono. Il re lo prendeva e lo deponeva macchinalmente in una cesta posta accanto al trono. La cesta conteneva tutte le mele portate dal mendicante con gentilezza e pazienza. E ormai straripava. Un giorno, la scimmia prediletta del re prese uno di quei frutti e gli diede un morso, poi lo gettò sputacchiando ai piedi del re. Il sovrano, sorpreso, vide apparire nel cuore della mela una perla preziosa. Fece subito aprire tutti i frutti accumulati nella cesta e trovò all’interno di ogni mela una perla. Meravigliato, il re fece chiamare lo strano mendicante e lo interrogò. “Ti ho portato questi doni, sire,” rispose l’uomo, “per farti comprendere che la vita ti offre ogni mattina un regalo straordinario, che tu dimentichi e butti via, perché sei circondato da troppe ricchezze. Questo regalo è il nuovo giorno che comincia!”.