La Domenica di Don Galeone: “Ogni anno, la Vigilia di Natale, ci illudiamo che sarà un Natale più intimo e spirituale. Una delusione! Anche quest’anno la scena della baraonda consumistica si ripete, secondo un copione già noto”

17 Dicembre 2022 - 00:10

18 dicembre 2023 ✶ IV domenica di Avvento (A)

Conversione? Sì, grazie!

Prima lettura: Ecco, la vergine concepirà un figlio (Is 7,10). Seconda lettura: Gesù, della stirpe di Davide, figlio di Dio (Rm 1,1). Terza lettura: Gesù, figlio di Maria e di Giuseppe, della stirpe di Davide (Mt 1,18).

Prima lettura (Is 7,10-14)  Il contesto storico, in cui è stato pronunciato questo oracolo, è ben noto. Nel 734 a.C. i re di Aram e di Israele si alleano nel tentativo di liberarsi dal giogo assiro, e vogliono coinvolgere nella loro temeraria impresa anche il re di Giuda Achaz. Questi si rifiuta, allora i due re decidono di detronizzarlo. Il giovane Achaz – ha appena vent’anni – è sgomento e confuso. Isaia decide di rivolgersi personalmente ad Achaz e lo rassicura: «Ciò che tu temi non avverrà e non accadrà» (Is 7,8). Gli chiede di avere fiducia non nell’Assiria, ma nel Signore e nelle sue promesse. Nulla da fare! Il re è sempre più convinto che la forza degli assiri meriti più fiducia di Dio. Passano alcuni giorni e Isaia va di nuovo a trovarlo, nel suo palazzo. Siamo giunti alla nostra lettura. Gli dice: “Se non hai fiducia nelle mie parole, chiedi un segno!” (v.11). Ad Achaz non interessa nessun segno, ma Isaia dà ugualmente il segno: «Ecco, la vergine concepirà e darà alla luce un figlio, che chiamerà Emmanuele» (v.14). Che significa? Qualcuno ha pensato che Isaia predicesse, con sette secoli di anticipo, il concepimento verginale di Maria, ma un simile segno non ha nessun senso per Achaz. La vergine, cui Isaia si riferisce, è Abijah, la giovane moglie del re. Questa ragazza – assicura il profeta – avrà un figlio il cui nome sarà «Emmanuele, Dio è con noi». Questo figlio succederà a suo padre, nessuno lo spodesterà, anzi, sarà un grande re, un nuovo Davide. L’evangelista Matteo ha visto la piena realizzazione di questa profezia nella nascita di Gesù dalla vergine.

Vangelo (Mt 1,18-34)   Sia Luca, sia Matteo fanno riferimento a fatti reali, anche se difficilmente definibili nei dettagli, ma non scrivono pagine di cronaca, fanno teologia: presentano Gesù post-pasquale. Vediamo come Matteo struttura il suo racconto e quale messaggio vuole dare:
al tempo di Gesù il matrimonio avveniva in due tappe. La prima consisteva nel contratto stipulato fra i due sposi davanti ai genitori e a due testimoni; dopo questa firma, il ragazzo e la ragazza erano marito e moglie, ma non andavano a convivere, lasciavano trascorrere ancora un anno, durante il quale non si potevano incontrare; quest’intervallo serviva alle due famiglie per una migliore conoscenza e ai due sposi per maturare: ci si sposava, infatti, molto giovani, dodici- tredici anni la ragazza; quindici-sedici il ragazzo; questa doveva essere l’età di Maria e Giuseppe;
passato l’anno di attesa, veniva organizzata una festa, la sposa era condotta alla casa del marito e i due iniziavano la vita in comune. Fu durante questo intervallo che ebbe luogo l’annunciazione a Maria e la sua gravidanza per opera di Spirito Santo. Il concepimento verginale non costituisce un deprezzamento della sessualità. È introdotto per «rivelare» una verità fondamentale per il credente: Gesù non è unicamente uomo, egli viene dall’alto, ed è anche figlio di Dio. Ciò che è successo in seguito solleva parecchi interrogativi:
Appare incredibile che Giuseppe, nonostante la sua rettitudine, pensi di prendere provvedimenti drastici nei confronti di Maria. Come poteva sospettare che gli fosse stata infedele?
Come mai Maria non ha detto nulla a Giuseppe dell’annuncio che aveva avuto dall’arcangelo Gabriele? Oppure, se glielo ha detto, perché Giuseppe non le ha creduto? È meglio non tentare di trovare nel Vangelo risposte a interrogativi, che noi legittimamente ci poniamo, ma che a Matteo non interessavano.

In questa conclusione del brano ritorna il tema della «vergine». Per noi «vergine» significa «ammirevole, degna di stima». Nella Bibbia, invece, ha un diverso significato. La verginità di una donna era apprezzata prima del matrimonio, non dopo. Degna di lode in Israele era la donna sposata che aveva figli; la vergine era considerata un albero senza frutti, meritevole di commiserazione (Is 56,3). L’espressione “vergine Sion” non vuol dire: «Gerusalemme pura, immacolata, senza macchia», ma «povera, disprezzata, priva di vita» (Ger 31,4; 14,13). E Maria?… Parla di sé come se fosse la “vergine Sion”, disprezzata e senza valore («…ha guardato la bassezza, la povertà della sua serva») e riconosce che tutto quanto è avvenuto in lei è opera del «Potente» che ha fatto in lei grandi cose (Lc 1,48). Maria vergine è la prova della grandezza e della forza dell’amore di Dio, il solo che dall’utero sterile sa trarre la vita.

Consumisti e consumati    Ogni anno, la Vigilia di Natale, ci illudiamo che sarà un Natale più intimo e spirituale. Una delusione! Anche quest’anno la scena della baraonda consumistica si ripete, secondo un copione già noto. Viene un senso di scoramento, perché abbiamo la sensazione che le parole cadano nel vuoto, meglio, in un clamore assordante e annientante. È come gettare un sasso nel mare in tempesta: nessuno se ne accorge, meno ancora il mare. Viviamo, infatti, in un mare che, in superficie, sembra gioiosamente tempestoso, vitalisticamente burrascoso, romanticamente corroborante, pieno di luccichii multicolori; la gente si sposta da un punto all’altro come le moltitudini bibliche, solo che non è mossa dalla necessità né dalla sopravvivenza né dal desiderio di seguire la Voce divina o la Stella dell’Oriente. Viviamo storditi e catatonici, cerchiamo di sentirci felici solo se usciamo da un negozio (anzi, da più negozi!), sovraccarichi di pacchi e pacchettini. Quest’alienazione consumistica conduce all’alienazione religiosa! Sia chiaro: nulla contro i consumi, solo un richiamo ai veri valori del Natale e alle vere gioie della vita. Oggi il modo di vivere il Natale è paurosamente scaduto; immagini, simboli, tradizioni … non significano più nulla; Natale ci appare senza messaggi. Se abbiamo fede, dobbiamo collegare il Natale alla Pasqua di morte e risurrezione; se non operiamo questo collegamento, tutto diventa fiaba, involucro poetico, crisalide sterile. Un cattivo Natale viene celebrato “secondo la carne”; un buon Natale viene celebrato “secondo lo spirito”.

Natale! Saper riconoscere l’Inaspettato   Partiamo da quest’esperienza: immaginiamo un giorno di attendere una visita importante, e, correndo alla porta al suono del campanello, ci troviamo di fronte un povero. Una delusione! I casi saranno due: o lo mandiamo via, in fretta e in malo modo, perché l’aspettato non è lui; o lo trattiamo con più gentilezza del solito, ma sempre in fretta, perché attendiamo un altro. Anche a noi potrebbe capitare di aprire la porta, e di trovarci di fronte a un inaspettato, a uno sconosciuto. A Natale, almeno due equivoci possono ingannarci:
primo equivoco: puntare sulle gioie e non sulla Gioia. La parola “natale” ha subito una profonda degradazione semantica; oggi la parola “natale” significa per molti cristiani clientela, regali, vacanze, tredicesima … che sono certo significati reali ma estranei al Natale cristiano. Attenzione allora: le piccole gioie, che si hanno o meno, sono appena un piccolo segno della grande Gioia che Dio vuole donarci a Natale;
secondo equivoco: interpretare il Natale più come “commozione” che come “conversione”; commuoversi significa cedere tutto finché il cuore è intenerito, e tornare poi come prima, appena finita la fibrillazione; convertirsi, invece, significa cambiare testa, scegliere i valori del Vangelo, mettere Dio al primo posto. Provate a radunare un po’ di adulti intorno a bambini felici, all’albero carico di doni: non è commovente? Provate a costruire un presepio, con le belle statuine della nostra infanzia, i laghetti e il carillon: non è commovente? Non dico che la commozione non sia buona; dico solo che commuoversi non basta! Insomma, può bussare alla porta Uno che non stiamo attendendo, e tuttavia potrebbe essere l’Ospite giusto! Natale è vicino. Interroghiamoci se aspettiamo le gioie o la Gioia, se siamo capaci di riconoscere l’Inaspettato!