LA NOTA. IL CASO CASAGIOVE. Danilo D’Angelo ha seri carichi pendenti, ma avrebbe potuto candidarsi. Non aver presentato il certificato è colpa grave di democrazia

3 Novembre 2020 - 13:39

Vi spieghiamo per quale motivo abbia rappresentato un errore la decisione di rendere pubblico solo il certificato del casellario giudiziario. Almeno ai nostri occhi, il coraggio di presentare quello dei carichi pendenti avrebbe rafforzato di molto la sua posizione

CASAGIOVE (g.g.) – Sarebbe stato opportuno, secondo noi, che Danilo D’Angelo, prima delle ultime elezioni comunali, presentasse non solo il certificato del casellario giudiziario, ma anche, e aggiungiamo, soprattutto, quello dei carichi pendenti. Avendo presentato solo il primo, ha certificato a priori di non aver avuto condanne definitive, il ché, in un Paese civile, in una democrazia liberale, è già un fatto significativo, ma che non annulla necessariamente, a nostro avviso, la validità e il peso di una certificazione sui carichi pendenti.

Perché è chiaro, se uno non ha mai subito sentenze definitive, come emerge dal casellario, ed è “pulito” sui carichi pendenti, oppure ci sono procedimenti in corso relativi a reati non gravi, il casellario giudiziario diviene la certificazione prevalente che rende pienamente valida una candidatura anche dal punto di vista di quella che noi definiamo l’etica dell’opportunità. Se invece i procedimenti sono molti e riguardano reati non lievi, ciò non significa assolutamente nulla per quanto riguarda il giudizio sulla persona, ma su quel terreno dell’etica dell’opportunità i

dubbi affiorano. Nel caso di D’Angelo, sui carichi pendenti qualcosa di serio è affiorato. 

Non colpevole, non colpevole, ancora una volta non colpevole, come persona e come cittadino. Non colpevole senza sé e senza ma. Per quanto riguarda, invece, l’obiettivo di ricoprire una funzione di alta rappresentanza istituzionale di tutti i cittadini di un comune, nel caso di specie quello di Casagiove, il discorso è un po’ diverso e va rimodulato.

Alt, noi siamo liberali, non moralisti. Anche se all’interno di quel certificato penale, anzi, giusto per fare un esempio, all’interno del certificato penale di un certo signor milanese di nome Mario Rossi, risultano reati seri riguardanti appartenenti alla sfera economica, qualche scivolatina relativa al tema degli stupefacenti e mettiamoci pure, per rendere bene l’idea, un omicidio, naturalmente contestato sul piano di indizi e fotografato all’interno di un processo di primo grado, necessariamente a esito aperto perché se è piede libero vuol dire che la stessa accusa non ha prodotto elementi tali da giustificarne l’arresto cautelare, non è che Mario Rossi debba dar conto ai conoscenti e neppure ai familiari, all’ambito di quella che viene comunemente definita sfera privata, delle sue vicissitudini giudiziarie. Ma se il signor Rossi vuole candidarsi a sindaco o anche a consigliere comunale di Milano, da liberali diciamo che lo può fare lo stesso, anche con carichi pendenti complicati, perché è democratico e liberale affermare che una persona indagata o processata è una persona non colpevole e può fare anche il candidato sindaco, non avendo ricevuto neppure una condanna in primo grado che possa giustificare l’utilizzo della legge Severino.

Però, da una cosa Mario Rossi non può sfuggire. Nel momento in cui elabora una proposta politica e la sottopone ai suoi concittadini, non può pensare che gli elettori debbano solamente leggere i contenuti di quella proposta. Al contrario, devono sapere tutto, aggiungiamo noi, finanche le questioni private, di chi quel progetto propone, con l’idea di attuarlo da sindaco e dunque da individuo che assume una personalità regolata dal diritto pubblico. E su questo non ci piove: uno si può pure candidare con 100 mila carichi pendenti anche pesanti, ma a condizione che il cittadino-elettore lo sappia e conosca tutta la situazione del candidato nei minimi particolari, in modo da poter decidere, anche dopo ricostruzioni, giustificazioni che il medesimo candidato potrà esporre in campagna elettorale, se quello status, se quelle accusa ipotizzate o anche contestate in un processo siano o meno tali da pregiudicare la decisione di votarlo il pienodiguai. Perché se nel tribunale c’è un giudice che decide il tuo destino giudiziario, ce n’è un altro, cioè l’elettore, (suddivisione dei poteri, altro concetto liberalissimo che in Italia si sono messi sotto i piedi), che decide se una persona, senza condanne passate in giudicato, o in primo grado ma che incrocino la legge Severino, debba essere votato o meno. Questo giudice non può essere minimamente compulsato dall’altro giudice, quello dei tribunali.

In poche parole, ci sarà pure un motivo se tutti i partiti (tranne De Luca con la sua lista civica, ma oramai lì che ne parliamo a fare, dato che è stata riempita di inquisiti) chiedono ai propri candidati di presentare il certificato del casellario giudiziario e anche quello penale, aggiungendovi, come ha ha fatto, ad esempio, Fratelli d’Italia, pure la certificazione della Procura, ai sensi dell’articolo 335 del codice di procedura penale, attraverso il quale si può riuscire (anche se non esiste una certezza matematica per motivi tecnico giuridici,) di conoscere anche le semplice iscrizioni sul registro degli indagati, anche il fatto che si sta indagando su quella persona. Ciò, però, non deve creare una condizione ostativa in assoluto alla candidatura. L’unica cosa inaccettabile sul terreno dei principi della democrazia liberale, secondo noi, è non dar conto dei propri carichi pendenti. Perché quel dar conto appartiene, questa volta sì, all’etica dell’opportunità e rappresenta un problema politico di enorme portata. Perché l’omissione significa che si parte male, malissimo, nel rapporto tra elettore e possibile eletto, il quale al comune non ci è ancora arrivato, ma già nasconde informazioni, il che è roba fungibile rispetto alla bugia, a chi sul comune ce lo deve mandare. Ed è strano che l’avvocato Francesco Moscatiello, primo eletto nella lista e grande amico di D’Angelo, non gli abbia consigliato di presentare anche il certificato dei carichi.

Dunque, ricapitoliamo: casellario giudiziario pulito per Danilo D’Angelo, non sappiamo cosa ci sia scritto nel suo certificato penale, ma sappiamo che esistono importanti carichi pendenti. L’errore grave è stato quello di non favorire alla popolazione di Casagiove questa situazione. Se l’avesse fatto, D’Angelo avrebbe trovato in questo giornale uno strenuo e infaticabile difensore del suo diritto a candidarsi, perché ci saremmo trovati di fronte ad un atto di coraggio e soprattutto ad una sana, pulita professione di verità verso il popolo sovrano, per il quale esiste la presunzione di capacità  di ben valutare anche situazioni complicate come può essere quella di un candidato su cui pesa un fardello importante, ponderoso di procedimenti giudiziari.

Questo è.