LA NOTA. Il padre 91enne di un dirigente di Polizia casertano lasciato morire di Covid a casa sua. Auguriamo ai figli di De Luca di non vivere mai un giorno lo stesso dolore

5 Novembre 2020 - 12:51

Stiamo cercando di spiegare in tutti i modi, da mesi, perché il governatore inasprisce i divieti e perché vorrebbe la Campania tutta chiusa. Teme che tanti altri morti gli possano essere addebitati

 

SESSA AURUNCA – Chi ha il potere di decidere quanto valga una vita in assoluto e quanto valga rispetto a un’altra?

Calma, non vogliamo certo inerpicarci in discorsi che toccano, anzi abbracciano, un’etica mastodontica su cui si sono misurati i più grandi filosofi nella storia del genere umano, incrociando vicende, situazioni così complicate che anche una semplice frase di approccio diventa esercizio intellettuale velleitario.

Per semplificare, pensi ad Hitler e a tutto quello che ha combinato, non solo agli ebrei, ma anche ai disabili, agli omosessuali, e capisci che secoli e secoli di discorsi filosofici collegati all’evoluzione della specie umana sono serviti a poco, perché Hitler – e in misura minore altri dittatori, a partire da Stalin fino ad arrivare al cambogiano genocida Pol Pot – he la realizzate nella giornata di ieri, perché ieri è il 1940, ieri sono gli ultimi anni ’20, fino agli anni ’50 di Stalin e cinque anni fa sono gli anni ’70 di Pol Pot, rispetto ai millenni in cui il problema della vita, il suo senso, è stato al centro dei pensieri e delle riflessioni di tanti.

Abbiamo letto, nei giorni scorsi, una notizia proveniente dalla Svizzera.

O meglio, almeno chi scrive non è riuscita a leggerla, limitandosi ad assorbire il titolo, che è operazione sempre molto pericolosa, soprattutto quando il rapporto con la lettura in generale ti dà l’idea che un titolo di giornale coincida con la vera conoscenza.

In Svizzera non ricoverano più gli anziani, gravemente ammalati di Covid, e dunque questi muoiono quando potrebbero essere salvati, allungando ancora di qualche anno le loro esistenze.

Il limite grave derivato dal non aver letto tutto l’articolo si rivela immediatamente, perché non riusciamo a capire se la fattispecie svizzera sia identica a quella del triangolo della morte costituito dalle province di Bergamo, Brescia, in parte Cremona, dove nella scorsa primavera molti, soprattutto anziani, morirono a casa propria perché non fu possibile ricoverarli o perché, si disse, tra un paziente più giovane e uno più anziano si dovette scegliere necessariamente.

Nel caso di Bergamo e Brescia, questi fatti capitarono perché il sistema sanitario lombardo, pure enormemente esteso nei suoi numeri di quantità, esplose letteralmente davanti al volume di contagio, già allora – a differenza del resto d’Italia – molto grande, sviluppatosi da marzo in poi.

Ci furono polemiche. In molti affermarono che la politica aveva dormito e che la nostra sanità non si era fatta trovare pronta.

Va riconosciuto, però, che gli assertori di una tesi giustificazionista avevano validissimi argomenti a loro disposizione: cavolo, chi si aspettava che da un laboratorio cinese arrivasse una roba simile alla peste nera o all’influenza spagnola? Le generazioni viventi sono state, da questo punto di vista, molto sfortunate.

Fermo restando che non sappiamo cosa scrivesse realmente quell’articolo svizzero, sappiamo invece quello che è successo in Italia dall’inizio di giugno in poi, cioè durante lo spazio temporale – connotato da una tregua epidemica – che ha collegato la prima ondata alla seconda, i cui segni premonitori sono comparsi già da agosto.

È successo che tante regioni si sono attrezzate, tanto è vero che oggi la Lombardia è in grado anche di contestare la decisione del governo di classificarla come zona rossa e che il Veneto, per esempio, può sfoggiare con orgoglio la classificazione in zona gialla, nonostante sia stato a sua volta epicentro e motore del coronavirus in Italia.

Oggi, dunque, non è giustificato e non ha senso un confronto tra chi accusa la politica di inefficacia ed inefficienza rispetto alla necessità di attrezzarsi contro il Covid, e chi invece ha ritenuto al tempo, secondo noi fondatamente, che chi attaccava si muoveva su una posizione comoda, dato che ciò che è capitato rappresentava, fino a gennaio (cioè dal momento in cui si è cominciato a temere il peggio) una delle cose più improbabili che potesse capitare sul pianeta.

Oggi non ci sono più giustificazioni, visto e considerato che già da aprile il governo nazionale, attraverso il Ministero della Salute, ha stabilito quote precise e specificamente indicate all’interno di un Decreto Legge divenuto poi Legge dello Stato grazie al voto supremo del Parlamento, quali fossero i livelli accettabili che ogni regione, in rapporto alla sua popolazione, avrebbe dovuto garantire di lì a poco.

Probabilmente, rispetto alla numerosità dei casi che spaventano il SSN anche rappresentando il 5% rispetto al 95% di asintomatici, sono andati al di là delle previsioni.

Ma se le regioni avessero rispettato quello che si erano impegnati a fare nel Decreto Legge, questa situazione poteva essere gestita per almeno altri 2 o 3 mesi, quando scientificamente il diagramma dei casi non potrà non scendere.

Chi, come la Campania, si è dimostrata la più inadempiente tra gli inadempienti, si assume oggi la responsabilità di evocare condizioni di orribile disprezzo dei diritti dell’uomo nel momento in cui costringe, anzi scarica sul personale sanitario, la responsabilità tremenda di decidere chi debba essere soccorso, chi meriti di vivere e chi, invece, non si può soccorrere. E quindi chi si è visto si è visto, d’altronde sei un vecchio, e come i disabili di Hitler, crepino pure, chi se ne frega.

Ritorniamo all’interrogativo iniziale, adattandolo però a un caso avvenuto in questi giorni.

Chi ha ritenuto di aver il potere di decidere quanto contasse la vita di un padre 91enne, lasciato letteralmente morire nel suo letto in quel di Sessa Aurunca?

È un po’ come quei film contorti, quei thriller psicologici: uccidi e non te ne accorgi.

Ma uccidi perché, a monte, c’è chi ha creato le condizioni affinché tu lo faccia.

Ma perché dobbiamo rassegnarci in Campania, a diversi mesi di distanza da ciò che è capitato a Bergamo, che avrebbe dovuto tracciare il sentiero affinché non capitasse mai più, all’idea che un uomo, solo perché ha 91 anni possa morire per salvare un 50enne?

È inaccettabile, al di là delle situazioni di fatto, che definiscono la cogenza di una necessità decisionale.

Se ti è capitato già 5 o 6 mesi fa, tu non ci devi dormire la notte, per evitare di trasformarti ancora una volta in una sorta di Angelo Della Morte che sceglie chi gli pare per l’ultimo viaggio.

Ecco perché quelle giustificazioni valide, che abitavano il confronto tra chi attaccava la sanità lombarda e chi la difendeva, oggi non hanno motivo di esistere.

Per cui, se l’architetto capuano Francesco Caterino gira 7 ore su un’ambulanza condotta da personale distrutto dalla fatica e totalmente alienato, ed anche per questo, pur non soffrendo di gravi patologie, ci rimette la pelle, non trovando un bocchettone che fosse uno in grado di dar conforto al suo respiro; se il papà 91enne del dirigente di Polizia Cervo di Sessa Aurunca viene lasciato desolatamente a casa a morire: beh, la confusione, il caos delle parole, l’ordito inestricabile delle tesi contrapposte non può consentire al governatore della Campania, il quale non a caso avrebbe voluto chiudere e farà di tutto per inasprire ciò che il governo ha varato ieri sera, di farla franca.

Bisogna dire le cose come stanno.

L’abbiamo fatto più volte, in questi ultimi giorni, e lo facciamo ancora in occasione della morte del papà di Cervo.

Quest’ultimo è morto, come Caterino, perché la Regione Campania, le sue Asl, hanno tradito il compito, il dovere assunto ad aprile con il governo e con il Parlamento di creare altri 499 posti di Terapia Intensiva, da aggiungere a quelli già esistenti.

È la decima volta che lo scriviamo, ma se sarà necessario lo scriveremo altri cento volte.

Chi sei tu, De Luca, per decidere che un uomo di 91 anni, in quanto molto anziano, possa essere lasciato morire.

Qual è la cultura che sviluppa una porcheria come questa?

È la cultura di Hitler, di Stalin, di Pol Pot.

Ma questi tre pazzi erano quantomeno mossi dalle loro ideologie aberranti e profondamente turbate da un’intensità emotiva che le trasformava in delitto contro il genere umano.

Qui, invece, siamo di fronte ad uno che pensa ad andare in tv a fare lo showmen senza riflettere un secondo sul fatto che un papà o un nonno di 90 anni forse sono ancora più preziosi di una persona più giovane per quelli che gli stanno vicini.

Perché quelli che gli stanno vicini sono legati in connessione ad un dato esistenziale molto più marcato.

Chi ha un padre di 90 anni, ha prodotto la maggior parte della propria vita con la fortuna di avere di fronte ancora chi quella vita ti ha dato.

Dunque, quando viene a mancare, muore anche un pezzo di vita percepita, vissuta, gioita, sofferta, da un figlio che certo non è giovane.

Ma che ne sa il relativismo etico di un furbo politicante salernitano di tutto questo.

Ai suoi figlioli Piero e Roberto auguriamo di non dover vivere la stessa sensazione, gli stessi pensieri che ha dovuto vivere il dirigente di Polizia Cervo di fronte a quella vita che si spegneva e che portava con sé un pezzo della sua stessa vita.

Ma questo si chiama umanesimo, è vita, storia, cultura. Roba estranea alla narrazione dei lanciafiamme, dei fratacchioni, che pure hanno la loro dignità, ma dentro a uno spettacolo che si propone solo come comico.