LA RIFLESSIONE. Per la Cassazione, il fatto che Salvatore Belforte sia stato privato dello status di pentito non significa che ha raccontato frottole. Il delitto dell’assessore Pietro Trombetta e le dichiarazioni sui politici locali liquidate troppo in fretta

11 Febbraio 2023 - 18:51

Scusateci per un titolo troppo lungo, ma la questione è delicata. E noi, che conosciamo le carte di alcune inchieste fino all’ultima virgola, non siamo stati mai troppo convinti della decisione assunta dai magistrati della Dda di incanalare su un binario morto certi interrogatori-bomba del cofondatore del clan Mazzacane

MARCIANISE (gianluigi guarino) – Nei giorni scorsi (LEGGI QUI) abbiamo dato notizia della sentenza con cui la corte di Cassazione ha respinto il ricorso presentato dagli avvocati di Giuseppe Della Medaglia, storico esponente del gruppo De Falco-Quadrano, rivale nell’arcinota guerra in cui si consumò anche l’omicidio di Don Peppe Diana, con gli allora giovani rampanti del cosiddetto clan dei Casalesi, cioè i vari Francesco Schiavone, Antonio Iovine e altri, compreso quel Francesco Bidognetti, che, però, già nel 1991 era stato arrestato e da quel momento in poi non ha mai messo piede fuori dal carcere.

Dunque, è diventata definitiva la pena a 30 anni di reclusione (ergastolo evitato in conseguenza del rito abbreviato) che Della Medaglia aveva rimediato in secondo grado davanti ai giudici della corte di Assise di Appello di Napoli, per l’omicidio, avvenuto nel 1992 dell’assessore di Marcianise Pietro

Trombetta, ucciso da Della Medaglia su mandato di Salvatore Belforte, che fece pagare al Trombetta presunti favori che questo avrebbe fatto, in qualità di assessore, al clan rivale dei Piccolo-Quaqquaroni.

Ritorniamo su questa notizia per citare un passaggio delle dieci pagine costituenti il dispositivo del verdetto degli ermellini romani.

Nella sentenza impugnata – la Cassazione si riferisce a quella della corte di Assise di Appello – si osserva che il Belforte ha fornito dichiarazioni auto ed etero accusatorie ritenute credibili in quanto provenienti da soggetto che rivestiva una posizione di rilievo all’interno del clan e perché le stesse sono state effettuate allorquando il procedimento si trovava nella fase dell’archiviazione, non essendo stato possibile risalire agli autori nell’immediatezza del delitto. Inoltre, egli aveva spiegato le ragioni in base alle quali aveva deciso l’eliminazione della vittima nei confronti del quale aveva vari motivi di risentimento (di carattere economico scaturenti dal fatto che il Trombetta, quale assessore ai lavori pubblici del comune di Marcianise, avrebbe favorito il clan Piccolo rispetto alle assegnazioni delle cooperative edilizie e di carattere personale per il mancato interessamento da parte del Trombetta al trasferimento del Belforte dal carcere di Pianosa).

Con riguardo alla credibilità del predetto collaboratore (il riferimento è a Salvatore Belforte, mandante dell’omicidio), la Corte territoriale ha argomentato, sempre in modo congruo e non contraddittorio, che l’avvenuta revoca del programma di protezione non poteva pregiudicare in modo irrimediabile la sua attendibilità, tenuto conto della genuinità intrinseca ed estrinseca delle sue dichiarazioni che hanno trovato vari riscontri e che comunque la mancata conoscenza di tutti i dettagli della esecuzione dell’agguato si spiegava con il fatto che, come mandante, era interessato principalmente dell’esito finale e non aveva interesse a sapere altro anche per evitare, in tal modo, un suo ulteriore coinvolgimento.

In pratica, la Cassazione “certifica e sottoscrive” ciò che la corte di Assise di Appello di Napoli aveva sancito nelle sue motivazione a supporto della condanna a trent’anni.

Di qui la nostra riflessione: se è vero, com’è vero, che la valutazione dei giudici della legittimità sulla credibilità, sulla “genuinità intrinseca ed estrinseca” delle dichiarazioni fornite da Belforte quando ancora era un pentito riguardano un fatto specifico, in cui si addensavano, si concentravano interessi criminali che coinvolgevano direttamente Salvatore “Mazzacane”, se è vero che questa particolare qualificazione del delitto è alla base anche della valutazione sulla genuina delle dichiarazioni di Belforte che, tutto sommato, si accusa di un omicidio ormai archiviato e che non si sarebbe mai disvelato, se non fossero arrivate le parole del boss; se è vero tutto ciò, è anche vero, sia detto in tutta franchezza, che le cose addebitate a lui, i comportamenti e i silenzi che avrebbero minato, secondo la magistratura della Dda, la credibilità complessiva di un pentito che su certi fatti e su certi delitti, a partire da quello famosissimo di Angela Gentile, amante di Domenico Belforte, Mimì Mazzacane, cofondatore col fratello dell’omonimo clan, non è che fossero tanto più gravi di quelli che hanno connotato altri storici pentimenti, altre storiche collaborazioni con la giustizia di boss e sotto boss, i quali non hanno subito però la revoca del programma di protezione.

Quello che ci piace sottolineare è proprio la linea di principio che emerge da questa sentenza: la Cassazione, così come la corte di Assise di Appello di Napoli, sono perfettamente consapevoli della parabola percorsa da Salvatore Belforte come pentito di camorra. La questione della revoca del suo programma di protezione non è certo bypassata nella valutazione dei giudici.

Il fatto c’è, esiste, ma nel caso specifico non mina la credibilità, la “genuinità intrinseca ed estrinseca” delle dichiarazioni di Salvatore Belforte.

Nel momento in cui la Cassazione valida la tesi dei giudici di secondo grado, considera indirettamente possibile che Belforte abbia potuto effettuare altre dichiarazioni non vanificate sicuramente dalla revoca del programma di protezione.

È un problema di riscontri. Ciò è importante affermarlo, visto e considerato che la messa al bando dello status di pentito di Salvatore Belforte ha costituito, almeno nella vulgata, non certo corretta e precisata dai magistrati della Dda di Napoli, che hanno indagato per anni sulle cose della camorra di Marcianise, il motivo fondamentale per cui siano state rottamate e in pratica archiviate le dichiarazioni che questi ha rilasciato sui rapporti tra il clan e la politica marcianisana, sui rapporti tra i Mazzacane e alcuni politici, di cui Belforte ha anche fatto il nome, indicando pure tempi, luoghi e circostanze in cui li aveva incontrati e andando a dar riscontro, almeno sul piano generale, sul piano della validazione dell’esistenza di un rapporto tra alcuni politici e i Belforte, alle propalazioni di altri pentiti più datati, tra cui Michele Froncillo.

E se, come dice la Cassazione, al di là della revoca del programma di protezione, il discrimine relativo alla credibilità o alla non credibilità delle dichiarazioni di Belforte è rappresentato dai riscontri, per quanto riguarda i rapporti tra politica e i Mazzacane, i citati riscontri sono stati cercati con determinazione dalla magistratura inquirente della Dda, oppure l’espulsione di Belforte dal programma di protezione ha creato una sorta di disarmo, di sfiducia divenuta generale, complessiva, al punto che questi riscontri non sono stati più cercati?

Magari ci sbagliamo, ma siccome questo passaggio della sentenza di Cassazione ci ha colpito molto e siccome a suo tempo le dichiarazioni di Salvatore Belforte sui rapporti tra la camorra e certi politici a Marcianise furono liquidate – a nostro avviso – troppo frettolosamente, abbiamo voluto tornare sull’argomento, in forza della solidissima base costituita da una sentenza sancita dalla Suprema Corte.