LE FOTO. Ops, c’è ancora qualche partito che a Caserta prova a pensare. Referendum, riforme e garantismo nel convegno di Fratelli d’Italia

3 Aprile 2022 - 19:00

Sala piena e confronto interessante, anche perché acceso, tra due grandi giuristi, i professori Maiello e Venditti, e il vicepresidente della commissione Giustizia della Camera, Balboni

 

CASERTA (Gianluigi Guarino) – Purtroppo, siamo riusciti ad assistere solo alla parte finale del convegno, promosso e organizzato dal circolo di Caserta di Fratelli d’Italia, con la senatrice Giovanna Petrenga nella veste di discreta, ma efficace ed efficiente padrona di casa.

La nostra provincia è diventata una landa desolata e desolante in cui le idee rappresentano una specie in via di estinzione, con tutte le gravi conseguenze facilmente deducibili

E allora non può non dispiacere a gente come noi, a “quelli di Casertace” il fatto di non aver potuto assistere all’intero convegno, approfittando, dunque, fino in fondo, del momento raro, creato, per una volta, da un partito, capace di cestinare lo spartito ingiallito e stinto della ritualità del solito libro, scritto dal politico di turno e immancabilmente in rampa di lancio, immancabilmente in presentazione, nonostante sia uscito da 3 o 4 anni, e di concretizzare lo sforzo di dare un senso a un momento dedicato credibilmente allo sviluppo del pensiero, in grado di battere i riti autoreferenziali nel momento in cui non l’evento non assume solo la funzione di manifestazione di visibilità, di socializzazione fisica per iscritti e simpatizzanti, ma anche e soprattutto quella di autentica espressione culturale. Se fossimo arrivati all’inizio il nostro sopracciglio su sarebbe sollevato con mezz’ora di anticipo, come spesso ci capita quando nella nostra vita assistiamo a un fatto, ascoltiamo una frase, guardiamo un’immagine che sfugge all’ordinarietà. Parlare bene dei convegni è una delle pratiche principali dei marchettari della tastiera. E allora diventa importante spiegare perché sosteniamo che il convegno fi ieri sua stata una manifestazione particolare, non dozzinale e non conformista.

Va detto subito che organizzare qualcosa di veramente interessante non è operazione agevole, perché tra un semplice raduno di partito e la cosa più seria e significativa di tentare di rilasciare qualche idea di civiltà nel deserto casertano, ci passa la capacità di coinvolgere persone che siano autentiche personalità, e non solo per dire, in grado di cogliere due obiettivi: dire cose interessanti, forgiate da una esistenza dedita allo studio rigoroso e a coltivare curiosità, e, in secundis, dirlo con chiarezza, in modo che alla fine del convegno, il quale non dovrà mai superare i 60, massimo 70 minuti, resti veramente qualcosa nella testa di chi vi ha assistito, almeno un concetto e non la sensazione di essersi sottoposto a un supplizio della noia.

Quella mezz’ora a cui abbiamo presenziato è stata sufficiente, comunque e almeno, per realizzare che ognuno dei presenti tra il pubblico è stato messo, per l’appunto, in condizione di portare con sé qualcosa sul tema dei referendum sulla giustizia, che si celebreranno il 12 giugno in contemporanea con la tornata annuale delle elezioni amministrative. Merito di chi ha messo insieme il parterre del dibattito. Perché, di vero dibattito si è trattato e anche questo ha reso l’evento più vivace.

C’era Antonio Maiello, professore ordinario di Diritto penale e avvocato di grido, c’era Carlo Venditti, ordinario di Diritto civile alla facoltà di Giurisprudenza dell’università Luigi Vanvitelli dì Caserta, c’era Alberto Balboni, vicepresidente della commissione Giustizia della Camera e responsabile nazionale per la Legalità di Fratelli d’Italia.
Ribadiamo che il difetto di questo articolo consiste nel ritardo con cui siamo arrivato nella sala congressi dell’ex Hotel Jolly di Caserta. Per questo motivo, purtroppo, abbiamo ascoltato solo pochissime battute pronunciate dal professore Venditti.

Un peccato, visto che i problemi del processo civile sono strutturali, politicamente neutri e tanto grandi da essere considerati dagli organismi dell’Unione Europea una delle più gravi patologie che affliggono il nostro Paese, da risolvere senza se e senza ma pena il ritiro del fondi del Pnrr.

Non abbiamo fatto tardi invece per collegare il nostro cervello al confronto sviluppatosi tra il professore Maiello e Balboni. Il primo, integralmente, anche troppo integralmente garantista, al punto di scolorire questa sua dote, come poi diremo, il secondo attento alla necessità di un processo riformatore del fondamentale sistema della giustizia italiana e pronto a sottolineare le distorsioni legate ad un impianto superato, che mette ancora dentro alla stessa carriera e alla stessa professione i magistrati delle indagini e quelli che poi queste indagini sono chiamati a valutare in funzione delle sue sentenze.

Maiello è un pozzo di scienza, la sua conoscenza del Diritto penale è di quantità ma anche di di qualità al punto da farla diventare affascinante, ma a volte il fatto di essere professori fondatamente consapevoli della loro cifra intellettuale, rende le loro convinzioni troppo granitiche, addirittura inscalfibili.
E anche un giurista liberale, come il professore Maiello ha tenuto a dire e a ribadire più volte nel corso dell’intervento a cui abbiamo assistito, finisce per incrociare il peggiore vizio degli avversari di ogni liberale, cioè la fede cieca in verità incrollabili e precostituite, la caratteristica dell’ impermeabilità rispetto alle sollecitazioni che arrivano dalla vita di ogni giorno, dalla vita pratica dai macrosistemi e dai microsistemi sociali, finendo per appiccicare all’idea liberale e al suo sottoinsieme garantista una stonatissima struttura moralistica, che è esattamente quello che noi liberali abbiamo rimproverato alla magistratura italiana da Tangentopoli in poi.

Comprendiamo che i garantisti italiani siano stati trattati per anni come dei paria, ma questo non vuol dire che proprio nel momento in cui la magistratura ha fatto harakiri, imboccando il tunnel di una crisi di credibilità senza precedenti, si vada a siamo proprio i liberali a sviluppare una lettura decisamente selettiva della Costituzione e delle leggi, così come Maiello ha fatto quando ha detto che un detenuto colpito da ergastolo ostativo, in pratica un Francesco Schiavone Sandokan, un Cicciotto Bidognetti, un Toto’ Riina quando era vivo, può tornare in piena libertà qualora abbia dimostrato di aver compiuto un autentico percorso di redenzione e di resipiscenza. Concetto di scuola, ma scarsamente realistico perché privo di tante altre ragioni, ugualmente valide, di segno opposto, che nel ragionamento di Maiello sono totalmente mancate, come mai sarebbe dovuto capitate nel ragionamento di un vero liberale, che, essendo tale, è persona fortemente, profondamente pensante, pronta a praticare la disciplina della ragione e dunque dell’analisi laica, mai pregiudiziale, mai selettiva, mai aprioristicamente liquidatoria di tutte le ragioni che, tutte insieme, nessuna esclusa, formano la Ragione che gli illuministi eressero al rango di dea.

Va da sé che l’estetica intellettuale del professore Maiello abbia offerto il fianco alla chiare, rotonde, concrete confutazioni di Balboni che ha prima smentito che oggi in Italia il diritto penale sia carcerocentrico, dato che per 120mila condannati con pene definitive, ben 70mila stanno scontando il loro debito con la giustizia attraverso pene alternative al carcere, che ospita, invece, gli altri 50mila e, successivamente, ha potuto anche regalarsi una botta testimoniale quando, di fronte allo dura constatazione di Maiello che ha definito l’Italia l’ unico Paese che ancora oggi tiene in vita e vigente un codice penale, nato quando al potere c era un regime autoritario, ha rivendicato la validità dell’impianto tecnico – giuridico del codice Rocco, entrato in vigore in epoca fascista e che, seppur radicalmente rivisitato, resta in vigore perché, ha detto Balboni, scaturito da una scuola di giuristi di primissimo ordine.

In conclusione, il convegno di Caserta, moderato dalla giornalista de Il Mattino Marilù Misto, ha dato la sensazione che Fratelli d’Italia, così come sta capitando un queste settimane di fronte a una guerra che vede Giorgia Meloni serenamente schierata su posizioni rigorosamente atlantiste e dunque sulle posizioni delle democrazie liberali, anche per la giustizia può succedere che Fratelli d’Italia possa diventare attore protagonista di una mediazione nobile, trovando spazi di praticabilità politica, così com’è riuscito a fare Balboni ieri, che, da politico, ha detto cose più sensate di un grande giurista che nel nlsuo interventi, tutt’altro che a tutti, la politica l’aveva messa più volte sulla graticola. Va a finire che Fdi diventa, almeno per quel che riguarda il tema in questione, il vero partito di centro, di un centro che non ha vendette da consumare contro le toghe e che dunque è realmente in grado di combinare le ragioni di una riforma di segno garantista, a partire dalla separazione delle funzioni, meglio ancora dalla separazione delle carriere di giudici e pm, ormai ineludibile, con le ragioni, ugualmente importanti, di un senso comune, di cui, piaccia i non piaccia agli intellettuali, bisogna tenere in massimo conto, che spinge per una vita sicura e per una giustizia veloce e stra fondata sulla certezza della pena.

La Meloni ha dimostrato di avere un rapporto serenissimo con il passato della destra italiana, che non ha più bisogno di essere riformata o abiurata, semplicemente perche va storicizzata al cospetto di ragioni, ideali e convinzioni, che possono costituire una sua genetica originale. Una destra che non ha più bisogno di trascorrere il suo tempo a cercare aggettivi qualificativi nei vocabolari, ma che deve rivendicare, con chiarezza e serenità, il diritto tutto culturale, primancora che politico, di essere destra e basta, dentro a una “nuova storia” che diventerà poi a sua volta “Storia”, che racconterà ai posteri la sua peculiare identità, costituita, edificata sui temi di questa società, la società del ventunesimo secolo.