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L’EDITORIALE. Che accordo di affinità tra Carlo Marino e il Tarì! Magari il prefetto si affaccia e vedrà il boss e killer Maurizio Capoluongo piantare fiori e tuberi nelle aiuole di Palazzo Acquaviva

28 Luglio 2022 - 14:50

Quello faremmo bene, la mattina, a non guardarlo proprio Il Mattino. Perderemmo meno tempo nel momento in cui avvertimamo la necessità, non solo emotiva, ma proprio strutturale, di cercare solo di sottolineare che questa roba appartiene ad una mentalità che è quella dei decenni passati e che consegna la città capoluogo e la sua provincia ad un ineluttabile destino di arretratezza e di minorità.

IN CALCE ALL’EDITORIALE, L’ARTICOLO PUBBLICATO OGGI DA IL MATTINO

 

 

CASERTA(g.g.) Stavolta, veramente non daremo a chi non gradisce la pubblicazione di articoli come questo, il vantaggio di una ampiezza, in modo che il nostro lavoro diventi esercizio cognitivo riservato a pochi.

D’altronde, noi di CasertaCe non dobbiamo dimostrare più nulla sul terreno dell’ampia trattazione di fatti ed argomenti molto importanti che se negli ultimi anni, avessero trovato soluzione per l’uno, due per cento della loro struttura tossica, Caserta e la sua provincia sarebbero già oggi dei posti migliori.

Ci siamo occupati degli ultimi sei o sette prefetti. Ne abbiamo scritto sempre trovando un equilibrio democratico, partendo da una avvertita necessità di proporci, senza per questo considerarci mai, per carità, strumento millenarista di redenzione e di salvifica resipiscenza territoriale, quale attenti osservatori esercitando, ma solo dopo il lavoro di studio, di documentazione, dopo la manifestazione del racconto cronistico, anche la funzione di critica, rigorosamente separata dalle notizie, erogate nude e crude.

Equilibrio democratico che significa, poi, tener conto del fatto, anzi, del dato di fatto che quando si parla e quando si scrive dell’operato di un’alta istituzione dello Stato, bisogna ripetere continuamente, come in un mantra, la formula del dovuto rispetto da riconoscere come tale e come non altro, alle più alte istituzioni dello Stato e dello Stato nelle sue articolazioni territoriali.

Insomma, se nessuno è al di sopra della legge, se nessuno è al di sopra delle critiche, è altrettanto vero che quando si critica un prefetto, un questore, un comandante dei carabinieri, un magistrato, bisogna sempre tener presente, fermo restando che nessun timore reverenziale ci ha mai percorsi (per carità, non ci manca l’autostima), che la carica ricoperta dal signor tizio o dalla signora caio rappresenti un’architrave della struttura democratica e come tale, solo come tale questa vada sempre tutelata.

E come si può materialmente identificare questo punto di equilibrio? Per caso, non scrivendo, ad esempio, che un prefetto, ma lo stesso discorso vale tranquillamente anche i per un residente della repubblica, abbia compiuto un errore o addirittura una castroneria? No, assolutamente no. In una democrazia, ripetiamo, nessuno può, infatti, ritenersi più importante della Costituzione, motore, attraverso l’emanazione dei principi e delle strutture di ordinamento che devono informare il corpo delle leggi, di quella democrazia.

E’ chiaro però che nel momento in cui si sviluppa un ragionamento sull’operato di queste alte istituzioni, occorra lavorare, nei limiti del possibile, impugnando il fioretto e non la sciabola, l’arma di punta e non di taglio. La demolizione e l’attacco scomposto ad un prefetto non sono, di per sè, una manifestazione della libertà di pensiero off limits, fuori registro e non consentite.

E’, al contrario, una manifestazione ed un’attestazione della libertà di pensiero che trova il suo contrappeso nel principio granitico che questa libertà di esprimere il proprio pensiero arriva fino al limite, che perimetra l’area del diritto di fruizione della stessa libertà ma anche di diverse forme di libertà da parte di altri cittadini. In poche parole, la manifestazione di libertà si ferma quando ciò va a compulsare, ridurre uno o più diritti altrui. Da questo punto di vista, il codice penale mette a disposizione un kit di reati, partendo dalla diffamazione a mezzo stampa che necessita di querela di parte, fino ad arrivare alla calunnia, per la quale il pubblico ministero può anche procedere d’ufficio.

Ci siamo impegnati in questo preambolo perchè l’attuale prefetto di Caserta Giuseppe Castaldo è arrivato  qui da qualche mese e naturalmente ha portato con sè quell’idea burocratica, ma soprattutto burocratista del mondo, che hanno il 90% dei suoi colleghi. Questa idea, soprattutto nell’Italia meridionale, si struttura in diversi fattori costitutivi. Tra questi ce n’è uno particolarmente pericoloso, rappresentato dal fatto, da una convizione mutuata, non da una conoscenza analitica dei propri interlocutori, ma dalla reiterazione stucchevole di una ritualistica che considera che per il fatto che uno indossi giacca e cravatta ouna indossi un tailleur ed emana profumi importanti, rappresentino la cosiddetta “buona società”, i buoni valori, quando in realtà dentro alle giacche di ottimi taglio e ai tailleur di motevole fattura, abitano corpi e menti inflacciditi dall’incultura e dal pensiero debole dell’ipocrisia e del politically correct, da interpretare sempre e ad ogni costo.

Un ritardo culturale che sta conducendo molte prefetture d’Italia, a passare dal rango di presidio diretto del governo e della repubblica in ogni lembo del territorio nazionale, ad autentici musei della elaborazione e della manifestazione della potestà statale.

Questo preambolo l’abbiamo scritto, non tanto a garanzia del dottor Giuseppe Castaldo che può essere benissimo, ai nostri occhi, una persona preparata o non preparata, che può, dunque, incrociare o non incrociare la nostra attitudine ad avere un debole per quelli che hanno studiato, che sanno leggere e scrivere, soprattutto quando ricoprono alte cariche istituzionali. Queste valutazioni esulano totalmente dal pacchetto di quelle realmente importanti.

Noi di CasertaCe, questo preambolo lo abbiamo scritto, invece, perchè ci sentiamo, ci avvertiamo e ci pensiamo, come uomini e donne dello stato,  forse in grado di esprimere tale sentimento con un’intensità maggiore rispetto a quella che attraversa coloro i quali indossano una divisa, una toga, una grisaglia e timbrano (in linea di massima) ogni mattina il cartellino delle presenze in ufficio.

Noi di CasertaCe avvertiamo il significato del cosiddetto senso dello stato, nonostante che il nostro stato, la nostra Italia, per come funziona, non ci piacciono più di tanto, ma che comunque considerano – e al riguardo, come pur potremmo fare, non ci mettiamo a citare i grandi pensatori, i grandi filosofi che hanno illustrato le più importanti dottrine politiche nel corso dei secoli -, lo Stato un punto non discutibile, non trattabile e che, di conseguenza, quando sviluppano questo loro sentire, non lo considerano affatto scontato, proprio perchè tante cose le conoscono, le hanno studiate e sanno bene che gli attacchi al concetto stesso di Stato, così come si sono configurati ad esempio, nei secoli, quelli portati dai movimenti anarchici o dagli anarchici di essenza, cioè totalmente individuali, oppure attraverso forme più striscianti di relativizzazione dello stesso, rappresentano un pericolo, visto e considerato che questo vecchio arnese, questo vecchio stato di principi e di ordinamento è, a nostro avviso, ancora oggi l’unica possibilità di non trasformare il mondo in una giungla.

Riteniamo, dunque, veniamo al fatto specifico, di poterci, quindi, consentire di ragionare un attimo su un’altra “perla” che apprendiamo dal quotidiano napoletano Il Mattino, il quale ci racconta stamani nell’edizione di oggi, che il sindaco di Caserta Carlo Marino, per carità, persona meravigliosa, senza alcuna indagine imbarazzante sulle spalle, insomma, un cherubino, ha immortalato in una fotografia, insieme alla assessora Anna Maria Sadutto, per pura coincidenza anche sua consuocera, l’intesa raggiunta con il Tarì di Marcianise che curerà riteniamo a partire dalle prossime settimane, massimo da settembre, le aiuole attorno a Palazzo Acquaviva, rendendole belle, sicuramente molto più dignitose di quanto (non è che ci voglia poi molto) non lo siano oggi.

Il Mattino dà questa notizia facendo riferimento nel suo titolo alla prefettura di Caserta. In verità parla di “piazza della Prefettura“. Ma la parola che identifica l’organismo di governo, in questo titolo c’è. C’è e si vede, eccome se si vede. Peraltro quelle aiuole, quegli spazi verdi sono rituamente considerati spazi di proprietà o comunque sotto l’egida della prefettura e della questura. Insomma, il titolo una certa confusione la crea.

Ora, non è che il Tarì sia l’unica azienda della provincia di Caserta in grado di fare questo o in grado di farlo con entusiasmo, come sarebbe certamente emerso se, magari il comune di Caserta, possibilmente avvertendo anche la Prefettura, avvesse lanciato un concorso di idee per il miglioramento e la gestione degl spazi verdi a questa antistanti, sperando che anche e finanche un concorso di idee non diventasse compulsiva necessità di costruire una delle ormai proverbiali, e ormai spesso raccontati negli atti giudiziari della magistratura, prassi trastolare confezionate nelle note cucine degli orrori di Palazzo Castropignano.

Ma la questione più importante, si racchiude nella domanda che noi poniamo al prefetto pro tempore di Caserta di cui elargiamo le generalità di identità con grande moderazione, proprio perchè, come abbiamo cercato di spiegare all’inizio di questo articolo, a contare non è Giuseppe Castaldo, come non sono state le carte d’iidentità dei suoi predecessori, ma l’istituzione che oggi è pro tempore con Castaldo, ieri lo è stata con Raffaele Ruberto, prima ancora con Schilardi e con tutti gli altri che si sono avvicendati a capo dell’organo di governo.

Ci permettiamo di formularle alcune domande: lei, signor prefetto pro tempore, dopo aver letto stamattina il giornale, dopo aver letto questo titolo e dunque dopo aver appreso che di qui a poco, i giardinieri del Tarì le gironzoleranno intorno, ha intenzione di assumere, magari discretamente, riservatamente informazioni su questo consorzio, sul Tarì di Marcianise? Glielo chiediamo perchè lei, giustamente, per far funzionare e per dare riscontro al motivo che rende ancora utile la presenza delle prefetture in ognuno dei comuni capoluogo d’Italia, ha la possibilità di contattare, formalmente, ma anche informalmente, i vertici territoriali delle autorità di polizia, i vertici della magistratura inquirente e di quella  giudicante.

Ha intenzione, dopo aver letto il giornale stamattina, di costruirsi un’idea il più possibile oggettiva ed istituzionalmente equilibrata su cosa è stato ma soprattutto su cos’è oggi il Tarì di Marcianise, visto e considerato che qui a poco, le insegne di questa impresa privata potrebbero campeggiare davanti alla prefettura, al punto che lei potrà guardarle e occhieggiarle dai suoi balconi e dalle sue finestre? Perchè chi passerà di là, stia certo, riterrà che il Tarì stia gestendo, stia curando il verde delle aiuole, in nome e per conto della Prefettura. Questo proprio in conseguenza di una relazione di pertinenza fisica e spaziale che non porta, istintivamente, d’acchito, a considerare l’idea che invece quelle siano aree comunali e in quanto tali gestite dagli uffici del vicino palazzo Castropignano, cioè dalle cucine degli orrori di cui prima.

Noi, ad esempio, sul Tarì abbiamo maturato, negli anni, affrontando centinaia di casi, redigendo altrettanti articoli, a volte su situazioni positive, altre volte non commendevoli per l’immagine del consorzio degli orefici, una valutazione  che non poteva, conseguentemente, non essere articolata: dentro ci lavorano tantissime persone perbene e, almeno fino a prova contraria, non possiamo, come del resto non abbiamo mai fatto, mettere in dubbio la buona fede della governance di questo consorzio. Detto ciò signor prefetto pro tempore di Caserta, siccome il mondo è cattivo, siccome nessuno può farsi maestro perchè il più impensabile degli accidenti può impadronirsi di qualsiasi esistenza, riteniamo che magari una chiacchieratina con i vertici regionali, provinciali della guardia di finanza, lei la potrebbe anche organizzare e, magari, perchè no, impegnando gli uffici del Viminale, anche con i vertici nazionali

Subito dopo potrebbe fare altrettanto con i vertici dei carabinieri e poi ancora con quelli della polizia di stato.

Non avrebbe scoperto fatti di sensazionale gravità. Ma avrebbe sicuramente saputo di certe indagini delle fiamme gialle che due o tre anni fa fecero irruzione nel Tarì, chiudendo alcuni punti vendita in quanto, naturalmente, fino a prova contraria, senza che i dirigenti ne fossero responsabili, erano delle strutture di riciclaggio con significativi rapporti anche con clan camorristici.

E’ il discorso delle mele marce. Stanno dappertutto. Ma quando ci sono, una cosa è ragionare sulla integrità di una governance, considerata da un punto di vista del diritto penale e del diritto civile, andando però poi a verificare, spostandosi dal punto di osservazione giudiziario a quello di osservazione delle cifre di decoro, dei fatti di opportunità, quanto questa governance del Tarì abbia fatto, negli anni per portarle alla luce, queste mele marce in modo da spedirle definitivamente allo “scamazzo”, mentre altra cosa è considerare quella struttura valutativa di tipo oggettivo che è base della qualità di una istituzione.

La prefettura non fa il lavoro di un procuratore della repubblica, nè quello del presidente di un tribunale; la prefettura e il prefetto che la muove sono lì soprattutto per evitare che la lontananza da Roma di province e contrade, possa determinare, per effetto della impossibilità di installare un osservatorio, magari attrezzato con grandi cannocchiali astronomici, centralizzato sul tetto del Quirinale o su quello di Palazzo Chigi o su quello del Viminale, tutti quei fatti che non portano lustro, che comunque sono in grado di offuscare l’immagine dell’istituzione.

Se lei chiamerà un attimo, signor prefetto pro tempore, i vertici dei carabinieri, della guardia di finanza e della polizia, apprenderebbe  pure la storia recente e i fatti contemporanei relativia al pregiudicato, oggi a piede libero, Maurizio Capoluongo da San Cipriano d’Aversa che, almeno fino a qualche settimana fa – poi non sappiamo cosa sia successo dopo la pubblicazione dei nostri articoli – è stato assunto da un’azienda che opera nel Tarì.

Prefetto, non siamo parlando di un fiancheggiatore, di un gregario, di un portatore d’acqua, di un prestanome, parliamo, invece, di uno degli elementi storicamente più importanti, più influenti del clan dei casalesi, uno che ha partecipato da giovanissimo killer, da pupillo selezionato direttamente da Antonio Bardellino, ciò secondo le ricostruzioni dettagliate dei capi camorra, divenuti collaboratori di giustizia, ad uno dei blitz più noti della storia della criminalità in Italia, quello organizzato e fisicamente partecipato dai due capi della nuova famiglia l’appena citato Antonio Bardellino e Carmine Alfieri nella blindatissima masseria, trasformata in villa e divenuta fortilizio della famiglia Nuvoletta, dominatrice al tempo e per decenni dell’area territoriale di Marano e ampi dintorni.

Per quella partecipazione che lasciò a terra due morti, cioè il fratello di Ciro Nuvoletta e un passante che, senza colpa, si trovò in mezzo al fuoco incrociato del commando di Bardellino, Alfieri e Capoluongo e gli scagnozzi di Nuvoletta, arrivati furiosamente sul posto, Maurizio Capoluongo, viene definito eroe da Nicola Panaro, dunque, non da un pinco palla qualsiasi, ma dal reggente per diversi anni del clan dei casalesi, all’indomani dell’arresto di Francesco Schiavone Sandokan.

Ora, se Maurizio Capolungo è stato assunto, com’è stato assunto da un’azienda che opera all’interno del Tarì e che potrebbe essere addirittura  una delle consorziata, come può capitare che lo stesso Tarì la cui governance, ripetiamo, non ha alcuna responsabilità in sede penale, in sede giudiziaria, mentre tante ne ha accumulate, come noi scriviamo da anni, in termini di culpa in vigilando, diventi fiore all’occhiello, pupilla degli occhi del comune di Caserta (anche se a pensarci bene, può diventarlo, per quelle che Goethe definiva affinità elettive) che si fa lisciare il pelo da chi, ultimamente e legittimamente, opera per recuperare una immagine non certo luminescente per tutti questi fatti che abbiamo raccontato.

Un’operazione che il Tarì ha il pieno diritto di fare, ma che le istituzioni dello stato, compresi i comuni, non devono sponsorizzare per i motivi appena illustrati.

Prefetto, se lei lavorerà da prefetto raccordandosi, in una terra difficile, infiltratissima – magari se dà un’occhiatina pure in qualche ufficio della parte del Palazzo Acquaviva che la ospita, male non farebbe – e che va maneggiata con cura, perchè qui, mutuando un adagio popolare, “il più pulito ha la rogna”.

Chissà, Carlo Marino, come se non ce ne offrisse, ogni giorno a sufficienza e mai e poi mai ad esempio, per una gara d’appalto o per un affidamento che magari per sbaglio, siano stati realizzati nel rispetto della legge e del principio di imparzialità, ci offrirà uno spunto giornalistico nel momento in cui, radunate le proprie truppe, il Tarì farà indossare la divisa di giardiniere a Maurizio Capoluongo, così ce lo ritroveremo a piantare fiori e tuberi nelle aiuole antistanti della prefettura.

Già immaginiamo la fotografia: Maurizio Capolungo, il pistolero di villa Nuvoletta, che pianta, lei affacciato alla finestra o uscito sul balcone per prendere un pò di aria, che lo guarda e magari, non sapendo di chi si tratta, plaude ed approva.

Ma fateci il piacere…..

 

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