L’omelia di don Franco: “Tra le costanti universali dell’uomo esiste la preghiera”
20 Ottobre 2019 - 09:30
20 ottobre 2019 – XXIX Domenica del TO (C)
CREDERE È SAPER PREGARE!
gruppo biblico ebraico-cristiano השרשים הקדושים
Prima lettura: Quando Mosè alzava le mani, Israele era il più forte (Es 17, 8). Seconda lettura: L’uomo di Dio sia preparato ad ogni opera buona (2 Tm 3, 14). Terza lettura: Dio farà giustizia ai suoi eletti che gridano verso di lui (Lc 18, 1)
La domenica “della preghiera”. Pregare sembra facile. Chi non prega quando ne ha bisogno? Basta avere una generica educazione cattolica, un rimasuglio di fede, ed eccoci a pregare nell’ora della paura, della necessità. Siamo tutti cristiani, diceva il filosofo B. Croce! Anche la vedova della parabola era pressata da un suo problema con la giustizia. Mai viste tante candele accese davanti ai santi come nel periodo di esami, di concorsi, di malattia! Non è forse lecito invocare chi ci è amico? Non è forse umano? E che cosa siamo noi se non uomini, cioè un misto di debolezza e di forza, di meschinità e di grandezza? Ben vengano quindi anche le candele e gli ex voto. Ma questa è la preghiera a intermittenza. Esiste invece una preghiera continua, una preghiera che i mistici paragonano al respiro, al battito del cuore, quella che rende la vita un continuo atto di ringraziamento, di fede, di perdono. Nietzsche ha scritto che pregare è vergognoso. Per A. Carrel invece “Pregare non è più vergognoso di quanto non sia vergognoso bere o respirare”. Pregare è riconoscere i limiti logici e ontologici dell’uomo, significa che la liberazione totale e definitiva non dipende dall’uomo, dalle astuzie della ragione umana: l’uomo non può salvare se stesso. Lo psicologo E. Fromm, tra le caratteristiche dell’uomo maturo, pone anche la preghiera: pregare fa vivere meglio.
Tra le costanti universali dell’uomo esiste la preghiera: è attestata dappertutto, in senso diacronico che sincronico, nelle culture antiche come in quelle evolute. Il più antico documento letterario che parla di pregare mattino e sera sembra quello di Esiodo: “Offri sacrifici agli dei immortali con mani pure, quando vai a dormire e quando di nuovo torna la luce santa”. Tutti gli aspetti della vita si ritrovano nella preghiera. La preghiera può essere invocazione, nostalgia, amore, grido, lamento … Ricordiamo Paolo VI ai funerali di A. Moro: “Tu, Dio, non ci hai ascoltato quando ti implorammo per la sua liberazione!”. Per questo è tradizione scandire le giornate con la preghiera: nella chiesa con la liturgia delle ore; presso gli ebrei è sacro il sabato, la sinagoga; il mussulmano si prostra cinque volte verso la Mecca, nella moschea. Oggi non crediamo più in Dio, in Cristo, nei santi, ma il loro posto viene riempito da surrogati e da succedanei come oroscopi, ideologie, esoterismi, consumismo.
Esiste una preghiera dei poveri, di cui parliamo poco, la cui caratteristica è la debolezza. Le preghiere di noi, teologati e laureati, sono grammaticalmente perfette, ma forse inefficaci. I poveri pregano e sono la salvezza del mondo; i poveri, i sofferenti, i piccoli, gli analfabeti … che noi nella nostra sterile saggezza possiamo deridere come superstiziosi e gentuccia senza valore, sono invece molto cari a Dio. La preghiera dei poveri mantiene viva la speranza. Non esplode la collera di Dio solo perché in ogni città e paese esistono 5, 10 giusti che pregano, come Abramo, di non distruggere la Sodoma di ieri e di oggi. Pregare come i poveri non vuol dire rassegnarsi al fato, rinunciare al cambiamento; ogni vera preghiera è anche politica, non come il cappellano che benedice i soldati perché vincano, perché Dio sia con loro e contro i nemici, ma nel senso che la vera preghiera cerca la giustizia: “Fammi giustizia”. Non la preghiera per allargare i confini della chiesa, come i crociati in Terra Santa, ma per diffondere il regno di Dio, cioè i santi sulla terra; non per disegnare la croce sugli scudi e sulle divise, ma per prendere ogni giorno la croce e seguire Cristo. Noi siamo stati illusi e delusi, tante volte. Questi riferimenti alla storia ci ricordano che nessun atto di liberazione compiuto nella storia è mai stata veramente una liberazione: lo è stato nel relativo e nel provvisorio. Le piramidi dei faraoni si sono ricostruite anche nella Terra Promessa. Questa pagina del Vangelo ci apre gli occhi: noi cristiani possiamo essere come quel giudice: abbiamo il potere ma siamo corrotti e complici. I poveri invocano la giustizia di Dio: nella loro preghiera si effonde la loro utopia di fede. E’ nella preghiera che si mantiene la speranza.
Ci troviamo davanti ad una parabola sconcertante. Per capire come si deve pregare, Cristo ricorre ad una vedova, e Dio viene paragonato a un giudice disonesto. Anzitutto un elogio alla vedova, alle donne, a tutte quelle donne che si riconoscono nella “vedova molesta”. Sono le donne ad accendere la speranza del mondo; donne perseveranti, determinate, con quella intelligenza della vita che le contraddistingue, che deriva dalla sapienza del cuore che la maternità fisica e spirituale trasmette; intelligenza che i sacrifici e le difficoltà di generazioni di donne, vissute nell’ombra della storia hanno esaltato. La speranza e la sopravvivenza stessa dell’umanità dipendono dalla loro generosità, dalla loro sete di verità e di giustizia. Come la vedova, che nell’umiltà della sua condizione, giganteggia per la sua fragilità onnipotente, e si impone al giudice disonesto. Chi sostiene che il Vangelo è misogino, è in mala fede!
Esaminiamo i due personaggi:
– il giudice è un tipaccio senza religione e senza umanità, la rappresentazione dell’arroganza del potere, tante volte denunciato dai profeti; su questa figura si potrebbe ricamare più di una riflessione. È un caso estremo di sfrontatezza giudiziaria. Ebbene, in questo modo la parabola porta le cose fino a tal punto di stravaganza narrativa che questo giudice così canaglia ha paura della vedova e teme persino che lo possa importunare. Con questo dettaglio così sorprendente la parabola vuole sicuramente sottolineare che la forza della preghiera di supplica supera tutto quanto si può immaginare. Ed effettivamente la richiesta della vedova finisce per essere ascoltata. Il giurista laico Piero Calamandrei si lamentava che il crocifisso fosse nella aule giudiziarie alle spalle dei giudici e davanti solo ai giudicati, e scriveva: “Dovrebbe essere collocato proprio in faccia ai giudici, ben visibile nella parete di fronte, perché lo considerino con umiltà mentre giudicano, e non dimentichino mai che incombe su di loro il terribile pericolo di condannare un innocente”;
– la vedova è l’altro personaggio della scena. In passato era la persona più esposta al sopruso, tant’è vero che Dio stesso è chiamato nell’Antico Testamento il “difensore delle vedove” ormai prive della tutela del marito. Ma la vedova della parabola ha una caratteristica: è certo una vittima, non può pagarsi un avvocato, ma non si rassegna; la sua perseveranza non si infrange davanti alla porta chiusa, al rifiuto annoiato, alla reazione stizzita del giudice; a ben riflettere la vedova deve lottare su due fronti, il contendente e il magistrato, contro la prepotenza e contro l’inerzia. Non si arrende, comprende che anche il magistrato invincibile ha il suo tallone di Achille: l’egoismo, non vuole seccature, e lo vince non sul terreno della bontà ma dell’egoismo. La debolezza vince la prepotenza: questa è la prima lezione. Non ci dobbiamo lasciare impressionare dai ritardi, tanto più che dall’altra parte non c’è un giudice, ma un Padre. La forza di questa storia stravagante sta nel fatto che Gesù non paragona Dio ad un giudice “buono”, ma ad un giudice così “cattivo” e “canaglia” che è difficile immaginarsene uno peggiore. Poi, se persino il più canaglia non oppone resistenza alla supplica insistente, quanto più il Dio che per definizione è amore e bontà? Detto ciò, probabilmente l’insegnamento più forte di questa parabola consiste nel porci il problema della nostra fiducia in Dio. Ci fidiamo realmente di Lui? Dove più e meglio si nota questa fede è nelle situazioni più disperate che ci presenta la vita, quando non vediamo soluzione e tuttavia continuiamo a pregare. BUONA VITA!