Ora è ufficiale. L’ha scritto Velardi, dunque la Cassazione: i marcianisani sono delle bestie
16 Ottobre 2019 - 18:30
MARCIANISE – Era dal tempo de “I sepolcri”, cioè da più di due secoli, che non si leggeva una pagina tanto pregevole sull’estetica dei cimiteri intesi come massimo luogo rappresentativo della memoria di una comunità.
Toccatemi tutto, distruggetemi tutto, ma non il cimitero, che da una cloaca ho trasformato in un meraviglioso gioiello.
Questo scrive Antonello Velardi nei minuti immediatamente successivi alla sua defenestrazione provocata dalla mozione di sfiducia presentata e votata da 14 consiglieri comunali.
Il dolore, il patimento pervade di autentica poesia il foglio.
Dunque, è difficile, se non impossibile, pensare che, magari spossato dalla tensione emotiva, il nostro abbia potuto incorrere in un clamoroso infortunio nella costruzione dell’ultimo periodo del suo testamento spirituale
Distruggetemi tutto, ma non il cimitero.
Ora, a parte che onestamente si fa fatica a capire cosa abbiano edificato questi tre anni e mezzo di amministrazione dal punto di vista materiale e morale, è proprio sul cimitero, che evidentemente Velardi ritiene un’opera d’arte, alla quale per ovvi motivi non può chiedere quello che Michelangelo domandò, in trans, al suo Mosè, dire infatti “Perché non parli?” ai sepolcri non sarebbe stata una battuta tanto felice, bisogna ragionare come unico paradigma utilizzabile per valutare l’esito di questi tre anni e mezzo e per elaborarne una valutazione.
E sul cimitero, al di là dell’autoelogio e della descrizione quasi aulica che ne fa l’ex sindaco, finalmente viene gettata la maschera e viene fornito per la prima volta uno strumento di valutazione basato su un’espressione esplicita e non consuetamente allusiva e obliqua, prodotta dall’ex fascia tricolore.
“Vi chiedo, vi imploro di non consentire l’oltraggio di un luogo che a me sta molto caro e che è il simbolo di una comunità. Per favore, non rovinatelo. Per favore, fate uno sforzo: dimenticate di essere bestie e ricordatevi di essere uomini”.
Dunque, da un lato viene espressa una implorazione, dall’altro lato viene indiscutibilmente qualificato lo status del popolo di Marcianise, che rappresenta almeno il 95% dei fruitori del luogo santo: “Fate uno sforzo: dimenticate di essere bestie e ricordatevi di essere uomini”.
Azz, roba grossa. Dall’oblio della ragione all’oblio della bestialità.
Siccome non possiamo fare con Darwin come Gesù fece con Lazzaro, ci dobbiamo arrangiare da soli attorno a questa definizione antropologica.
Possiamo dire senza tanti problemi che partendo dal punto di vista di Velardi, all’uomo di Neanderthal va associato l’Homo Marcianisanus, esemplare poco evoluto delle scimmie, incapace di evolvere e soprattutto incomprensibile emissore di incomprensibili parole in cui le vocali appaiono ululati.
Nessun dubbio sussiste sul senso della definizione: i marcianisani sono delle bestie. Velardi non scrive, infatti, “per favore non comportaqtevi da bestie all’interno del cimitero” oppure “non comportatevi come le bestie”, ma scrive “dimenticatevi di essere – ES-SE-RE- bestie”.
Il massimo, l’essenza della codificazione esistenziale, che si riassume nell’infinito del verbo più ausiliario e automomo che c’è.
Al netto di Darwin, questa cosa non può essere commentata solo attraverso un’agevole analisi del testo. Non sappiamo se Velardi abbia riflettuto su quello che stava scrivendo o se invece, pervaso dalla collera e dalla rabbia, in quanto pensava che i marcianisani sarebbero scesi in piazza per evitare la sua caduta, si sia lasciato andare un attimo.
Certo è che un pensiero erogato in quella maniera, dentro a uno scritto discutibile, ma non privo di un filo logico, tradisce per la prima volta ciò che Velardi pensa e ha sempre pensato dei suoi concittadini.
L’allusione, lo schizzo di veleno, tutte cose per le quali occorre mettere insieme caratteristiche e attitudini apparentemente concorrenti che solo pochissime persone riescono ad armonizzare: la tigna, questa cattiveria atavica che si trasforma in grinta e determinazione feroce per raggiungere obiettivi largamente superiori alle proprie effettive capacità, con la capacità di essere freddi e razionali in ogni momento.
Perché Velardi è un soggetto antropologicamente interessante? Perché l’incazzoso, il malmostoso, l’arrabbiato perenne con il genere umano, va spesso fuori dai gangheri, mentre lui riesce a orientare tutta questa bile in un’area razionale in cui il detto e non detto, la bacchetta, l’allusione, diventano strumenti freddi e cinici per provare ad affrontare e risolvere l’enorme conflittualità che ha sempre connotato l’esistenza dell’ex sindaco.
Per una volta, sotto stress, nei minuti in cui addirittura una parte della città festeggiava con i fuochi artificiali, Velardi ha perso di vista questo equilibrio, su cui ha costruito i successi della sua vita professionale.
Da incazzato con tutti dotato però di una miccia lunghissima che gli ha consentito, ad esempio, per tre anni e mezzo, di scrivere 400-500 volte che c’era un politico camorrista, che c’erano gli imprenditori camorristi, che c’era il giornalista camorrista (cioè il sottoscritto) senza mai cadere nell’errore di declinare un nome e un cognome.
La pressione evidentemente è stata troppo forte e si è risolta in un autosmascheramento: i marcianisani sono delle bestie e io faccio appello affinché nel cimitero dimentichino di essere tali.
Ci vuole un altro articolo, che scriveremo domani.
Trattandosi, infatti, di una espressione che rispecchia una profonda convinzione, è chiar che a questo punto occorre stendere un lungo filo rosso che colleghi la bestialità dei marcianisani, così com’è declinata da Velardi, ad una serie di atti che lui ha compiuto e che, lapalissianamente, hanno avuto una costruzione logica individualista e chiaramente ispirata da un senso di disprezzo nei confronti dei suoi concittadini che oggi, finalmente, Velardi mette nero su bianco.
Alla prossima.