OSPEDALE COVID MADDALONI: disastro Asl, pochi infermieri e furiosi: hanno paura di entrare anche nelle stanze dei contagiati

14 Ottobre 2020 - 18:46

MADDALONI – Non è che la sera ci vogliano la Palombelli o Formigli per capire come vanno le cose della sanità in Campania, in questi giorni nei quali, superato trionfalmente lo scoglio elettorale, De Luca affronta il problema reale del Covid, non quello narrato in maniera immaginifica nella scorsa primavera, sempre a favore di telecamere e come mero strumento di campagna elettorale.

Basta girarsi intorno. Lo stiamo facendo da qualche giorno, ben sapendo che quando questo giornale concentra la sua attenzione sull’Asl o sull’azienda ospedaliera di Caserta, nulla di nuovo può succedere, visto che nei tempi ordinari la qualità media dei dirigenti che stanno lì solo per motivi di tipo politico, non certo per competenza, crea danni già significativi. Figuriamoci in tempi complessi come questi.

Del caso della clinica Pinetagrande di Castel Volturno abbiamo diffusamente scritto domenica scorsa (CLICCA QUI PER LEGGERE).

Come abbiamo scritto anche del modo a dir poco raffazzonato e anche pericoloso in cui l’Asl ha gestito certe positività al Covid, smistando persone con significative linee di febbre verso i laboratori privati convenzionati, con conseguente abbandono delle mura domestiche e in qualche circostanza con digressioni che hanno messo in strada delle autentiche bombe del contagio, untori purtroppo autorizzati dagli organismi preposti.

Oggi diamo un’occhiata all’interno dell’ospedale di Maddaloni per capire come stiano andando le cose.

L’abbiamo fatto tra ieri e oggi: disastro, pericolo e pesante malcontento tra il personale.

In principio furono pochi posti di terapia intensiva.

Poi nacque un primo reparto di medicina applicata esclusivamente al Covid con 21 posti letto. Poi un altro ancora per gli ex sintomatici, divenuti asintomatici, ma ancora pericolosamente positivi con altri 20 posti.

Un terzo, ancora di 21, più un reparto d’emergenza con 11 posti.

Complessivamente, calcolando anche i 9 letti di terapia intensiva, siamo tra gli 80 e gli 85 posti letto. Insomma, un ospedale, che deve essere specializzato e che dunque deve avere le caratteristiche del luogo di ricovero in cui vengono affrontate e curate le malattie infettive, qual è senza ombra di dubbio il Covid-19.

Il direttore generale dell’Asl Ferdinando Russo può dire quel che vuole, quando escono certi articoli. Ma le chiacchiere stanno a zero.

Un ospedale dedicato alle malattie infettive, può avere il modello di gestione di un ospedale ordinario e multidisciplinare? Decisamente no. Né si può dire che costituiscano strumenti sufficienti per garantire uno standard di assistenza, che si raccordi armonicamente a uno standard di assoluta sicurezza per gli operatori sanitari, le tute, le mascherine integrali e il resto dell’armamentario che rappresenta l’abbigliamento di chi si avvicina a pazienti contagiati.

Un ospedale per malattie infettive esprime una ritmica di funzionamento del tutto particolare.

Puoi indossare lo scafandro, che però successivamente dovrà essere sanificato, come del resto sanificati devono essere quotidianamente, se non addirittura ad horas, le stanze che ospitano i pazienti, i corridoi e gli altri luoghi cruciali, compresi gli spogliatoi e le aree in cui il personale si prepara. Va da sé che tutte queste specifiche precauzioni determinano meccanismi di funzionamento diversi e il più delle volte molto più lenti rispetto a quelli che si registrano in un reparto che non cura malattie infettive e altamente contagiose.

Oggi, cioè al momento, il personale operante nell’ospedale Covid di Maddaloni non sarebbe sufficiente neppure a gestire 20 posti letto.

Non è un mistero che la tensione si tagli con il coltello, con la conseguenza di un clima pesante, che va ad aggravare il quadro già emotivamente problematico di pazienti che non vivono certo spassosamente una condizione che il più delle volte gli è caduta inaspettatamente tra capo e collo.

Ci sono infermieri che giustamente non entrano nelle stanze, limitandosi a effettuare controlli, che non possono essere efficaci, fermandosi all’altezza delle porte d’ingresso, temendo – in maniera non infondata, visto che sono infermieri e la materia la conoscono – di poter rimanere infettati.

Al momento il numero di personale che fa turni h24 è di 68, ma in realtà si attesta sotto la sessantina per via del fatto che alcune unità sono in malattie e altre in quarantena per la probabile positività al Covid.

Ci troviamo in evidente sottodimensionamento.

Vi spieghiamo perché con un veloce calcolo: per ogni ogni unità operativa (composta da 20 posti letto) si necessita di 4 infermieri che coprano i 5 turni – mattina, pomeriggio e notte (per il calcolo della dotazione organica se ne contano, però, 5, in quanto chi fa la notte non è utilizzabile per i 2 giorni successivi). Dunque: 4×5=20. Per 3 unità operative fanno 60 infermieri

Per gli 11 posti letto del reparto d’urgenza servono 3 infermieri sui 5 turni, quindi 15.

In Rianimazione ci sono 9 posti che necessitano di 5 infermieri: 5×5=25

In totale, dunque, servirebbero almeno 95 infermieri turnisti – a fronte degli scarsi 60 attuali – per poter assicurare alla meglio il servizio, altrimenti il lavoro diventa pericoloso e stressante e, inoltre, aumenta la probabilità di contrarre il virus.