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L’EDITORIALE. Ristoratori e titolari di bar, vera carne da macello. Ecco perché la loro situazione non è paragonabile a quella dei loro colleghi europei

15 Gennaio 2021 - 19:02

di Gianluigi Guarino

Come è noto dalle cronache di questi giorni, ristoratori e titolari di bar italiani (ma soprattutto i ristoratori) sono scesi, come si suol dire in circostanze del genere sul piede di guerra. Manifestazioni in tutta Italia e l’altro giorno il blocco dell’autostrada Roma-Napoli nel tratto tra Capua e Caianello. Guardando i tg di oggi, è tutto un annuncio su nuove e pesanti misure che Paesi europei di grande importanza, Germania e Francia in primis per rimanere nell’Unione, Gran Bretagna, per citare un caso extra UE, hanno già adottato e che partiranno di qui a qualche giorno: lockdown rigidi, chiusure di bar e ristoranti e un meccanismo complessivo di azione che va a colpire direttamente l’economia delle imprese che potremmo definire “dell’aggregazione”, cioè cinema, teatri e per l’appunto bar, ristoranti ed esercizi assimilabili.

Eppure, nella patria dei Gilet Gialli, ma anche in Germania e Gran Bretagna, al di là di qualche caso sporadico, non si segnalano iniziative come quelle che molti ristoratori e somministratori italiani proveranno a realizzare a partire da domani, sabato 16 gennaio, quando la zona Arancione li chiuderà implacabilmente.

La più trasgressiva è quella denominata: “Io non chiudo”. Una sorta di protesta non violenta che prevede anche l’assorbimento silenzioso di eventuali multe che ovviamente non sarebbero controfirmate da chi le subisce con tantissimi studi di avvocati, anche di grido, pronti a sollevare, in opposizione a quei provvedimenti amministrativi, casi giudiziari davanti ad ogni tipo di tribunale.

Ma perché, a parità di afflizione, il ristoratore di Parigi, di Marsiglia, di Berlino, di Francoforte, di Londra o di Liverpool si appresta a chinare la testa al cospetto delle nuove misure annunciate dai governi e in Italia, invece, i loro omologhi stanno facendo e preparando tutto questo casino?

Si tratta per caso della solita attitudine italiana che mal sopporta l’applicazione di leggi restrittive in nome di un egoismo pronto a sacrificare sull’altare di un profitto, mai come in questo caso vile, le ragioni della salute collettiva? O, al contrario, c’è qualcosa, o più di qualcosa, che diversifica e discrimina la situazione creatasi in Italia rispetto a quella dell’Europa e anche degli Stati Uniti, nel rapporto tra milioni e milioni di imprese, spina dorsale dei settori produttivi, e la pandemia Covid?

Chi scrive non è stato mai tenero con l’attitudine di cui sopra, con quell’Italia egoista, priva di senso civico, spaghettara, leggera e relativa. Ma siamo anche dei liberali e di conseguenza non sottenderemo mai al primato della ragione, dell’analisi dei contenuti, queste nostre idee di fondo che tali restano e non potranno mai divenire un pregiudizio, che appartiene agli ayatollah, ai massimalisti, al cattolicesimo medievale, a quelli che bruciarono Giordano Bruno, ai fascisti e ai comunisti. Non agli intellettualmente onesti, pensosi sull’incrocio delle diverse ragioni.

Sin dai primi giorni di questa seconda fase della pandemia abbiamo scritto che rispetto alle misure della primavera scorsa, valutavamo come estremamente iniquo tutto ciò che le misure assunte da settembre in poi stavano provocando e stanno continuando a provocare. Se c’è una zona rossa o arancione, la prima conseguenza (e così è stato, realmente, in primavera) riguarda una riduzione, quasi un azzeramento della mobilità. Se si è in zona rossa non si esce di casa, in zona arancione non si può lasciare il comune (anche se questa particolare misura è stata applicata e gestita in maniera pedestre dal governo nazionale, senza tenere conto dei dati topografici e demografici).

L’eccezione significa quello che significa: un caso eccezionale. Se un cittadino è in grado di autocertificare, sotto la sua responsabilità penale, che il comportarsi in deroga al regime di zona rossa o arancione sia legato a motivi di lavoro o a gravi motivazioni di salute, allora okay caro cittadino, puoi muoverti da casa o dal tuo comune, purché ciò rappresenti un caso comprovato, che una nazione appena seria deve essere in condizione di verificare, magari derogando, in nome dello stato d’emergenza, anche a qualche norma sulla privacy.

Quando la Campania è stata zona rossa e arancione avete notato per caso una riduzione del traffico nelle città o anche nei paesi o nelle strade di collegamento principale e secondario? Avete incrociato un posto di blocco in cui le forze dell’ordine vi abbiano chiesto conto del vostro spostamento? Zero.

E questo perché la scellerata combinazione tra ciò che il governo nazionale ha deciso in questi mesi e quel figuro che sta a Napoli ha rintuzzato, smentito e ribaltato, ha indotto giustamente le forze dell’ordine ad occuparsi di altro. Se tu dai la possibilità a una persona, a un italiano furbetto e relativo di recarsi ad un supermercato fuori dal proprio comune perché lì c’è la convenienza, se non deroghi alle norme sulle privacy, consentendo alle persone di raggiungere non meglio precisati congiunti e parenti malati, allora i carabinieri cosa devono farci in mezzo alla strada? Farsi prendere per il culo?

A questa barzelletta se ne aggiungono altre: in zona arancione, in cui la Campania è rimasta fino al 6 gennaio compreso, ci chiediamo perché è stato consentito ai negozi non iscritti alla categoria dei ristoratori e dei somministratori di essere aperti per l’intera giornata, aggregando un bel po’ di persone al loro interno e con buona pace del distanziamento sociale nei giorni festivi di fine anno? E perché è stato consentito ai centri commerciali di rimanere aperti dal lunedì al venerdì, che peraltro in tempi di feste importanti quali quelle del Natale e del Capodanno sono giorni che perdono fondamentalmente l’identità di feriali, diventando a loro volta festivi e parafestivi?

Altro punto: il signor De Luca in primavera fece milioni di promesse su fantasmagorici ristori in grado di compensare tutte le perdite subite dalle attività riguardanti ospitalità, ristorazione, eccetera, che al confronto i fantamiliardi di paperone erano bazzecole. Qualche spicciolo si vide nei primi due mesi, poi quella promessa fu tradita allo stesso modo in cui De Luca tradisce tutte le questioni serie, quelle che scaturiscono dalla cultura del fare e non da equivoca, spesso ambigua, del dire, rispetto alla quale siamo di fronte ad un vero e proprio fuoriclasse.

Quando, dispettosamente, il 19 dicembre scorso il governatore ha cancellato anche quei quattro giorni di zona gialla decisi dal governo, umiliando i bar nel momento in cui ha ordinato che dalle 11 del mattino avrebbero potuto vendere solo acqua fresca, il salernitano sadico promise ancora una volta ristori importanti anche perché quelli erano i giorni vicini al Natale in cui questi locali si schiantavano contro gli scogli del disastro del proprio fatturato.

Ebbene, non si è visto un euro che sia uno solo da parte della Regione, mentre per quelli nazionali è del tutto evidente che l’elegia degli annunci, la narrazione di una montagna di quattrini che starebbero proprio lì pronti a planare nei conti correnti dei ristoratori e dei titolari del bar, è ben lungi dalla semplice approssimazione ad una realtà che invece racconta di soldi che non arrivano. E che se arrivano, a Dio piacendo ciò capita dopo mesi e mesi, mentre le tasse sono sempre le stesse, al di là di giochini e giochetti su saldi e stralci, rottamazioni che non affrontano con la giusta espressione di eccezionalità quello che è senza se e senza ma un accidente mondiale senza precedenti da un secolo a questa parte, al netto della Seconda Guerra Mondiale. E poi c’è l’Enel famelica da pagare, il fitto, eccetera eccetera.

Conclusione: ritenete seriamente, così, ad intuito, anche senza informarvi nel dettaglio, che in Svizzera, in Germania, negli Usa, finanche in Cina, in Gran Bretagna, in Danimarca, in Ungheria, ristoratori e titolari di bar, pur costretti a mordere il freno come ci spiegano le già citate cronache di questi giorni, abbiano dovuto subito l’umiliazione di essere le uniche categorie a dover sopportare realmente e totalmente i divieti della pandemia?

E allora, è del tutto evidente che è imparagonabile rispetto a ciò che accade nel nostro Paese, alla condizione dei nostri ristoratori, la reazione composta, sufficientemente serena, collaborativa che ancora in questi giorni i pub di Londra, i venditori di crauti tedeschi, i bistrot parigini stanno avendo di fronte a restrizioni che avvertono in tutta evidenza come un amaro calice, affrontato con la stessa cifra di sopportazione rispetto a tutte le altre categorie e anche rispetto al semplice cittadino che sta realmente a casa o che, se esce, autocertifica il vero e non le balle.

La base delle rivoluzioni, quella principale, cioè la goccia che ha fatto traboccare i vasi, è stata sempre costituita dall’iniquità, dalla diversità di trattamento che i governi hanno riservato a certe categorie a scapito di altre. Per cui, chiudendo il cerchio del ragionamento, se una situazione del genere, per assurdo, si fosse verificata in Francia, Gran Bretagna o in Germania, ci sarebbero stati un milione di ristoratori e titolari di bar tedeschi, francesi, inglesi eccetera sotto la porta di Brandeburgo, a piazza della Concordia, culla della Rivoluzione Francese e ad Hyde Park.

Questa è l’Italia, la solita Italietta.