SANDOKAN PENTITO. Puttanate à gogo scritte in questi giorni. Ragioniamo con raziocinio e scienza su chi può “tremare” realmente e su chi no. Variabili tempo, status carcerario e altro ancora

2 Aprile 2024 - 14:13

Abbiamo fatto sfogare un poco tutti, giornali nazionali in primis. Ora partiamo con rigore con la considerazione di quanto contino la data dell’11 luglio 1998, i colloqui carcerari di un 41 bis strettissimo, quelli con gli avvocati. E in base a tutto questo ipotizziamo delle cose che, non essendosi mosse con la collaborazione del figlio Nicola, si potrebbero muovere con la sua

CASERTA (g.g.) – Ne stiamo sentendo tante. Abbiamo letto di articoli, abbiamo ascoltato esperti di camorra – o sedicenti tali – descrivere le sensazioni di terrore di politici ed imprenditori dopo la notizia del pentimento di Francesco Schiavone Sandokan, boss del clan dei Casalesi che non ha bisogno di presentazioni, in carcere al regime di 41 bis più o meno dal giorno del suo arresto, 11 luglio 1998.

Sandokan, quindi, dovrebbe “far tremare” colletti bianchi e suoi ex sodali, ma questo è possibile, visto che si tratta di una persona chiusa in isolamento, in una stanza da quando il secolo in cui vivevamo era ancora il novecento?

A nostro avviso, avevano maggiore importanza le parole di Nicola Schiavone, il “delfino”, il figlio del boss che, dopo aver comandato la fazione di famiglia, si è pentito a seguito del suo arresto avvenuto nel 2010,

oltre un decennio successivo all’arresto del padre.

Come poteva Sandokan conoscere le trame criminali del clan dal 1998 a seguire? Poteva leggere i giornali locali, le cui copie venivano acquistate e consegnate al boss, recluso al 41 bis, ma mancherebbero, a questo punto, i segnali di ritorno di Schiavone verso gli uomini della sua fazione.

E, quindi, restano due ipotesi. Storicamente, è avvenuto che avvocati di importanti boss operassero quel comportamento da “piglia e porta”, ovvero facessero da tramite, da messaggero tra il capoclan recluso e gli uomini fuori al carcere. Qualche parolina, quindi, qualche opinione, una chiacchierata tra il suo legale difensore e Sandokan poi resa nota all’esterno della stanza? Al momento non c’è alcuna prova a sostegno di questa teoria e, quindi, riteniamo di poterla escludere.

Allora restano “i segni della briscola”, ovvero messaggi subliminali, verbali o fisici, che Sandokan si sarebbe scambiato in maniera criptata davanti alle telecamere della polizia penitenziaria durante i colloqui con i parenti, sempre controllati per chi vive in regime di 41 bis. Esistono dei segnali, delle parole dette dal boss ai familiari – e viceversa – che sono rimasti ignoti, poco chiari agli inquirenti? Questo non possiamo saperlo, ma solo in questo modo Sandokan avrebbe potuto mandare messaggi al mondo esterno.

E allora parliamoci chiaro: solo così il boss avrebbe potuto indicare cosa fare e conoscere passo passo le operazioni del suo clan.

Veniamo, a questo punto, a cosa Sandokan potrà raccontare.

Ad esempio, in queste ore è emerso l’arresto del boss Giacomo Fragnoli per l’omicidio di Giuseppe Mancone Rambo avvenuto a Mondragone nel 2003 (LEGGI QUI).

Si tratta di una ricostruzione suggestiva, in quanto se proprio ci fosse stato lo zampino del clan dei Casalesi e non quello del clan Birra di Ercolano – così come è stato sempre affermato dai comunicati stampa e dalle fonte ufficiali -, la notizia sarebbe emersa da Nicola Schiavone, che non era in quel momento il reggente, ma operava con Francesco Schiavone, quel Cicciariello che reggente era stato fino al 2004 e mandante dell’omicidio di Sebastiano Caterino – mandante principale – avvenuto a fine ottobre del 2003.

Sandokan sicuramente potrà risolvere dubbi su alcuni decessi, omicidi che sono rimasti insoluti. Ma pensare che possa raccontare fatti di sangue successivi al 1998, fornendo elementi per rivoluzionarne le ricostruzioni già realizzate, non pare plausibile poiché significherebbe che abbia comandato il clan dal carcere, alla maniera di Raffaele Cutolo, e questo onestamente non ci risulta.

Sui rapporti tra politici e clan dei Casalesi ante 1998 è difficile pensare che usciranno altri nomi “che tremano”. Questo perché tra le parole dello zio Carmine Schiavone, degli altri pentiti e le indagini su Nicola Ferraro e Nicola Cosentino, nell’aprile di un anno fa condannato in via definitiva a 10 anni di reclusione per concorso esterno in associazione mafiosa, sembrano aver esaurito la propria forza.

Quello che può raccontare Sandokan non andrebbe sostanzialmente a trasformare una storia già segnata, perché il boss riteniamo non abbia avuto rapporti con politici e rappresentanti delle istituzioni post 1998 e, per questo motivo, potrebbe spiegare un passato che, ora, non può modificare l’attuale struttura. Comunque, per delimitare un periodo di valutazione, si potrebbe dare una diversa lettura alle elezioni regionali del 1995, le politiche del 1996 e tutte le consultazioni comunali di Casale tra anni ottanta e novanta.

Stessa cosa si può dire per i rapporti con i funzionari degli enti della nostra provincia. Sandokan potrebbe spiegare le dinamiche intercorse negli ultimi due decenni – quasi tre – tra il clan e i cosiddetti colletti bianchi, quali dirigenti vari? Lo riteniamo altamente improbabile.

Il boss, tra latitanza e carcere duro, ha sicuramente delegato i rapporti con la pubblica amministrazione a persone di sua fiducia (Dante Apicella e i suoi, ad esempio?). E allora ritenere possibile che esca un nome alla Sandrino Diana, recentemente condannato per concorso esterno al clan, avendo favorito gli appalti alla Provincia per imprenditori ritenuti di camorra, come Raffaele Pezzella, sotto processo, o di nuovi funzionari asserviti alla criminalità, qualcosa di diverso dal racconto del figlio, quindi, post 1998, è una speranza sulla quale riteniamo di non poter fare molto affidamento, al di là del clamore alimentato molto artificialmente e poco razionalmente dai media in questi giorni.

Sugli imprenditori, poi, forse va fatto un discorso a parte. Ragionando sempre con il presupposto che comandare, impartire ordini al 41 bis è impresa abbastanza complessa, Sandokan potrebbe dare qui un importante aiuto, anche se per storie antecedenti al 1998.

Diciamo questo perché il boss, se davvero deciso di raccontare la storia del suo potere, dovrà necessariamente spiegare quali giovani imprenditori 30enne lui, da boss 40enne, premiava.

Chi erano legati, quindi, i soggetti all’economia del clan, quali appalti venivano truccati e quali sono le famiglie, ora pulite o comunque ancora in giro, tramite anche gli eredi dei vari imprenditori a lui connessi, che hanno stretto rapporti economici con il clan Schiavone, finanziandolo e ricevendo in cambio appalti e agevolazioni che la struttura camorristica poteva offrire.

Chiudiamo con la monnezza. Negli anni ’90 il clan dei Casalesi e Francesco Schiavone gestirono l’illecito (e anche lecito) ciclo dei rifiuti. Recentemente, Catello Maresca ha spronato Sandokan a parlare, a dire il nome del grande vecchio, la protezione politica, la protezione istituzionale sull’avvelenamento milionario della provincia di Caserta. Qui, invece, ci aspettiamo che il boss possa esprimere notizie nuove che, ad esempio, il figlio Nicola non poteva conoscere a menadito come il padre che, in quegli anni era il padrone delle operazioni.