Schiavone Monaciello, i ladroni delle Ferrovie Italiane, le parole dei figli “ballerini” di Sandokan, mentre il Ministro dei Lavori Pubblici dei Casalesi…

25 Settembre 2024 - 19:28

Stamattina la deposizione in aula di Walterino, ma anche di Dante Apicella e Antonio Magliulo

CASAL DI PRINCIPE (G.G.) – Ieri abbiamo cercato di mettere un po’ d’ordine nei processi gemmati dalla famosa ordinanza da noi definita “double face”, imperniata sulle figure di Nicola Schiavone Monaciello, cugino di Francesco Schiavone Sandokan, zio e padrino di battesimo di Nicola Schiavone Jr, attinente a tutte le questioni relative alla penetrazione dei capitali del clan dei casalesi nel sistema degli appalti di Rete Ferroviaria Italiana, ma anche sulla figura di Dante Apicella, referente principale di Nicola Schiavone Jr per appalti e affidamenti nei comuni della provincia di Caserta e non solo, da noi denominato il Ministro dei Lavori Pubblici del clan dei Casalesi.

Fermo restando la sentenza pronunciata con rito abbreviato già da un po’ di tempo e che ritroverete, in sintesi, nell’articolo linkabile all’inizio e fermo restando il ping pong, divenuto un po’ grottesco, tra i vari tribunali, relativamente a una struttura del processo spacchettato sugli appalti Rfi partito, per quanto riguarda i reati non di camorra, a S.Maria C.V., poi passato a Napoli e da questo tribunale, nella giornata di ieri, trasmesso a quello di Aversa-Napoli Nord, l’unico dibattimento entrato nel vivo è quello che si sta celebrando a S.Maria C.V. relativamente ai reati associativi di intraneità o concorso esterno all’associazione di stampo mafioso.

Francamente, quando depone un componente della famiglia Schiavone non sai mai bene come collocarlo.

O meglio, Nicola Schiavone Jr è diventato ufficialmente un pentito, suo padre Francesco Schiavone Sandokan aveva dichiarato di volerlo diventare, forse anche per tutelare quella testa calda dell’altro figlio Emanuele, uscito e repentinamente tornato in carcere.

Mano mano che i giorni passavano, il clamore suscitato dal presunto pentimento di Sandokan è andato scemando perché la Dda di oggi, quella marcata Gratteri, può dire a buona ragione “qua nisciuno è fesso” essendo una Dda più organizzata, più ortodossa e, osiamo dire, più seria delle precedenti, sicuramente più mediatiche ma meno sostanziose.

A Sandokan sono state poste domande ben precise sui soldi e sui tesori della camorra. Il boss non ha voluto o non ha potuto rispondere e quindi la sua condizione di pentito si è trasformata in status di (s)pentito.

In questo tourbillon come si può collocare la figura di Walter Schiavone, altro figliolo di Sandokan?

Mica è facile. Era in soggiorno obbligato in Molise e spediva continuamente la moglie a Casal di Principe per mandare imbasciate ai suoi sodali; ebbe un’apertura di credito da parte della Dda che poi evaporò. Se non ricordiamo male, alla fine ha aderito al programma di protezione legato al pentimento del fratello Nicola. Per cui, la validità di ciò che può dichiarare come testimone in un processo di camorra è un autentico rebus.

Le sue parole possono essere registrate e riportate e più di questo non si può fare. Stamattina è stato interrogato proprio dentro al processo su Nicola Schiavone Monaciello e company e sostanzialmente ha dichiarato le stesse cose già propalate ai magistrati dell’accusa durante l’indagine. Ce lo ricordiamo bene avendo dragato quell’ordinanza centimetro per centimetro.

Atto dovuto, quindi, perché nel rito ordinario la prova si forma in dibattimento e dunque ciò che viene dichiarato all’accusa durante l’indagine perde valore in quanto dovrà essere ribadita sia davanti al Pm ma anche al cospetto delle domande che i giudici del dibattimento vorranno porre e agli eventuali quesiti posti dall’avvocato di parte civile, ammesso e non concesso che sia costituito, e poi alle domande degli avvocati difensori in controesame.

Per cui, ha dichiarato: Nicola Schiavone è stato il padrino di battesimo di mio fratello Nicola; il fratello Enzo Schiavone, detto Enzuccio o’ trick era ugualmente legato alla mia famiglia, soprattutto a mio zio Walter (sempre quello della villa faraonica copiata dal film Scarface, da cui il soprannome appioppatogli); Nicola Schiavone Monaciello aveva libero accesso anche al rifugio che ospitava mio padre durante la latitanza ed era uno dei pochissimi che se lo poteva permettere, visto che anche noi figli dovevamo usare grandi precauzioni, stendendo i sedili anteriori dell’auto oppure viaggiando nel bagagliaio; è sempre stato vicino economicamente alla famiglia, ha pagato gli avvocati di mio fratello Ivanohe e ha partecipato al matrimonio di mio fratello Carmine.

Oggi è stata anche la volta di Dante Apicella, ascoltato come testimone ma anche come imputato di processo parallelo, che “ha chiuso la pratica” con 16 anni e 5 mesi di carcere in rito abbreviato.

Sempre relativamente agli imputati del filone Apicella che hanno scelto il rito ordinario, a differenza sua, sul banco dei testimoni è salito anche l’imprenditore Antonio Magliulo, anch’egli già condannato nel rito abbreviato a 8 anni e 10 mesi.

La presenza odierna di Dante Apicella ha declinato anche quei pochi elementi di connessione esistenti nella ordinanza double face tra gli interessi dei fratelli Nicola ed Enzo Schiavone e gli imprenditori di fiducia di Nicola Schiavone Jr, prima ancora di Panaro e di Cicciariello Schiavone, a partire proprio da Apicella, il quale ha dichiarato che, insieme a Monaciello, si occupò di molti appalti come il rifacimento di via Vaticale a Casal di Principe, l’impianto di depurazione, dello stadio e dei contratti di quartiere per 7milioni di euro.

Ai tempi della trattazione dell’ordinanza, più di un articolo dedicammo al contratto di quartiere di Casal di Principe. Ciò accadde perché si trattava di lavori molto lucrosi per un importo di circa 7 milioni di euro. Su questo si è soffermato, stamattina, Dante Apicella, il quale, rispondendo alle domande del Pm, ha detto “che l’appalto era truccato” (ma no!) e i fondi erano stati fatti arrivare dal politico Sebastiano Ferraro, deceduto qualche anno fa, a cui, secondo Apicella, andò una quota.

Infine è stato sentito Antonio Magliulo, il quale ha dichiarato: “Dante Apicella detto a damigiana è il padrino di mia figlia. Me lo presentò Luigi Belardo nel suo negozio di pietre e si offrì di aiutarmi con pagamenti comodi. Si aprì una partita iva e se mi serviva molto materiale, io lo contattavo, lui contattava i fornitori ed ottenevo il materiale che potevo pagare anche un po’ alla volta o con pagamenti lunghi a 6-9 mesi. La mia azienda è stata esposta ad amministrazione giudiziaria e io ho fatto delle sovratturazioni ai Petrillo, per mantenermi i clienti”.