Trastole di CAMORRA. Ecco come funzionavano i sub-sub-subappalti dei fratelli Nicola e Vincenzo Schiavone: da Enel, Telecom e Ferrovie fino a ditte napoletan-casertane arruolate e raggirate

20 Luglio 2022 - 14:59

La molto interessante testimonianza volontaria rilasciata alla Dda e ai carabinieri del Nucleo investigativo di Caserta, da un detenuto, fatto letteralmente nero dai due furboni di Casal di Principe, sin dagli anni 90, sin da Spartacus e sin dall’immediato dopo Spartacus

 

 

CASAL DI PRINCIPE – Certe ordinanze  vanno lette con spirito e atteggiamento certosino. Nel senso che non bisogna sottovalutarne alcun contenuto, anche quando si incrocia un nome che magari, non possedendo una “reputazione” criminale, una notorietà si è portati a ignorare, proprio lì un giornalista, magari aiutato dalla passione per la storia e per la storiografia, va a mettere il naso.

“Nunzio Colantuono, chi era costui?”. In effetti nella rete abbiamo trovato una sola citazione di un Nunzio Colantuono di Calvizzano, in provincia di Napoli, arrestato nel 2006 quando aveva 43 anni per contrabbando  a favore degli interessi del clan Pianese di Qualiano, dunque reato aggravato dal metodo mafioso. Magari sarà una omonimia ma noi solo questo abbiamo trovato.

Oggi questo Nunzio Colantuono avrebbe, dunque, 59 anni. Il dubbio che non si tratti della stessa persona, è legato alle prime battute che Nunzio Colantuono, espone al cospetto dei componenti della polizia giudiziaria, nel caso specifico dei carabinieri del Nucleo Investigativo del Comando Provinciale di Caserta, delegati dalla Dda di Napoli.

Afferma, infatti, a chi lo interroga nel carcere di Benevento, che la sua detenzione fosse datata anno 2008. Comunque, il dettaglio non è fondamentale anche se è giusto cercare sempre di identificare la storia, i trascorsi, la biografia di chi viene coinvolto, da indagato, da testimone in un’inchiesta giudiziaria così importante, qual è senz’altro quella riguardante le trame imprenditorial-criminali del 68enne di Casal di Principe Nicola Schiavone che, insieme al fratello Vincenzo, ha fatto soldi a palate grazie ai rapporti costruiti con grandi aziende di stato dentro a contesti napoletani e romani in cui, anche grazie ai loro rapporti con i fratelli Francesco e Walter Schiavone, rispettivamente capo e co-fondatore del clan dei casalesi, hanno piantato profonde radici.

Nunzio Colantuono è, dunque, proprio uno di quei nomi che non ti dice nulla e che si è tentati a bypassare soprattutto quando davanti si ha un’ordinanza di più di mille pagine.

Siccome però noi siamo certosini, non l’abbiamo fatto incrociando tutta una serie di elementi molto interessanti legati proprio alle attività di Nicola e Vincenzo Schiavone, nel tempo in cui di loro si è saputo e si sa molto di meno.

Colantuono decide volontariamente di essere ascoltato dalla Dda un minuto dopo aver letto, il 3 aprile 2019, la notizia delle perquisizioni nei confronti degli Schiavone e dunque del loro coinvolgimento in un’inchiesta giudiziaria dell’antimafia.

E’ chiaro che un detenuto che da 11 anni è in carcere, difficilmente di propone come testimone volontario per puro amore della legge e della equità. In effetti, Nunzio Colantuono si dichiara frodato, raggirato dai due Schiavone, per una cifra di 108 milioni di vecchie lire e poi successivamente per altre diverse decine di migliaia di euro, legati a quelli che lui definisce sub-sub e ancora sub appalti. Cioè subappalti elevati al cubo.

E questo è giá un dato interessante che ci consente di capire come funzionasse il sistema in cui monaciello e o trick si erano inseriti sin gli anni 90 e soprattutto nei primi anni Duemila. Colantuono era l’ultimo anello della catena, era l’ultimo, il terzo sub di grandi appalti, banditi – così racconta agli inquirenti durante l’interrogatorio svoltosi il 16 maggio 2019, cioè a quasi a un mese e mezzo di distanza dalle perquisizioni – da Telecom, Enel, Ferrovie dello Stato e Fastweb.

Colantuono era titolare di un’impresa specializzata in impianti elettrici, m a anche in posa di cavi telefonici, insomma in tutto quello che aveva impegnato, ad inizio degli anni 90, anche lo stesso Francesco Schiavone Sandokan, quando questi ancora svolgeva l’attività di imprenditore.

La grande azienda nazionale dava in subappalto i lavori ad imprese controllate il più delle volte, ma comunque dotate di un’autonomia giuridico-economica. Parliamo dunque della Site e della Sirti, poi ETS, Valtellina che come già abbiamo letto aveva creato uno stretto sodalizio con i fratelli Nicola e Vincenzo Schiavone.

Queste società, a loro volta, subappaltavano a quelle controllate dai germani di Casal di Principe, dai pupilli di Francesco Schiavone Sandokan e di Walter Schiavone Scarface.  Colantuono racconta che in quel periodo, siamo ad inizio secolo, capitava il più delle volte che monaciello e trick subappaltavano a loro volta questi lavori e non potendolo fare in maniera ufficiale, formale, in quanto vietato dalla legge, mascheravano quello che, per l’appunto, era un subappalto, anzi, un sub sub subappalto a pieno titolo, con delle assunzioni, magari a tempo determinato degli imprenditori di ultimissima posizione in filiera, i quali intascavano ufficialmente uno stipendio.

Dunque, aver conosciuto bene il metodo, vi aiuterà anche a comprendere in maniera più efficace e più esaustiva i successivi contenuti di questa ordinanza.

La prima frode, a detta di Colantuono, viene perpetrata dai fratelli schiavone negli ultimi anni 90. Già al tempo, dunque, soprattutto Nicola Schiavone era in grado, da subappaltatario, di far lavorare delle imprese, stipulando con loro un accordo sotto banco, non ufficiale, illegale e coperto da assunzioni fittizie.

Nel dettaglio, Colantuono racconta di aver ricevuto una di queste commesse nell’ambito del progetto Socrate di Telecom, subappaltato alla consociata Site, poi dalla Site a una società degli Schiavone e ancora dagli Schiavone al Colantuono. Lavori importanti e anche complessi visto che si trattava della posa dei cavi della fibra ottica  nella zona di Caserta capoluogo. Era proprio il periodo dell’inchiesta Sprtacus durante la quale, per evitare l’arresto, sia Nicola Schiavone che Vincenzo Schiavone si dettero alla latitanza.

Ciò allarmò non poco Colantuono il quale temeva di non ricevere il corrispettivo concordato per lavori. Fu tranquillizzato dall’imprenditore di Sparanise, Giovanni Fiocco, di cui già abbiamo scritto a lungo, e che al tempo era un fedelissimo di Vincenzo Schiavone a cui dava anche la disponibilità per acquistare quote di maggioranza di società problematiche nelle quali e anche il figlio svolgevano in pratica di prestanomi. Vincenzo Schiavone l’avrebbe pagato regolarmente: questo,Giovanni Fiocco comunicò a Nunzio Colantuono.

Al contrario, questi non fu pagato al punto che sull’intera operazione perse, a quanto ha raccontato ai carabinieri nell’interrogatorio del maggio 2019, la cifra di 108 milioni di vecchie lire. E nemmeno l’assoluzione di Nicola Schiavone, nemmeno la pena mite a due anni di reclusione, senza andare in carcere, rimediata da Vincenzo Schiavone, furono sufficienti affinchè Colantuono ricevesse le cifre concordate.

“Non ti preoccupare – gli disse proprio Vincenzo Schiavone – questi soldi te li faccio recuperare con altri lavori”. Colantuono si rinfrancò, ma non sapeva che ai suoi danni i due ineffabili fratelli stavano preparando un altro raggiro. Sempre con la formula del subappalto al cubo, il Colantuono insieme ad un suo dipendente napoletano Tiziano Giuliano, si mise di buzzo buono a sostituire contatori con la media di 80 al giorno, arrivando alla cifra di 3000 contatori, nell’arco di 4 o 5 mesi.

Gli Schiavone gli dissero di dover utilizzare necessariamente la formula dell’assunzione sua e di Tiziano Giuliano proprio per coprire, per ammantare di regolarità quei lavori. Ovviamente, ciò non avrebbe alterato l’accordo che Colantuono prese direttamente con Marco Falco, geometra di Parete, appartenente al pool delle teste di legno degli Schiavone: quel lavoro il cui appalto era partito dall’Enel, sarebbe stato remunerato all’impresa dei due fratelli di Casal di Principe, in ragione di 50 euro a sostituzione di singolo contatore.

Il calcolo è semplice. Se in 4 o 5 mesi, Colantuono e il suo dipendente ne sostituirono circa 3000, con la media di 80 al giorno, visto che si trattava di un’operazione piuttosto semplice, la ripartizione avrebbe dovuto essere la seguente: siccome in base all’accordo stretto con Marco Falco, gli Schiavone si sarebbero trattenuti 30 euro su 50, concedendo 20 euro a Colantuono che però doveva realizzare tutti i lavori senza che gli Schiavone spendessero un solo secondo di tempo per la loro realizzazione, dell’importo complessivo di 150mila euro, 90mila sarebbero dovuti andare nelle tasche di Nicola e Vincenzo, 60mila nelle tasche di Colantuono.

Al contrario – della serie errare è umano, perseverare è diabolico – a quest’ultimo e al suo dipendente furono pagati semplicemente gi stipendi, secondo il livello professionale indicato nell’assunzione fittizia. Quindi Colantuono riteneva di parlare agli schiavone da imprenditore a imprenditore, questi invece lo fregarono, arruolandolo in pratica come un loro operaio.

Se è vero, allora che il Colantuono nutrisse delle riserve e del livore nei confronti degli schiavone che lo avevano raggirato due volte, prima con la posa dei cavi del progetto Socrate, targati Telecom-Site, poi con la sostituzione dei contatori targati Enel, è anche vero che il suo racconto, essendo molto dettagliato, ha dato o dà ancora oggi la possibilità agli inquirenti di trovare riscontri materiali, concreti, probanti.

Il resto, che consiste poi anche nei rapporti avuti da congiunti di Colantuono, cioè Gennaro Petrone e Alessandro Ammaturo, il primo dei quali sottoposto, secondo il testimone ma ha violenza fisica ad opera dei due fratelli o di loro “delegati”, lo potete leggere in calce a questo articolo, nello stralcio dell’ordinanza che pubblichiamo oggi.

 

QUI SOTTO LO STRALCIO DELL’ORDINANZA