L’INCHIESTA. Aversa saccheggiata dai palazzinari. L’incredibile storia della concessione negata da 10 anni a Paolo Santulli, mentre Ferdinando Canciello, tomo tomo e cacchio cacchio…
6 Maggio 2023 - 19:25
 
                                    Cominciamo oggi un percorso di analisi, di studio e di documentazione di una serie di vicende che avrebbero fatto impallidire anche certi personaggi raccontati da Francesco Rosi nel suo celeberrimo film “Le mani sulla città”. Iniziamo però con un racconto che, in un qualsiasi altro posto che non sia Aversa o la provincia di Caserta, verrebbe bollato come una fake news, come una burla. Un episodio che è un autentico paradigma della degenerazione e dell’arroganza di un potere, talmente sicuro della sua impunità, da potersi permettere di sbeffeggiare a ripetizione il Tar e il Consiglio di Stato trattato come un circolo del dopolavoro dal dirigente dell’Utc Raffaele Serpico.
AVERSA (gianluigi guarino) Diciamocela tutta: Aversa sta attraversando uno dei peggiori momenti della sua storia, rispetto ai quali la figura, tutto sommato invisibile, del sindaco Alfonso Golia rappresenta veramente l’ultimo dei problemi.
Le mani sulla città, mai è stato tanto vero ad Aversa.
Quante volte avete letto l’espressione, mutuata, in termini letterali, dal celeberrimo film di Francesco Rosi “Le mani sulla città”? Noi, pur conoscendo la storia di quel film, le ragioni di quel soggetto e di quella sceneggiatura, proviamo a tutelare l’importanza, il peso culturale, prim’ancora che artistico, di quella che è una delle denunce più crude e più reali di una mentalità tutta italiana – meridionale, ma non solo meridionale -, che riconduce all’idea che l’unico modo per fare i soldi sia quello rappresentato dalla speculazione edilizia. Insomma, speculazione purché sia: costruire appartamenti, l’uno sull’altro, realizzando economie a cui si collegano valori aggiunti e, dunque, profitti spesso stellari, senza stare lì a “sottilizzare”. Chissenefrega se quel palazzone è un pugno nell’occhio, è un’aggressione evidente del soldo speculativo, dell’arroganza dei palazzinari, oggi finanche più sfrontati di quelli di ieri. Niente. Si va avanti a carro armato, perché, tutto sommato, l’impunità degli ultimi anni ha tranquillizzato gli squali del mattone e del cemento, che però da qualche tempo sembrano poter contare su minori sicurezze, dopo il sacrosanto sequestro dell’immobile del costruttore Jari Cecere.
Beh, ciò che sta capitando ad Aversa è per noi largamente sufficiente per ricorrere all’uso delicato, quasi religiosamente espresso, di quel titolo rimasto celeberrimo, impresso come un incancellabile modo di dire, un vero manifesto delle prime mosse di una oligarchia parassitaria che, senza doversi impegnare per vincere le sfide del mercato, ha fatto letteralmente il bello e il cattivo tempo costruendo dove non si sarebbe mai dovuto e potuto costruire. Quel film del grande regista napoletano ha illustrato anche un modo di essere e di pensare, fondato su una concezione della legge a dir poco relativista. Una legge da piegare sempre e comunque agli interessi economici, oligarchici e speculativi.
Possiamo affermare, in scienza e coscienza, che ad Aversa è in atto il saccheggio della città ad opera di una oligarchia di imprenditori che sono gli assoluti titolari del potere reale e che usano il sindaco Alfonso Golia in maniera quasi patetica, facendogli indossare quella fascia che per lui rappresenta l’arché, il fine ultimo della sua esistenza in quella che è la sua immagine iconografica, in quella che è la fotografia della vanagloria, che poi esprime uno zero assoluto sul terreno della capacità di governo e della capacità di essere minimamente determinante in un certo modo di concepire la funzione, la missione, il destino di un territorio.
Il palazzone di Jari Cecere con 9 appartamenti già venduti, è solo l’antipasto.
Questa nostra premessa non è legata solamente all’appena citata vicenda del sequestro del palazzone, costruito in pieno centro storico, sullo scheletro di una mini casetta diroccata, con un “modestissimo” aumento di volumetria intorno al un milione per cento, dall’imprenditore Jari Cecere, che ha incassato recentemente un’ulteriore doccia fredda, de per giunta molto salata visto che, a quanto pare, aveva già venduto una decina di quegli appartamenti, quando il Tribunale del Riesame ha dato piena ragione alla Procura della Repubblica di Aversa-Napoli Nord, ai carabinieri del Reparto investigativo del Gruppo della città normanna, che qualche mese fa hanno proceduto al sequestro di questo vero e proprio mostro di cemento, di cui nei prossimi giorni, nella prosecuzione di questa nostra inchiesta giornalistica, pubblicheremo altre foto, perché realmente è una roba pazzesca, rozza, cialtronesca, quand’anche in grado di garantire profitti per milioni e milioni di euro al costruttore che quest’autentica schifezza ha messo indecentemente in piedi.
La storia di Paolo Santulli, un antipatico che ha subito, però, un sopruso.
No, oggi vogliamo raccontarvi un’altra storia. Facciamo però una premessa, innestata da una domanda, che poniamo ai nostri lettori, soprattutto aversani: questo giornale, ma soprattutto il sottoscritto, cioè chi lo dirige e chi ha redatto materialmente l’articolo in lettura, hanno mai intrattenuto rapporti di cordialità con Paolo Santulli? Quando il signor Ferdinando Canciello (che c’entra mo Canciello? C’entra, c’entra… e più avanti capirete il perché) provava ad imparare ancora, in quel di Afragola, come si coltivavano gli asparagi, il sottoscritto scriveva in termini non certo elogiativi di Paolo Santulli, che abbiamo incrociato la prima volta alle elezioni politiche del 2001, allorquando, grazie all’onda d’urto berlusconiana, guadagnò un seggio alla Camera dei deputati, vincendo a mani basse il collegio uninominale maggioritario quale candidato di Forza Italia della coalizione della Casa delle Libertà. E non certo più carino, il sottoscritto è stato dopo l’esperienza da direttore del Corriere di Caserta, quando, seppur raramente, ha scritto di Santulli in relazione alla sua nuova militanza politica all’interno del Pd, cioè da tutt’altra parte rispetto a quello che aveva scelto di fare ad inizio del secolo.
Peraltro, il Santulli appartiene al ristrettissimo novero delle persone rispetto alle quali faccio e facciamo fatica a tenere fuori dai nostri racconti giornalistici un elemento, seppur non rilevantissimo, di tipo emotivo. Non ci ha fatto niente, ma per dirla come la disse Lino Banfi in un suo famoso film comico, è una questione “di pelle” e lasciamo liberi il lettore se leggere questa parola in italiano oppure in pugliese stretto. Insomma, Santulli c’è stato sempre solennemente sulle scatole. Ci risulta proprio antipatico. E anche per questo, nella nostra vita biologica e giornalistica non ci abbiamo mai voluto scambiare una sola parola.
Stando così le cose, ogni ricostruzione, ogni notizia che lo riguarda e che leggerete su questo giornale, avrà, dunque, valore doppio, come succedeva con la regola, andata in pensione da tre o quattro anni a questa parte, dei gol in trasferta, segnati nelle partite di calcio delle competizioni europee.
In poche parole, se possiamo evitare di parlare di Santulli e ancor di più di parlarne riconoscendogli delle ragioni, come si può ben constatare scrivendo questo cognome nella riga di ricerca dei testi del nostro sito, evitiamo volentieri. Ma quello che sta succedendo nelle zone G prospicienti all’ospedale Moscati di Aversa, sviluppa un livello di perdizione, di spregiudicatezza, di arroganza da parte di chi ha in mano importantissime potestà amministrative, che fosse anche Pacciani, cioè il mostro di Firenze, o fossero anche Erika e Omar di Novi Ligure, fosse anche Unabomber o la reincarnazione di Pablo Escobar, il più grande narcotrafficante di tutti i tempi, noi non potremo esimerci da questa trattazione. Non perché da questa speriamo venga fuori un’indagine giudiziaria o comunque un dibattito pubblico, per carità, il 90% delle nostre battaglie e delle nostre denunce restano lettera morta. Ma, siccome non vogliamo regalare una sorta di complicità del silenzio a vicende che ci appaiono veramente sconcertanti, lunari allora – non ce lo saremmo mai aspettati nella vita – lo diciamo: Paolo Santulli sta subendo uno dei peggiori soprusi, dei peggiori atti di ingiustizia e di iniquità da noi mai incrociati in tanti anni di professione. Un sopruso che dura da anni e che gli nega un diritto riconosciutogli da tutti i tribunali, da più sentenze del Tar e da una sentenza definitiva, lapidaria, netta e perentoria del Consiglio di Stato.
Paolo Santulli, step by step la ricostruzione di una porcata.
Questi i fatti rispetto ai quali, finanche noi che ne abbiamo viste realmente di tutti i colori, ci siamo dovuti resettare proprio per bene per assorbirli come una ordinaria vicenda di degenerazione morale delle istituzioni locali.
Tutto inizia nel luglio 2013, quando la società Lisieux di Paolo Santulli presenta la richiesta del permesso a costruire con specifica convenzione, trattandosi di una zona G, per realizzare una struttura socio-sanitaria, una RSA.
Tre mesi dopo, precisamente ad ottobre del 2013, l’Ufficio Tecnico esprime il diniego alla richiesta. Su questo atto amministrativo, Liseaux presenta il primo ricorso al Tar, che nel luglio 2014 lo accoglie e onera l’amministrazione comunale di Aversa a rilasciare il permesso a costruire.
Inizia a questo punto una fase di inerzia. Trascorrono quasi due anni e nel dicembre del 2016 la Lisieux diffida l’amministrazione affinché ottemperi alla sentenza del Tar. Di fronte a un ulteriore atteggiamento di inerzia, sempre la Liseaux si rivolge di nuovo al giudice amministrativo affinché questi nomini un commissario ad acta. Nel 2018 il Tar riattiva ufficialmente il procedimento e nomina, proprio nella veste di commissario ad acta, il dirigente dello Sportello unico per l’edilizia del Comune di Napoli. L’Ufficio tecnico di Aversa, invece di fare il proprio dovere e di rispettare una sentenza di un tribunale della Repubblica, risponde con arroganza, attraverso una trovata dell’allora sindaco Enrico De Cristofaro, che da Presidente dell’ordine provinciale degli architetti, le mani in certe cose era abituato a mettercele. Per cui, viene convocato il Consiglio Comunale e con delibera numero 27 del 30 giugno 2018 vengono modificate le destinazioni d’uso delle zone G. Eh sì, perché proprio di modifica si tratta, anche se questo non appare dal significato formale di quella delibera. In pratica, delle diverse possibili destinazioni, ne viene individuata una sola: tutte le zone G della città di Aversa avrebbero dovuto, da quel momento, essere destinate solo e solamente a verde pubblico.
L’idea che si tratti di un’altra operazione ad personam è avvalorata dal fatto che, immediatamentem il dirigente dell’Ufficio tecnico, con protocollo 23656 del 2 luglio 2018 produce un altro diniego alla richiesta di permesso a costruire, creando una lunare, cervellotica estensione retroattiva di una deliberazione del consiglio comunale che, in pratica, secondo l’elaborazione cerebrale di De Cristofaro e del dirigente dell’area tecnica, cancellerebbe con un tratto di penna un diritto sancito da un tribunale italiano, ben quattro anni prima, cioè nel luglio 2014 e illegalmente non ottemperato dal Comune di Aversa.
A riscontro della evidente circostanza dello Stato di illegalità in cui continuavano a stazionare l’Ufficio tecnico e il dirigente Raffaele Serpico, soccorre la sentenza 1659 del 2020 con cui di nuovo il Tar accoglie il ricorso della Lisieux e annulla, stavolta, un atto ancora più importante e radicale, cioè quella delibera di consiglio comunale numero 27 con la quale De Cristofaro e Serpico avevano addirittura modificato i contenuti del Prg vigente, facendo delle zone G di Aversa una esclusiva area di accoglimento di verde pubblico che, tra le altre cose, nessuno ha mai insediato a dimostrazione del carattere, a nostro avviso, strumentale della delibera in questione.
A questo punto uno è portato a pensare che finalmente giustizia è stata fatta e che la Lisieux possa ottenere il suo permesso a costruire. Ma, siccome non c’è la galera in risposta al disprezzo e al dispregio mostrati dal Comune di Aversa nei confronti di un organo importantissimo della giurisdizione, il signor Serpico fa, per l’ennesima volta, orecchie da mercante. La Liseaux, che già ha speso una barca di soldi, si rivolge, a questo punto, al Consiglio di Stato, cioè all’organo supremo della giustizia amministrativa. Ed è proprio il Consiglio di Stato che, con sentenza 10438/22 dispone, a sua volta, che il Comune di Aversa ottemperi e produca il permesso a costruire.
Eh no, non c’è la galera per questo modo di porsi di fronte alla legge. Non c’è la galera e dunque ci si può ribellare, di fatto, finanche ad una sentenza del Consiglio di Stato.
E basta con questa storia di Serpico “buon’uomo”. Questo è un pessimo dirigente e con Nicola Golia…
Eh allora, piantatela, gentilmente, di dire che questo Raffaele Serpico sia un buon’uomo, un buon dirigente. Sul buon uomo non entriamo minimamente nel merito, perché non lo conosciamo e la funzione di un giornale non è certamente quella di stabilire la caratura della bonomia e della mite umanità delle persone di cui si occupa. Che Serpico sia un buon’uomo, un cattivo uomo non ce ne può fregare proprio nulla. Quello che un giornale come il nostro deve, invece, fare assolutamente è esprimere la propria opinione come sempre ad epilogo e a coronamento di una fase di analisi in grado di produrre documenti e di conseguenza solidi argomenti sulle qualità professionali di Raffaele Serpico.
E anche qui non ci competerebbe certo il doverle stabilire qualora stessimo parlando di un libero professionista, di un tecnico che lavora nel settore privato. Ma, siccome Raffaele Serpico è un dipendente pubblico, un dirigente molto ben remunerato dell’Ufficio tecnico della seconda città della provincia di Caserta; siccome i soldi che intasca ogni mese gli sono dati dai cittadini che pagano le tasse, allora ci possiamo permettere eccome, anzi, ci dobbiamo permettere di formulare una valutazione relativa al suo operato professionale. Serpico non ha paura di nulla. La sua parabola è iniziata, infatti, ai tempi dell’assunzione nel Consorzio rifiuti Caserta 2, quando questo era presieduto dal compianto Peppino Sagliocco su cui potevano influire politicamente l’allora parlamentare di Forza Italia Pasquale Giuliano e il super ingegnere Nicola Golia ultimamente, per altro, molto presente in tanti cantieri, a dir poco discutibili, aperti in città. In quel Consorzio, terminale di tante nefandezze, attrattore formidabile di interessi camorristici, così come hanno dimostrato tanti atti giudiziari negli ultimi anni, Raffaele Serpico si temprò e si preparò a non farsi mai impaurire di fronte a situazioni particolari. Per cui, nella sua esperienza successiva al Comune di Aversa, non si è mai tirato indietro ed è riuscito a cavarsi di impaccio da situazioni molto complicate, come quella dell’indagine della Dda sulla gara d’appalto dei rifiuti che il Comune di Aversa avrebbe dovuto aggiudicare al consorzio Cite, sponsorizzato e in parte controllato da Carlo Savoia. La posizione di indagato di Raffaele Serpico si è risolta con uno stralcio-archiviazione, ma quello che abbiamo letto nell’ordinanza e pubblicato riga per riga, resta per noi un importante strumento di valutazione di questo personaggio che fa il bello e il cattivo tempo all’Ufficio tecnico e che, come tutti sanno ad Aversa, vive con devozione e riconoscenza i rapporti con qualche professionista di grido, a partire dalla fraternità che lo lega al citato Nicola Golia.
Serpico non ha paura di sfidare la legge. Per cui, sostanzialmente, non rischiando di essere inquisito dal diritto penale, se ne frega anche del Consiglio di Stato. Lo sfida, mettendo nel mirino il termine che i giudici di Palazzo Spada associano all’intimazione di ottemperanza: 90 giorni per rilasciare quel permesso a costruire, con acclusa la nomina già formalizzata del Prefetto di Napoli, quale commissario ad acta nel momento in cui questo termine fosse trascorso ancora una volta nell’inerzia.
Non possiamo, non possiamo proprio, non avendo un solo argomento per sostenerlo, stimare e parlare bene della funzione pubblica, così come questa è svolta dal dirigente Raffaele Serpico. Come si fa, infatti, a trovare anche un briciolo, una scheggia di giustificazione nell’atto amministrativo firmato da uno che, dopo aver bloccato per anni un diritto sancito dai tribunali, attende, scientificamente, lo scorrimento del termine, fissato dal Consiglio di Stato fino all’ottantanovesimo giorno. E poi sapete cosa fa? Firma, nel febbraio scorso, un nuovo provvedimento di diniego. Raffaele Serpico tratta il Consiglio di Stato come un circolo del dopolavoro. Nel suo atto, che pubblichiamo integralmente in calce, perché qualcuno potrebbe legittimamente non credere a questa ricostruzione che sarebbe pazzesca in un qualsiasi altro luogo del globo, esterno ad Aversa e alla provincia di Caserta, Serpico utilizza come motivazione del diniego quella delibera 27 del Consiglio Comunale che il Consiglio di Stato ha annullato. E questo il dirigente lo sa benissimo, ma siccome trattandosi di diritto amministrativo, si può in Italia, senza che nessuno ti dica niente, sputare in faccia alle sentenze erogate da altissimi magistrati, quali sono quelli del Consiglio di Stato, allora io, dirigente, utilizzo una supercazzola qualsiasi per produrre un altro atto amministrativo, finalizzato solamente, attraverso un suo utilizzo esclusivamente strumentale, a congelare, bloccare l’esercizio di un diritto riconosciuto dalla legge e dai tribunali, anche se so beninssimo che questo diniego sarà poi polverizzato da un’ulteriore sentenza del Tar, qualora Santulli avesse ancora la forza e il danaro per continuare questa sua battaglia contro i mulini a vento. L’importante era bloccare il termine dei 90 giorni, evitando che il Prefetto di Napoli spedisse ad Aversa un suo delegato che in mezz’ora avrebbe firmato l’atto di concessione. Sull’atto amministrativo di Serpico poteva, dunque, benissimo starci uno stornello in romanesco tipo “Osteria numeno uno…”, sarebbe stata esattamente la stessa cosa, perché quello non è un atto di contenuto ma è un atto di strumentale interdizione, un atto di protervia di chi dice “qui sono io che comando e faccio quello che mi pare e piace, infischiandomene della legge, delle regole e delle sentenze”.
Ora, una domanda: cari lettori, soprattutto aversani, ma gente che si comporta in questa maniera come la volete chiamare? Magari facciamo un sondaggio e vediamo quale sia la definizione più votata. Come ho scritto prima, a me Paolo Santulli e conseguentemente la sua Liseaux mi stanno milanesemente sui marroni. Ma non è che siccome mi sta sui marroni io stabilisco una prassi per la quale, nonostante sia palmare, elementare che non sia così, la somma tra uno più uno a casa mia fa tre e non due.
Ed ecco qui, immancabile, prezzemolino Canciello.
Sicuramente la somma di uno più uno è invece uguale a due, per il signor Ferdinando Canciello il quale, manco a dirlo, nella stessa area o nei pressi di quella della Liseaux ha già recintato tutto da far suo, così come mostriamo nella foto che campeggia all’inizio di questo articolo, con tanto di gigantografie griffate Marican, così nessuno può avere dubbi su chi voglia operare in quel terreno e su chi sia il più figo di Aversa e dintorni. E sapete che cosa vuol costruire Canciello lì, a pochi passi dall’ospedale Moscati? Una struttura sanitaria, una Rsa. Cioè la stessa cosa che Santulli non riesce a fare da 10 anni, perché, nonostante una vagonata di sentenze favorevoli, il Comune di Aversa non gliela fa costruire, forse perché, a sua volta, lo tiene sui marroni.
L’etica dei marroni e il discrimine del primato di diritto sull’interesse personale.
Nel discrimine, nella differenza delle reazioni allo stritolamento dei marroni, c’è anche la differenza tra le persone perbene, tra i liberali a 30mila carati per i quali se uno, allo stesso tempo e nello stesso momento, ti sta sui marroni, ma rivendica anche un sacrosanto diritto, tu, liberale, dopo avergli detto dove ti sta, aggiungi “ora caro rompi-marroni sono pronto a scatenare la guerra e a schierarmi con te, costi quel che costi”. Ma non per amore tuo, ma in difesa del diritto che ti appartiene. Questa è la differenza tra le persone perbene e chi invece utilizza ogni mezzo, truccando le carte in ogni modo, pur difermare scorrettamente una persona che non gli è gradita.
E allora il discrimine qual è? Santulli, sui marroni sta a me e sui marroni sta a Serpico, stava a De Cristofaro, sta a Marco Villano. Da questa equazione residua un concetto, un elemento: mentre, infatti, per De Cristofaro, Serpico, Villano, il diritto, la civiltà, la democrazia sono elementi irrilevanti rispetto ad una interpretazione personale e personalistica del loro ruolo in politica e in un ufficio dell’alta burocrazia, per noi il diritto, le sue ragioni, vengono prima, anzi, trascendono dall’identità personale di chi li rivendica.
Clikka qui sotto per leggere l’ultimo diniego firmato da Raffaele Serpico.
