PALAZZINE IACP, sangue e malavita. Dall’omicidio paramilitare del boss Caterino fino al delitto di Capodanno, 7 giorni fa. ECCO CHI SONO I NEBBIA

6 Gennaio 2024 - 19:13

La vittima è uno di loro. Se ne parlò già nel 2018 per una rissa con gli Amato all’Anfiteatro. Poi il drone sul carcere e la pistola spianata in un bar di piazza Adriano

S.MARIA CAPUA VETERE – Mentre le indagini proseguono, l’omicidio – probabilmente a sangue freddo – del 26enne Emanuele Nebbia durante la notte di Capodanno, riporta la nostra mente ai tempi in cui altri morti e altri feriti hanno causato le faide scatenatesi nelle case popolari più turbolente e più violente della provincia di Caserta.

Le chiamano le palazzine Iacp perché fu quello che fino a qualche anno fa si chiamava Istituto Autonome Case Popolari, oggi Acer, a costruirle.

La memoria della cronaca le lega storicamente al duplice omicidio del boss Sebastiano Caterina, detto “l’evraiuolo“, bardelliniano sopravvissuto, ammazzato da un commando organizzato da Francesco Schiavone Cicciariello in pieno giorno a venti metri di distanza da quelle palazzine in cui si era insediato fisicamente, ma anche come nuovo riferimento del potere camorristico in città, scalzando la famiglia Del Gaudio, detta dei Bellagiò, storica alleata dei Casalesi.

Di agguati falliti, di autentiche stese di terrificanti pestaggi fino a quel 31 ottobre 2003, quando il lavoro ai fianchi dei Bellagiò ha successo e convince i Casalesi a organizzare un agguato in grande stile, a cui partecipano, tra esecutori materiali, pali, addetti alle auto, staffette, specchiettisti, decine e decine di esponenti del clan dei Casalesi, rappresentato in ognuna delle sue componenti.

Nella Gold bianca semiblindata, muoiono, sotto i terribili colpi di kalashnikov, Caterino e suo nipote Umberto De Falco. Da allora in poi solo scaramucce e molti blitz delle forze dell’ordine per colpire il traffico di stupefacenti che in quelle palazzine ha avuto sempre una delle sue più importanti basi operative.

L’omicidio di Emanuele Nebbia non è stato, però, un fulmine a ciel sereno. Ultimamente, infatti, si era registrata una recrudescenza degli atti di violenza, ultimo della serie quelli dello scorso 8 dicembre quando un 57enne era stato attinto da diversi colpi di pistola, solo uno andato a segno e conficcatosi nel piede dopo esser stato esploso da un 18enne, che, qualche ora dopo, si era costituito al commissariato di Polizia di Santa Maria Capua Vetere. Ma chi era Emanuele Nebbia, il 26enne ucciso la notte di Capodanno? Di lui si sa poco o nulla. Mentre molto di più si sa dei suoi due fratelli Diamante e Luigi Nebbia, rispettivamente 38 e 25 anni.

Nel giugno 2018 i Nebbia ingaggiarono una mega rissa a mano armata in zona Anfiteatro contro gli Amato, ossia contro gli esponenti di un’altra storica famiglia della camorra sammaritana, quella degli Amato per l’appunto, rivale dei Bellagiò e schierata a suo tempo con Sebastiano Caterino per una serie di motivi che sarebbe troppo lungo ora riassumere in sintesi. Quella rissa coinvolse una ventina di persone.

Il nome di uno dei fratelli Nebbia, quello di Diamante, affiora e viene precisamente declinato dalle cronache giornalistiche quando, non molto tempo fa, il 38enne viene arrestato, insieme con diversi complici mentre sta organizzando il sorvolo di un drone sul carcere di Santa Maria per calarvi una cospicua quantità di hashish e cocaina e un buon numero di telefonini cellulari destinati all’uso dei detenuti.

Al tempo, in quel carcere era già detenuto il terzo fratello Luigi Nebbia, che in cella c’era finito nel 2021, quando, insieme a un complice minorenne, era entrato in un bar di piazza Adriano provando a pagare con una banconota da dieci euro palesemente danneggiata. Di fronte al rifiuto del titolare di incassare quella banconota, Luigi Nebbia spianò una pistola, poi rivelatasi giocattolo, priva del tappo rosso, chiedendo ed ottenendo liquori e bevande alcoliche e guadagnandosi le accuse di rapina e di resistenza a pubblico ufficiale e complicando ulteriormente la sua posizione quando, nel 2022, è finito sotto processo, insieme ad altri 39 detenuti, per aver usato un carcere micro telefonini cellulari.

Un rapporto complicatissimo quello tra Luigi Nebbia e il carcere, visto che l’altro giorno è stato proprio lui a inscenare una protesta violenta in carcere, dopo aver saputo che non avrebbe potuto partecipare ai funerali del fratello Emanuele.