L’EDITORIALE. L’OMICIDIO DI AVERSA è il film “Umberto D.” all’incontrario. Cosa c’entra la città? Io ed Eugenia D’Angelo lo sappiamo

6 Luglio 2025 - 12:53

La coincidenza del nome e dell’iniziale del cognome dell’assassino ancora ricercato con una storica pellicola, ispira questa breve riflessione sulla identità di una città senza un anima e non per caso

di Gianluigi Guarino

Sembra una storia di altri tempi e sembra perché il super ricercato aversano, che ha ucciso ieri pomeriggio un uomo di origine romena, ha un nome molto più che semplicemente evocativo: Umberto D. Come il protagonista che dà anche il titolo a uno dei monumentali film del neorealismo italiano, usciti dalla penna di Cesare Zavattini e dalla magistrale cinepresa di Vittorio De Sica. Ma nel caso di Aversa, i ruoli e le identità si sono invertite. Umberto D. è il romeno, povero cristo morto ammazzato, mentre l’altro, l’assassino, lo potete associare a gusto vostro – parlo a quei pochi che conoscono quell’opera d’arte della cinematografia universale – a uno dei tanti personaggi cinici, concentrati solo sulla propria esistenza, che allontanano, umiliano Umberto D., inducendolo a pensare al suicidio, impedito dal vero coprotagonista di questa pellicola sui nuovi vinti dell’immediato dopoguerra, non a caso un cane, di nome Flaik.

A rendere ancora più struggente quella pellicola, simbolo di un’Italia lacerata ma ancora umana, fu proprio la scelta – tipica del neorealismo, l’unico filone che ha portato il cinema italiano in cima al mondo – di non affidare i ruoli a professionisti. Umberto D. fu interpretato da Carlo Battisti, uno dei più grandi studiosi italiani di linguistica, dialettologia e persino etruscologia, che non aveva mai recitato prima e non recitò mai più. Fu Zavattini a convincerlo, come solo lui sapeva fare, perché quel volto doveva essere vero, doveva portarsi dentro il peso della vita, non della finzione.

E forse ieri pomeriggio ci sarebbe voluto un cane per inventarsi qualcosa, magari abbaiare distraendo la mano assassina, in viale della Libertà, una strada lunga ed anonima, come possono essere anonime solo le strade piene di gente che ci abita, ma che non certo ci vive, di una città sovrappopolata, incatenata dal cemento del cafone vil denaro di palazzinari depravati che ad Aversa hanno inflitto una densità abitativa degna di Dacca, capitale del Bangladesh, record del mondo di abitanti inscatolati, 55mila ed oltre per ogni chilometro quadrato. Aversa sfoggia Parco Pozzi, ma è solo una pantomima, una patetica asserzione, di fronte a quello che ha prodotto l’urbanizzazione selvaggia, in cui mancano veri e seri gli spazi fisici per passeggiate e non solo: per camminare, per far giocare i bambini e – in mancano, rapinati da un sistema fuorilegge che ha violato anche le leggi fondamentalissime dei cosiddetti standard – pure gli spazi semplicemente per respirare, e quelli per capire che socializzare, ascoltare il bello e il brutto della vita altrui può essere un modo per sentirti meglio, per sentirti utile, per sentirti al mondo.

La pietà è un sentimento che nasce dall’educazione, come dall’educazione e non da un modello politico nasce la solidarietà. Se tu vivi fuori, lontano da certe sensibilità, se non ti è stata data la possibilità nemmeno di valutare un’altra risposta ai problemi, un’altra possibile condotta rispetto a quella che hai avuto la sfortuna di assorbire dalle tue relazioni primarie, può anche succedere che un pomeriggio a 40 gradi trovi in un revolver la risposta alle tue frustrazioni e non esiti a sparare tre volte per ammazzare un povero cristo che sì, probabilmente rompeva le scatole, probabilmente occupava uno spazio di tua proprietà, ma che cavolo, caro Umberto D. all’incontrario, che fai, gli spari alle spalle come se volessi schiacciare una molesta zanzara, mentre lui, forse, ha capito e ha disperatamente attivato, purtroppo in fatale ritardo, il suo istinto di sopravvivenza?

Può succedere dappertutto per carità, ma forse la mia amica Eugenia D’Angelo – una comunista e un liberale, lo famo proprio strano noi due – ha capito bene perché ho voluto collocare la scena di questo Umberto D. all’incontrario proprio ad Aversa, proprio in viale della Libertà.