MONDRAGONE. I “giochi di prestigio” del falso pentito Augusto La Torre: il processo per la strage di Pescopagano iniziato dopo 28 anni

25 Settembre 2018 - 12:26

MONDRAGONE – La stranezza del presunto pentimento, che poi si è dimostrato un non-pentimento, come dovette ammettere nei primi anni 2000, l’allora Pm della Dda di Napoli Raffaele Cantone, del boss Augusto La Torre, si riassume tutta nel dato temporale di un processo che oggi viene sviluppato in sordina, ma che riguarda una delle imprese criminali più efferate della camorra mondragonese capitanata proprio da La Torre, vicerè con ampia delega riconosciuta dal clan dei Casalesi.

Se quello di La Torre fosse stato un vero pentimento, il processo per la strage di Pescopagano, avvenuta all’interno del bar Centro della contrada Bagnara di Castel Volturno, non si celebrerebbe, come invece sta accadendo, a ben 28 anni di distanza da quel pazzesco raid, che trovò poi imitazione nell’idea stragista portata avanti da Giuseppe Setola, durante il quale rimasero uccise due persone e ferite molte altre a conclusione del vero e proprio inferno di fuoco scatenato da un commando formato dallo stesso Augusto La Torre, da Tiberio Francesco La Torre, oggi entrambi imputati nel processo con rito abbreviato (il primo difeso dall’avvocato Rosanna Mazzeo, il secondo dall’avvocato Carlo De Stavola), e da Angelo Gagliardi (detto “mangianastri”, dal 29 marzo 2018 a piede libero per fine delle condanne da lui incassate e passate in giudicato), Girolamo

Rozzera, Giuseppe Fragnoli, Massimo Gitto, Ciro De Feo, Mario Sperlongano, Fernando Brodella e Aniello Sabatino (questi ultimi due deceduti).

Quell’omicidio ebbe come mandanti gli allora capi del neonato clan dei Casalesi Francesco Schiavone e Vincenzo De Falco, anche questi, com’è arcinoto, deceduto.