LA NOTA REGGIA DI CASERTA. Ecco perchè il direttore Lampis ha fatto benissimo a cancellare gli eventi del martedì. Felicori multato anche dagli ispettori del lavoro

6 Marzo 2019 - 20:30

CASERTA – (Pasman) Il male maggiore causato alla Reggia di Caserta da Mauro Felicori durante la sua gestione è stato quello di portarvi, da fervoroso zelatore della riforma Franceschini, lo spettacolo e l’intrattenimento tout court come mai nessuno si era azzardato spregiudicatamente a fare prima, di trasformarla in un luogo buono per qualunque evento, pur di fare cassetta e segnare insensati primati di ingresso ed in mancanza di idee all’altezza di uno dei musei più importanti del Paese. E far apparire tutto ciò come normale ed anzi segno di una moderna managerialità dei beni culturali.

Di fatto resta a scorno inemendabile di queste scelte il fatto che, come insorgemmo da queste colonne a suo tempo, la conferenza di quel gigante del pensiero storico che fu Giuseppe Galasso, tenuta nella Cappella Palatina in occasione del terzo centenario della nascita di Carlo di Borbone, andò pressoché deserta, poiché, con tutta evidenza, non adeguatamente valorizzata e sostenuta, mentre vedevano la ressa le autentiche amenità delle supposte rievocazioni storiche (resterà negli annali la messa in scena realizzata nel gennaio del 2018 a ricordo della cerimonia della posa della prima pietra del Palazzo Reale, in cui la cazzuola cerimoniale di argento ed avorio adoperata storicamente dal re venne rappresentata da una vera cazzuola dei nostri giorni impreziosita dalla carta da forno), i balli in costume e quant’altro, grazie a battage

anche mediatici insistiti e penetranti.

Non sorprendono, allora, le proteste cittadine di queste ore per la decisione adottata dal direttore ad interim del sito borbonico, Antonio Lampis, di revocare le ulteriori manifestazioni programmate nell’ambito dei cosiddetti Martedì alla Reggia varati da Felicori, giornate normalmente di chiusura del monumento, ma fino ad ieri destinate ad associazioni locali di varia ispirazione ammesse ad organizzarvi eventi e manifestazioni, verso la corresponsione di un canone.

Le quali associazioni sicuramente possono recriminare per le penalizzazioni anche economiche che ne subiscono e per l’affidamento tradito, ma nulla di più. D’altro canto, essendo la proprie iniziative eminentemente volte al profitto, sanno che il rischio di impresa che vi è connesso è insopprimibile. Ed è ben naturale che abbiano una visione del monumento come attrattiva da sfruttare commercialmente, così come avviene per quei bar e ristoranti che, affacciandosi sulle strade e sulle piazze più suggestive del centro cittadino, rivendicano di poterle occupare con tavolini, sedie ed arredi, senza andare per il sottile, per attrarre la massima clientela. Ma un museo, specie della rilevanza del nostro, è innanzitutto una istituzione culturale al servizio del Paese senza intermediazione affaristica.

E qui è necessario fare giustizia di un equivoco di fondo. La Reggia, prima che monumento nazionale, a Caserta è reputata innanzi tutto come l’ambiente nobile, di prestigio di cui la città manca per sua stessa insipienza. Con la conseguenza che tutto, per prosopopea, per ostentazione, per malinteso senso della reputazione, vi ci si concentra. Una sfilata di moda che starebbe benissimo in un atelier, la presentazione di un libro per la quale basterebbe una qualsiasi biblioteca o libreria, la campagna pubblicitaria di qualunque bene o impresa, vi ambiscono per darsi un tono e per la risonanza del connubio che obiettivamente si instaura con il capolavoro architettonico. Ogni volta che in città arriva un personaggio eminente, non ci si pensa due volte a portarlo nella Cappella Palatina o nel Teatro di Corte considerate come appendici cittadine.

E la facile chiave giustificativa è la cultura, una sorta di passepartout nelle mani di chiunque, qualsiasi cosa essa voglia indicare e con la quale fa il paio l’altra parola magica che è l’arte. E ben si comprende poiché, in questi tempi ed in questo Paese di civiltà piuttosto decaduta, tutto è espressione d’arte e di cultura, oggi che – per dire – nel teatro non si bada tanto alla proprietà della dizione, anzi ci si passa sopra, o che nella musica i conservatori sono piuttosto benevoli nel diplomare musicisti.

Ma per il Palazzo Reale è diverso perché il suo prestigio non ammette che mancando di iniziative e di progetti di livello internazionale si consentano quelle dilettantesche o quasi amatoriali come si è scelto di fare.

E questo nonostante che la Reggia abbia un apposito comitato scientifico, composto da Cesare de Seta, Pier Luigi Leone de Castris, Carla Benocci e la marcianisana Rosalba, il quale, tuttavia, con Mauro Felicori è sembrato inesistente, se si eccettua un platonico dissenso espresso a suo tempo dal componente de Seta all’iniziativa dell’allora direttore di far disputare la regata Cambridge – Oxford nella vasca dei delfini del parco reale.

 

Per riandare a quel processo di mercificazione del palazzo vanvitelliano, di cui si diceva, a nessuno importa che quegli ambienti delicati, che si avviano ai tre secoli di vita, sono da tutelare specie dal rischio dell’affollamento gratuito e non possono essere considerati destinati ad un uso normale e corrente come se fossero comuni strutture dei nostri giorni.

A queste follie, per le quali – come tante volte abbiamo denunciato – entrano e si gravano pareti e pavimenti storici di bagagli, di pesanti trolley, di ombrelli dai puntali acuminati, quando non si fuma e non si beve, altrove non arrivano. In moltissimi delle dimore storiche in Italia e all’estero sono permesse visite solo contingentate ed è imposto l’uso del feltro alle scarpe.

Non tutti sanno che ad inizio di febbraio Antonio Lampis ha compiuto una missione di tre giorni alla Reggia per una ricognizione dei problemi generali e particolari che essa presenta, a cominciare da quelli della sicurezza interna ed esterna e della congruità degli eventi privati a pagamento, inutilmente denunciati dalle organizzazioni sindacali a Felicori durante l’intera sua gestione.

Il quadro che se ne deve essere fatto non deve esser stato confortante e crediamo sia all’origine della sua decisione che oggi suscita le proteste, giustificate forse dal lato degli impresari degli spettacoli e delle iniziative revocate, ma assolutamente ridicole in bocca ai politici ed agli amministratori locali altrimenti in sonno.

E per questo c’è da apprezzare il direttore ad interim, il quale mostra, oltre a quel buon senso che spesso latita, di non temere le inevitabili reazioni localistiche e provinciali che la sua decisione avrebbe suscitato e che deve aver messo senz’altro in conto. Ha dalla sua molti argomenti e non ultimo quello che con Felicori il caos gestionale degli uffici del museo era giunto al punto tale che egli, in qualità di datore di lavoro, alla vigilia del suo congedo pensionistico veniva contravvenzionato dagli ispettori della ASL per inadempienze riscontrate in materia di sicurezza degli ambienti di lavoro.

Ma forse quello che lo rende persino simpatico è una delle motivazioni formalizzate con la sua decisione di revoca, laddove afferma: “ La decisione – nostro malgrado – è stata assunta anche in quanto, dagli atti in possesso in questo ufficio, non risultano pienamente formalizzate le modalità dello svolgersi degli eventi e non sono pervenuti dai soggetti coinvolti specifici progetti culturali inerenti l’intero programma.

Come dire, volete fare le cose a tarallucci e vino e vi sorprendete che ne paghiate le conseguenze !