Respinto il ricorso: restano i sequestrati i beni della famiglia di due noti imprenditori di San Prisco

24 Aprile 2019 - 18:09

SAN PRISCO (red.cro) – Sono diversi anni che la vita di Vincenzo Abbate, imprenditore di San Prisco, e dei suoi familiari è finita sotto le luci, non lusinghiere, della ribalta. Era il 2014 quando la Direzione investigativa antimafia mise sotto sequestro tre società di Abbate: la “Immobiliare Fratelli Abbate srl”, con sede a Casagiove, in località Pannone, la “So.Ge.Cal” srl, con sede a Casagiove e la “Autotrasporti C.M.T.” srl con sede a San Prisco, imprese riferibili al gruppo Zagaria ed in particolare al capoclan Michele Zagaria.

Vincenzo Abbate e il fratello Luigi finirono a processo con l’accusa di concorso esterno in associazione mafiosa, venendo condannati in primo grado, con sentenze confermate in Appello e in Cassazione. I giudici di terzo grado, nell’aprile scorso, hanno confermato la pena di 3 anni, un mese e 10 giorni per Luigi Abbate e per il fratello Vincenzo una pena leggermente più pesante, 4 anni, 8 mesi e 20 giorni.

Una situazione che ha coinvolto anche la famiglia di Vincenzo Abbate, visto il sequestro, confermato dalla Corte di appello di Napoli, disposto dal Tribunale di Santa Maria Capua Vetere di un terreno di proprietà di Eleonora Gravino, moglie di Vincenzo, e delle quote della società Sogecalc, che vede come amministratore Anna Abbate, con quote intestate a Anna, Pasqualina e Pasquale Abbate (figli della coppia), in quanto ritenuti legati ancora al capofamiglia Vincenzo.

Contro la decisione presa dai giudici di secondo gradi di Napoli, la Gravino e i figli hanno proposto ricorso in Cassazione, per richiedere l’annullamento del sequestro. La tesi difensiva, che potrete leggere interamente nel link in basso, si basava, tra le altre cose, su una revoca di un altro sequestro subito dalla Sogecalc, poiché ai familiari di Abbate era stata riconosciuta l’autonomia dei mezzi finanziari e la non riconducibilità della società all’imprenditore, poi condannato.

I giudici dell’ultima istanza hanno dichiarato inammissibile il ricorso della Gravino e dei figli, confermando la decisione presa dal Tribunale sammaritano e avallata dalla corte d’Appello napoletana. Tra le motivazione che gli ermellini hanno reso note nella sentenza, si fa riferimento alla società sequestrata la Sogecalc e a quella a cui la Dia mise i sigilli nel 2014, la Sogecal.

Per i giudici, visti tempi e modi di costituzione, la Sogecalc era la continuazione della prima azienda (Sogecal), ritenuta nella disponibilità di Vincenzo Abbate, divergente solo nella consonante finale, essendo detta società stata costituita per far fronte alla situazione di stallo in cui si trovava quella del proposto avente simile denominazione: esistenza di un portafoglio clienti, mezzi e sede riconducibili a pregressa società; utilizzo di fatture di comodo per giustificare fiscalmente la propria operatività. Aggiungono i giudici che le quote della seconda erano tutte nella disponibilità del proposto e fittiziamente intestate ai fratelli, così le quote della SOGECALC erano nella medesima diretta disponibilità del proposto e fittiziamente intestate ai figli (poco più che ventenni e privi di esperienza nel settore). 

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