Attraverso la ricerca, una diagnostica per immagini sempre più precisa

29 Marzo 2018 - 00:00

Ogni giorno in tutto il mondo gli esami diagnostici per immagini (“imaging” nella dicitura Inglese), come ad esempio la risonanza magnetica, forniscono ai medici informazioni fondamentali per valutare la situazione di una patologia. Esami che sono diventati routine, e sui quali si basa il percorso terapeutico di un paziente. Ma al Neuromed si cerca uno sguardo più ampio. Non solo l’eccellenza delle procedure diagnostiche, ma il lavoro costante per trovare strade innovative, migliorare le tecnologie e rendere più precisa la loro analisi.
Le nostre linee di ricerca – spiega Claudio Colonnese, Professore associato di Neuroradiologia presso l’Università Sapienza di Roma, direttore U.O.C. di neuroradiologia del Policlinico Umberto I di Roma e consulente scientifico U.O.C. di Neuroradiologia diagnostica e terapeutica del Neuromed – sono portate avanti sia autonomamente qui al Neuromed, sia in collaborazione con l’Università Sapienza. Lo scopo generale è di aiutare i clinici ad affinare e personalizzare sempre di più le terapie”.
E gli studi condotti abbracciano diverse patologie che colpiscono il cervello. Come nel caso dell’epilessia. “In questo campo il nostro interesse è rivolto sia al punto di vista morfologico che a quello funzionale. Attraverso i nostri studi cerchiamo di individuare le connessioni esistenti tra le diverse aree cerebrali che possono essere interessate dall’attività patologica. Questo è molto importante quando parliamo di trattamento chirurgico dell’epilessia. In quel caso l’intervento deve rimuovere il tessuto cerebrale dove c’è il focolaio epilettogeno, mantenendo però intatte le cosiddette zone eloquenti, le aree deputate alle funzioni nobili come il linguaggio. Conoscere le connessioni tra le diverse aree ci aiuterà molto”.

Allo stesso modo di una rete telefonica o informatica, stabilire come le aree cerebrali comunicano tra di loro. E trovare circuiti sincronizzati. “Nel caso del Parkinson e dei parkinsonismi nel senso più ampio – continua Colonnese – impieghiamo procedure diverse, tutte con uno scopo ben preciso: studiare i network cerebrali e scoprire se esistono delle alterazioni rispetto a quelli delle persone sane. Utilizziamo naturalmente la risonanza magnetica funzionale (con al quale si identificano le aree cerebrali che si attivano in determinate circostanze, ndr). Ma c’è anche un’altra tecnica, chiamata “resting state”, che ci può dire molto. In pratica, durante la risonanza il paziente viene invitato a non fare nulla. Ma in qualsiasi momento esistono aree del cervello che comunque hanno un’attività. Alcune si attivano contemporaneamente, in sincronia, quindi formano un cosiddetto
network funzionale. Questo è fisiologico, succede in tutti noi. Ciò che vogliamo fare nei pazienti con disturbi del movimento è di capire le eventuali alterazioni di queste reti. Infine, con la tecnica di risonanza chiamata trattografia, cerchiamo le connessioni morfologiche, anche in questo caso alla ricerca di alterazioni”.

Ma secondo lo spirito di traslazionalità del Neuromed, non c’è ricerca fine a sé stessa. Si punta a tradurre i risultati nella clinica, come sottolinea Colonnese: “Questi studi potranno essere utili per differenziare e classificare meglio le diverse forme di patologie neurodegenerative. Inoltre, a seconda dei circuiti che troviamo alterati, potremo individuare come i diversi mediatori chimici agiscono tra le cellule nervose di quel particolare circuito. E questo aiuterà il neurologo a modulare e personalizzare le terapie, se non addirittura a riclassificare alcune forme patologiche”.