ANATOMIA di un agguato (fallito) dai Casalesi: pedinamenti, scorte armate, manovre sbagliate e quel biondino riconosciuto da Caterino

26 Dicembre 2021 - 20:59

SANTA MARIA CAPUA VETERE -(g.g.) Abbiamo notato, in questi ultimi giorni, non senza soddisfazione, che i lettori appassionati delle ricostruzioni di fatti di camorra anche piuttosto datati sono in aumento.

Ci fa piacere perchè noi da anni saccheggiamo decine e decine di ordinanze, decine e decine di atti giudiziari con l’obiettivo di ricostruire, col metodo analitico dello storico, le trame del Clan dei Casalesi uno dei più potenti e temuti del mondo.

Per questo motivo, ci soffermiamo per un altro giorno, per un’altra puntata del nostro lungo focus sulla nuova ordinanza relativa al duplice omicidio del boss Sebastiano Caterino e di suo nipote Umberto de Falco, avvenuto a Santa Maria Capua Vetere il 31 ottobre 2003 su quello che avrebbe dovuto essere un agguato consumato circa un mese prima di quello definitivo e letale appena citato. Il racconto del collaboratore di giustizia Antonio Iovine, Giuseppe Misso ma soprattutto quello di Pasquale Fava, pretoriano di Sebastiano Caterino, danno indubbiamente ai nostri lettori informazioni specifiche ma anche strutture di ricostruzione storica per comprendere meglio e bene quali fossero le dinamiche con le quali le famiglie del clan dei casalesi organizzavano gli agguati di morte.

Particolarmente delicato e complicato quello nei confronti di Sebastiano Caterino, che come abbiamo scritto nei giorni scorsi, da killer matricolato, il suo soprannome “l’evraiuolo” deriva dalla capacità tutta militare o para militare di strisciare silenzioso sull’erba in modo da poter colpire senza essere visto ne sentito poteva prevedere le mosse di un commando di morte, conoscendo per altro benissimo il modo con cui si muovevano i capi del clan dei casalesi. Nel caso che stiamo esaminando, cioè quello del fallito agguato di Castel Volturno, furono impegnati un numero di persone e un numero di mezzi sicuramente inferiore a quello che poi avrebbe il clan utilizzato nel duplice delitto del 31 ottobre. Probabilmente, quella esiguità di mezzi che forse rappresentò il motivo per cui l’omicidio non fu realizzato quel giorno diventò un master da cui i killer del clan dei casalesi compresero che per un obiettivo di questo genere occorreva una strategia molto più flessibile e dunque attuata da un numero molto cospicuo di persone, in modo da non vincolarsi in un intervento unico, specificatamente organizzato come quello di Castel Volturno ma attraverso una modalità in cui il momento buono poteva arrivare da un momento all’altro.

Paolo Diana detto “scarpone” era considerato un amico da Sebastiano Caterino. Probabilmente, si sbagliava. Magari era anche un po’ suo amico, ma quando era richiamato all’ordine dai boss del clan dei casalesi si metteva sugli attenti. Fu lui a consegnare la Mercedes, si è sempre detto blindata o semi-blindata, a Caterino con pochissimo carburante. Non lo fece perchè quella era la regola e la procedura della concessionaria “Autostella” di Castel Volturno. O meglio, così fece capire a Sebastiano Caterino. In realtà, quell’operazione serviva a costringere il bersaglio a fermarsi subito presso un distributore di carburante in modo da consentire al killer di colpire più facilmente ed effettivamente Caterino si fermò dopo 1 km di strada al distributore che poi gli inquirenti hanno stabilito che si trovava a poco più di 200mt in linea d’area alla concessionaria, lungo la Domiziana direzione Napoli- Varcaturo, oggi chiuso e sostituito da un hotel- bar “il boschetto”. Sostanzialmente le dichiarazioni di Bruno Lanza e e Massimo Vitolo che stavano da un lato, e di Pasquale Fava che stava dall’altro, cioè con Caterino, sconvergono. Sostanzialmente ma non completamente perchè ad esempio Bruno Lanza non sottolinea più di tanto il problema rappresentato dal fatto che Sebastiano Caterino fosse scortato da persone armate. Lanza era nell’Alfa 166, poi usata anche nell’agguato di Santa Maria Capua Vetere, condotta da Enrico Martinelli, insieme a Corrado De Luca, l’uomo forse più vicino ad Antonio Iovine e a Claudio Virgilio. La 166 non avvistò per tempo, questo secondo il racconto di Bruno Lanza, la Mercedes di Sebastiano Caterino ferma nell’area di servizio. Per cui, sfilò oltre di qualche metro. Non potendo fare marcia indietro perchè avrebbe dato sicuramente nell’occhio, l’auto dei potenziali killer si appostò in una traversa privata dalla quale si aveva una perfetta visuale del traffico e quindi delle auto di passaggio lungo la Domiziana. Ma la Mercedes di Caterino non passò e questo sembra essere il motivo per cui, avendo perso il contatto visivo con il bersaglio, l’agguato fallì.

Massimo Vitolo, che non era presente ma che queste cose le ha sapute de relato parla di un non meglio precisato appostamento a cui avrebbero partecipato  da Antoinio Iovine, Enrico Martinelli, Pasquale Spierto, Corrado De Luca, e Bruno Lanza.

Sempre Vitolo fa riferimento all’Audi A4 che come equipaggio armato, scortava Sebastiano Caterino. Ma è Pasquale Fava, ammesso e non concesso che racconti per intero la verità, a fornire i dettagli più illuminanti su come andarono le cose a Castel Volturno. Caterino si recò per due volte alla concessionaria. Nel primo caso a bordo di quella golf nera non blindata dentro alla quale sarebbe poi stato ucciso a Santa Maria Capua Vetere. Con lui c’era la compagna Angela Viviani, in quell’occasione c’era un equipaggio di scorta a bordo di un Audi di proprietà o nelle disponibilità di Pasquale Fava a bordo della quale c’era quest’ultimo insieme a Arturo Formisano, e Mario Madonna. Tutti erano  armati e Fava ricorda in linea di massima anche le armi disponibili, una colt 45 e un’altra pistola che non ricorda bene se fosse un 7.65 o una calibro 9. Loro non entrarono con Caterino e la compagna nella concessionaria visto che avevano solo il compito di garantire la sicurezza del boss. Tornarono a Santa Maria Capua Vetere per recarsi poi di nuovo  a Castel Volturno circa una settimana dopo. In questo caso, Pasquale Fava non ricorda bene se Sebastiano Caterino fosse a bordo dell’Audi insieme a lui , a Formisano e Madonna, o se invece viaggiasse a bordo della golf guidata con la compagna Angela Viviani, comunque presente anche in questa occasione. Fatto sta che una volta ritirata la Mercedes, con i tre di scorta sempre dentro all’Audi a 4, le due auto si fermano al distributore di carburante ed è li che si inceppa il piano del clan dei casalesi. Bruno Lanza afferma che questo avvenne per aver perso di vista il loro bersaglio , altri pentiti raccontano invece che, essendosi accorto della presenza di diverse persone armate vicino a Sebastiano Caterino, il blitz fu rinviato. Il primo viaggio in Mercedes, Sebastiano Caterino lo fece a Milano, dove, come racconta sempre Pasquale Fava, rimase 7 gg ospite di alcuni parenti della compagna Angela Viviani anch’ella presente. Al ritorno Fava racconta un dettaglio e cioè che siccome il garage in dotazione a Sebastiano Caterino era stato adibito ad ufficio, la Mercedes fu parcheggiata in un altro garage, con Pasquale Fava sempre in allerta durante questa operazione, perchè Sebastiano Caterino era ormai convinto che contro di lui il clan dei casalesi stesse organizzando una imboscata per ucciderlo. E a proposito di dettagli , riavvolgendo un attimo il nastro temporale, Fava racconta anche della seconda visita, quella del ritiro della Mercedes. Sebastiano Caterino e la compagna erano chiusi nell’ufficio con il titolare della concessionaria, non con Paolo Diana ma con un certo Nicola, di cui la scorta armata non conosceva neppure i connotati. Fava, però, sorvegliando l’area racconta di essersi accorto della presenza di due persone che, si definivano potenziali clienti in quanto affermavano di voler acquistare a loro volta una Mercedes. Uno di questi lo descrive come un biondino con i capelli corti che successivamente negli anni, quando era in carcere e si era già pentito, Fava associò ad una foto che presumibilmente gli fu mostrata all’identità di Vincenzo Schiavone detto “o’ petillo” nipote di Sandokan e di Cicciariello, anche lui partecipante diretto all’agguato riuscito del 31 ottobre. Ma Fava non aveva capito di chi si trattasse. Per questo motivo restò vigile ma non allarmò Sebastiano Caterino. Quando si fermarono al distributore di carburante, vide passare una Opel corsa nella quale riconobbe quel biondino.  Anche in questo caso non avvertì Caterino considerando il fatto evidentemente non pericoloso. Si accorse, però, che il boss che accelerò l’operazione di rifornimento dell’auto partendo poi a tutta velocità verso Santa Maria Capua Vetere, seminando addirittura l’Audi di scorta. Questo fece ritenere a posteriori a Pasquale Fava che forse Caterino aveva riconosciuto quel viso e dunque aveva capito che un esponente di spicco della famiglia Schiavone ne seguiva i movimenti.