AVERSA: LA FESTA DELLA LEGALITA’. Appalto da un milione e 800 mila euro a un’azienda fondata dagli ex parenti acquisiti di Antonio Bardellino. 12 mila euro di capitale e un solo dipendente

5 Ottobre 2023 - 14:36

Fascia tricolore, invece di dire stupidaggini e dettare lettere stile totò e peppino in consiglio comunale, si misuri nel merito di questo articolo che poi tratta di argomenti da sempre al centro di articoli di questo giornali. Il direttore di CasertaCe, che è anche estensore di questo testo, può anche essere estorsore, cocainomane, ladro, criminale, manipolatore, può avere anche rubato i gioielli della corona in zona Tower Bridge, ma il contenuto resta lo stesso. E su questo che la fascia tricolore della lettera alla totò e peppino, come la maggior parte dei suoi colleghi politici, non vuole affrontare. Qui sotto la gag della lettera in consiglio comunale, in calce all’articolo la visura e la determina

AVERSA (g.g.) – Il problema non è tanto costituito dal fatto che ad aggiudicarsi un mega affidamento da quasi un milione e 800 mila euro, soldi erogati dalla regione Campania per il programma Aversa città milionaria, sia stata una società, la IBI srl, fondata nell’anno 2008 da Livio Bretto, appartenente alla nota famiglia di San Cipriano d’Aversa imparentata con Immacolata Bretto, storica prima moglie di Antonio Bardellino, boss dei boss per tutti gli anni Ottanta e comandante in capo assieme a Carmine

Alfieri del mega cartello della cosiddetta Vecchia Camorra, federatasi sotto le insegne della Nuova Famiglia, per ingaggiare una guerra all’ultimo sangue che seminò in tutta la Campania e non solo centinaia e centinaia di morti, così come raccontato – seppur in sintesi – dal famosissimo film Il Camorrista.

Non è questo il problema. Il problema non è costituito dal fatto che dal 2008 Livio Bretto liquida tutte le quote al signor Giuliano Di Fuccia, residente a Teverola.

La questione è che tutto ciò accade dentro ad una sorta di incredibile ed estesa beneficiata, consentita da una legge totalmente inadatta per quello che è il livello attuale della corruzione – conclamato e confermato in ogni relazione di inizio dell’anno giudiziario nelle relazioni dei vari procuratori della repubblica – negli uffici della pubblica amministrazione italiana, meridionale e casertana in particolare.

Una vera e propria festa, un’orgia di denaro. Tanti, tanti soldi che restano in pratica intonsi rispetto ai cosiddetti importi a base d’asta, grazie ad un livello di ribassi praticamente azzerati.

Pensate un po’ che oggi, 5 ottobre 2023, solo per le gare di importo superiore alla cosiddetta soglia europea (5.4 milioni di euro) c’è l’obbligo di pubblicazione di un bando.

Tutto il resto, dagli affidamenti da 3 mila euro, fino ai 5 milioni e 399.999, avviene nel chiuso degli uffici pubblici con i dirigenti che li abitano.

Lo stiamo scrivendo da mesi, lo stiamo scrivendo affrontando questa tematica in termini generali, non riferendoci assolutamente ad una gara (si fa per dire) in particolare. Dunque, neanche a questa specifica del comune di Aversa.

Ritornando a questa, provate a leggere questa determina che pubblichiamo in calce. Ormai la vita degli uffici tecnici è diventata una sorta di catena di montaggio. Fino a qualche mese fa, almeno, si salvava l’apparenza nel momento in cui si diceva “abbiamo attinto dal Mepa il nome di 3/4 ditte abilitabili, poi abbiamo scelto la ditta ics perché per noi è figlia alla gallina bianca“.

Ora, nemmeno quella foglia di fico. “Abbiamo consultato il Mepa e abbiamo scelto la IBI”, così dicono, in sostanza, dal comune di Aversa.

Non crediamo, infatti, che molto di più ci sia nell’affidamento originario rispetto a questo strettamente assertivo, esposto nell’atto che attribuisce l’aggiudicazione all’impresa fondata dai Bretto di più di 400 mila euro iva inclusa, 360 mila euro netti, che rappresentano il 20% del milione e 600 mila e passa euro che poi, contestualmente, nello stesso atto amministrativo, diventano quasi 1 milione e 800 per sopraggiunte spese tecniche impreviste, fronteggiate con i soldi del finanziamento citato che ammonta a circa 2 milioni e 400 mila euro.

Sempre alla ricerca del fulcro della storia, dell’essenza, della questione delle questione, ribadiamo ancora come il problema non è rappresentato dal fatto che l’affidamento di questi lavori sia finito ad un’impresa appartenente alla filiera dei Bretto, cognome che non è rimasto impresso nella storia della camorra solo in quanto “Antonio Bardellino eccetera…”.

Se fosse stato così, oggi non staremmo a questionare su questa evidenza onomastica, in quanto troppo datata.

Ma il cognome Bretto è comparso molto recentemente in dichiarazioni di collaboratori di giustizia come Nicola Schiavone, figlio di Francesco Schiavone Sandokan, il quale, in un interrogatorio riportato integralmente in un nostro articolo (CLICCA E LEGGI) ha detto che con i Bretto il clan aveva raggiunto un equilibrio, al punto che noi abbiamo aggiunto, nel corpo di quell’articolo, che questa pace, questa concordia chiudeva una vicenda centrale nella storia delle “nostre camorre”, visto che l’omicidio (o il presunto omicidio) di Antonio Bardellino segnò nel 1988, assieme all’assassinio di Paride Salzillo, nipote del superboss di San Cipriano, il passaggio di consegne tra la vecchia camorra e la nuova camorra che in quell’area si segnò con il nome di clan dei Casalesi.

Le dichiarazioni sulla posizione serena, sull’agibilità dei rapporti con i Bretto non le abbiamo, dunque, rilasciate noi di CasertaCe, bensì Nicola Schiavone. E queste sono state scritte, certificate, sacramentate in verbali che nell’articolo che vi abbiamo invitato a leggere troverete in versione integrale in calce allo stesso come copia conforme dell’ordinanza in cui furono inserite.

Per la seconda volta (meriteremmo tante bacchettate sulle mani dai nostri lettori) riannodiamo il filo del discorso minato dalle nostre divagazione, dai nostri incisi, causati dalla passione per le ricostruzioni storiche che relazionano il cognome Bretto alla camorra che ha comandato negli anni Novanta, nel 2000, ma anche dopo.

Si dirà, ma la Prefettura cosa ha fatto? Beh, la prefettura di Caserta, soprattutto le strutture interne costituite dai viceprefetti, dai dirigenti e dai funzionari, ha fatto sempre poco e niente sul fronte del controllo delle infiltrazioni più o meno camorristici negli uffici pubblici di questa provincia. Lo abbiamo sempre scritto, lo scriviamo oggi e sempre lo scriveremo se non ci sarà una reale modifica, una reale inversione di marcia.

Ad esempio, per questa IBI srl è bastato che un nome e un cognome (quelli di Giuliano Di Fuccia) ne sostituissero un altro nome e un altro cognome (quelli di Livio Bretto), lapalissianamente visibile in una visura storica, per farne perdere o far finta di perderne le tracce.

Cercheremo di trovare la determina di aggiudicazione, giusto per capire quale sia stato il ribasso pro-forma, quella sorta di barzelletta raccontata negli atti amministrativi, rispetto ad una scelta, per effetto della riforma del Codice degli Appalti, totalmente nelle mani dei dirigenti e di chi li ispira politicamente.

Vi diciamo solo una cosa. Sapete qual è il capitale sociale della Ibi srl, totalmente nelle mani del signor Di Fuccia che ne è anche amministratore? 12 mila euro.

Dunque, una società con 12 mila euro di capitale che, per effetto di una follia normativa, entra nel cosiddetto Mercato della pubblica amministrazione e nel novero di quelle abilitate a ricevere anche affidamenti milionari. Pure quest’ultima cosa appena scritta la dovremo studiare in profondità una volta e per tutte. Perché se un organo di livello nazionale è gestito con questo allegro relativismo va denunciato senza se e senza ma.

Un milione e 600 mila euro che diventano 1 milione e otto ad un’impresa unipersonale, anzi, peggio ancora, ad una società unipersonale con il nome di amministratore che coincide con quello di unico socio.

Volete sapere, poi, a proposito di candidabilità garantita dal governo nazionale attraverso il Mepa, quanti sono i dipendenti della Ibi fondata dalla famiglia Bretto ad oggi, 5 ottobre? Uno solo.

Ecco perché noi ci occupiamo di queste cose oggi ancor più di ieri. La Ibi è a posto con i documenti antimafia, ma anche ciò, alla luce di quanto scritto prima, potrebbe essere un problema o comunque non è il problema principale.

Perché un dirigente comunale intellettualmente onesto, Mepa o non Mepa, non sceglie un’impresa simile per un affidamento da un milioni e sei, poi un milione e otto, un’impresa con 12 mila euro di capitale sociale, un solo dipendente e un solo proprietario.

Quello che porta la fascia ad Aversa e il suo degno vice, Marco Villano, invece di riempirsi la bocca con la parola legalità (che non sanno nemmeno cosa sia), piuttosto rispondano nel dettaglio, misurandosi con questi argomenti serissimi, evitando le stupidaggini depistanti e depistatorie sul giornalismo criminale e simili.

Si misurino, ripetiamo, con i temi sollevati da questo articolo, simili o sovrapponibili a quelli sollevati da centinaia, forse migliaia di articoli pubblicati da CasertaCe.

Tutto questo avviene nel circo rappresentato dalla provincia di Caserta. Un circo senza regole e con il solito arbitro, che ci piace citare alla fine di ogni articolo che tratta gli appena esplorati argomenti, con la bocca spalancata e gli occhi verso il cielo, impegnato a cercare farfalle o, in alternativa, a guardare le mosche.

qui la “straordinaria” visura camerale storica di Ibi srl

qui, invece, la determina