CAMORRA E RICETTAZIONE. I tentativi del titolare della Tenuta Adinolfi di non far collocare mezzi e merce rubati nei suoi terreni. Munno coinvolge i propri genitori e ad Adinolfi fa una “proposta indecente”

18 Ottobre 2024 - 14:42

E’ l’imprenditore della ristorazione, infatti, allo scopo di liberarsi delle guaine bituminose rubate a mettere a disposizione il suo camion per trasportare presso l’abitazione di famiglia dell’ex assessore di S. M. CV. Ed è questo, probabilmente, il motivo per cui …

CAPUA (g.g.) Da quello che emerge da una lettura un po’ più approfondita rispetto ai nomi più importanti degli indagati, coinvolti nell’inchiesta sulla nuova frangia del clan dei Casalesi che si stava ricostituendo sotto la guida del boss Antonio Mezzero, scarcerato a luglio del 2022 dopo 24 anni di reclusione, ossia l’imprenditore santangiolese Andrea Adinolfi, patron di Tenuta Adinolfi, e l’ex assessore comunale sammaritano Carmine

Munno, si colgono alcuni aspetti fondamentali che completano e doverosamente integrano ciò che laconicamente il gip in base alla richiesta della Dda, declina nei capi d’imputazione provvisori I, K

Adinolfi, con grande probabilità, era al corrente di come operava il gruppo criminale capitanato da Davide Grasso ma da quello che abbiamo capito dalla lettura dal capo d’imputazione, K,  che lo vede indagato insieme ai già citati  Munno, Grasso e Zmakai Flori  per il reato di ricettazione in concorso, aggravato dall’aver favorito gli interessi del clan Mezzero, ai sensi dell’articolo 416 bis comma 1 già articolo 7 della legge 203/91 è che l’imprenditore ha cercato, obiettivamente perché questo risulta dai comportamenti, registrati dagli inquirenti e inseriti nel racconto dell’ordinanza,  di  non farsi coinvolgere attraverso l’utilizzo della sua proprietà per il ricovero degli automezzi rubati, nello specifico due autocarri ed un trattore, unitamente a 150 balle bituminose rubati dagli uomini entrambi stranieri al servizio del presunto camorrista e sicuramente pregiudicato Davide Grasso.

Questi, più volte, cosciente anche del pericolo che stava correndo, si  reca sull’area dove poi sarebbe stata trovata la refurtiva, in compagnia dei due stranieri, pregiudicati, sapendo di rischiare l’associazione mafiosa qualora malauguratamente fossero stati sorpresi dalle forze dell’ordine, al fine di rappresentare i pericoli e le condizioni da rispettare all’albanese che si sarebbe dovuto occupare di una collocazione sicura e per lui non rischiosa della refurtiva. Ciò emerge chiaramente da un0intercettazione effettuata nell’Auto in cui Grasso viaggia insieme a Carmine Munno e allo straniero. In questo giro Grasso indica con precisione assoluta, topografica, il luogo dove dovrà essere collocata la refurtiva. Lo straniero, diffidente, no si distrae tanto a parlare ma si guarda in giro e nota una telecamera ed è a quel punto che interviene Munno, mostrando grande conoscenza e confidenza con la zona, al fine di tranquillizzare i suoi interlocutori dicendogli di non preoccuparsi in quanto la videocamera che insistente sull’area è di proprietà comunale e per giunta non funzionante. Grasso indica al suo interlocutore, al suo uomo di fatica, di probabile origine albanese, il parcheggio della tenuta dicendogli che se vuole può spingersi anche fin li per ricoverare i mezzi e l’altra refurtiva rubati.  Ma a quel punto, ancora una volta, Munno interviene facendo notare la pericolosità della scelta di arrivare fino al limite dell’area individuata, per Adinolfi, in quanto ciò avrebbe potuto complicare e rendere pericolosa la posizione di Andrea Adinolfi qualora la sua attività fosse stata interessata da un controllo delle forze dell’ordine cosa che effettivamente sarebbe accaduta di li a poco, precisamente,   il 6 marzo del 2023, quando i carabinieri della compagnia di Capua trovano proprio nell’area antistante alla proprietà di Adinolfi i tre mezzi proventi di furto.

Analogamente a questo episodio l’imprenditore santangiolese è protagonista anche di un secondo. Questa volta non si tratta di mezzi ma di 150 balle bituminose anche queste rubate. Si tratta di quelle strutture si solito molto costose che vengono utilizzate per coimbentare i terrazzi delle case per metterle al riparo dalle infiltrazioni d’acqua.  Questa volta è Munno a coinvolgere personalmente l’imprenditore capuano dicendo di avere necessità di occultare per un breve periodo la merce presso la sua proprietà.  Ma stavolta Munno non usa la stessa cautela che aveva chiesto di usare a Davide Grasso e al suo assistente criminale, ma è lui stesso a chiedere ad Adinolfi la disponibilità di ricovero presso la sua struttura. Adinolfi fa notare all’ex assessore che, però, le condizioni atmosferiche del tempo non avrebbero giovato alla conservazione del materiale consigliandogli l’utilizzo di un luogo chiuso. Insomma, anche in questo caso si ha la sensazione che Andrea Adinolfi si voglia “togliere di mezzo” dai rischi di diventare esso stesso complice di un’attività di ricettazione.  Ed è così che il Munno decide di spostare la merce, in un luogo al chiuso, che poi, durante questo periodo aveva lui stesso acquistato dal gruppo criminale pagando 2mila euro ossia un prezzo sicuramente più basso rispetto al calore di mercato. Ma il fatto che fosse stato Munno a comprare non annullava il vizio ossia l’origine furtiva della stessa e questo, forse, Andrea Adinolfi lo sapeva bene.  Per il trasporto della stessa da un posto all’altro Munno ha però bisogno di un mezzo che seppur vecchio e malfunzionante viene messo a disposizione, perché di sua proprietà, dal ristoratore. Ed è questo forse il motivo, come si diceva, della chiamata in concorso di correità per il reato di ricettazione collegato sempre ad un’attività che comunque favoriva gli interessi economici di Davide Grasso e del suo clan camorristico

Il trasporto è effettuato da due stranieri seguiti, a bordo della sua auto, da Grasso. Giunti alla destinazione indicata da Munno, a pochi chilometri di distanza dalla Masseria Adinolfi, Grasso chiama Munno e gli chiede di contattare i proprietari dello stabile per farsi aprire il cancello, invitandolo ad essere veloce in quanto è già da un po’ che sosta davanti all’abitazione. Munno si attiva e contatta telefonicamente i proprietari dello stabile. Dalle verifiche effettuate dai carabinieri l’utenza risulta essere intestata alla madre del Munno e a rispondergli dall’altra parte del telefono è la sorella Patrizia. Munno sollecita questa all’apertura del cancello dell’abitazione di cui sono proprietari proprio i suoi genitori dicendole che alcune persone devono effettuare il deposito di certo materiale, sottolineando, da lui acquistato.