CAMORRA, POLITICA E CEMENTO. “Il sindaco Pasquale De Lucia gestiva con noi i soldi degli appalti e si occupava dei clan del suo paese. Ecco come truccavamo le gare”

13 Settembre 2021 - 11:37

Si tratta del più recente verbale di interrogatorio del collaboratore, datato 8 giugno. In questi giorni il tribunale ha accolto l’istanza del pubblico ministero Maurizio Giordano e l’ha aggiunto all’elenco dei testimoni dell’accusa. Dunque sarà ascoltato, naturalmente in videoconferenza, attraverso l’esame in cui risponderà alle domande che gli formulerà il pm e in controesame, rispondendo alla difesa. Ne avevamo fatto cenno, promettendovi di scovarlo da qualche parte per leggerlo e illustrarlo nel dettaglio, in un articolo da noi scritto il 20 giugno. Promessa mantenuta: ci sono spunti interessanti riguardanti anche il rapporto tra il figlio di Sandokan e l’imprenditore di Casal di Principe, Fabio Oreste Luongo detto Trusiano, co-imputato nel processo a De Lucia. Importantissima per noi la narrazione di dettaglio su come venivano orientate le gare al massimo ribasso e ancor più facilmente quelle ad offerta economicamente più vantaggiosa o migliorativa che dir si voglia

 

CASAL DI PRINCIPE(g.g.) Lo scorso 20 giugno (CLIKKA E LEGGI

) abbiamo pubblicato un articolo che, partendo da alcune scarne informazioni, arrivateci “di stramacchio” da un’aula di tribunale, esprimevamo un nostro punto di vista sulle ricostruzioni, realizzate dal collaboratore di giustizia Nicola Schiavone, sui rapporti tra lui, dunque tra il clan dei casalesi e l’ex sindaco di San Felice a Cancello, nonchè ex consigliere regionale ed ex presidente del consiglio provinciale Pasquale
De Lucia
.

Certi dubbi e certe perplessità sulle ricostruzioni di Nicola Schiavone li abbiamo esposti e dunque è perfettamente inutile ritornarci, visto e considerato che basta accedere, da link in alto, al già citato articolo dello scorso 20 giugno.

Siamo riusciti, successivamente, a leggerli questi verbali depositati dalla Dda proprio nel processo che si sta celebrando davanti a un collegio del tribunale di Santa Maria Capua Vetere, a carico dello stesso Pasquale De Lucia ma anche nei confronti della sua amica strettissima Rita Di Giunta da Castel Volturno, di Antonio Zagaria, fratello minore del boss Michele Zagaria, dell’ex segretario comunale di San Felice a Cancello Alfredo Pane e dell’imprenditore di Casal di Principe Fabio Oreste Luongo, in passato anche consigliere comunale nel suo paese. Atti che hanno trovato riscontro in questi giorni nella decisione del tribunale di aggiungere Nicola Schiavone alla lista dei testimoni dell’accusa in cui non era presente ad inizio processo in quanto la sua collaborazione con la giustizia non era iniziata.

Per cui, è arrivato il momento di entrare nell’ambito di una esposizione meramente cronistica, di esporre cioè i concetti affiorati da quell’interrogatorio, peraltro molto recente e che precede di pochissimi giorni (verbalizzato l’8 giugno 2021) il momento in cui è stato depositato negli atti del processo.

Intanto, Nicola Schiavone ribadisce, per l’ennesima volta, di aver avuto un ruolo criminale subito importante all’indomani dell’arresto di suo padre, Francesco Schiavone Sandokan che ricordiamo fu catturato nel luglio del 1998. Questo ruolo si sarebbe sviluppato anche e soprattutto nella organizzazione di quei meccanismi che permettevano al clan dei casalesi di andare al di la della semplice riscossione estorsiva, praticata ai danni delle imprese impegnate nel settore dei lavori pubblici. Un vero e proprio sistema imperniato, secondo Nicola Schiavone, su quelli che lui definisce “cartelli”.

Cosa sono questi cartelli? Ognuno accoglieva un numero più o meno variabile di imprese edili che venivano incaricate dal clan di partecipare alle gare d’appalto che i vari comuni bandivano. Per cui, era il clan, secondo Nicola Schiavone, la centrale organizzativa in grado di monitorare l’intera dinamica delle ingenti risorse che i comuni e gli altri enti locali iniettavano negli appalti dei lavori pubblici.

Questo cartello di imprese entrava nella procedura e magari vi entrava con più soggetti apparentemente in concorrenza tra loro. Dopodiché – e questo noi lo consideriamo un fatto molto importante, poi vi diremo il motivo – se “si lavorava” in una gara d’appalto con un bando che prevedeva l’assegnazione al “massimo ribasso“, veniva usato, secondo il racconto di Nicola Schiavone, un metodo per controllare ed orientare l’esito: “Utilizzavamo – ciò Nicola Schiavone dichiara nell’interrogatorio dello scorso 8 giugno, reso al cospetto del pm della Dda Maurizio Giordanoil metodo delle buste bianche, che consisteva nell’apertura delle buste di gara, nel calcolo delle percentuali legale alle offerte e poi nella compilazione, a calcolo effettuato, delle singole offerte, parametrate secondo i calcoli matematici che poi portavano al vincitore.”

Dunque, aggiungiamo noi a commento esplicativo di queste parole: o tutti i partecipanti alla gara d’appalto attribuita col sistema del massimo ribasso appartenevano al cartello e allora non c’era alcun problema per il clan dei casalesi nel conoscere le singole offerte di ribasso presentate, ricavarne, per ognuna, la percentuale e fare in modo di governare e orientare l’aggiudicazione dove meglio veniva ritenuto. Se, invece, al bando rispondevano le imprese del cartello ma anche ditte diverse, allora o il ribasso della ditta estranea al cartello veniva comunicato da questa ad una delle imprese vicine al clan, oppure qualche manina in municipio faceva in modo di dare una sbirciatina prima e di comunicarlo alla camorra.

Se, invece, la gara era bandita e veniva aggiudicata con il sistema della cosiddetta “offerta economicamente più vantaggiosa” o, in maniera più semplice, come la definisce lo stesso Schiavone, dell’offerta migliorativa, allora un quasi sardonicamente sorridente figlio di Francesco Schiavone Sandokan, afferma che truccare ed orientare un appalto risultava ancora più semplice, perchè  ci pensavano i componenti della commissione che facevano parte del personale degli uffici tecnici dei comuni, a compiere il lavoro sporco, nella valutazione della cosiddetta offerta tecnica che rappresentava e rappresenta una componente fondamentale di valutazione in questi particolari procedimenti amministrativi. Schiavone parla letteralmente di collusioni del clan dei casalesi con le stazioni appaltanti, finalizzati allo scopo di creare i bandi che poi avrebbero consentito di restringere il perimetro dei partecipanti, facilitando infine quel lavoro sull’offerta tecnica di cui abbiamo scritto prima.

Vi dobbiamo una spiegazione sull’importanza di queste parole di Nicola Schiavone. Fu detto, ai tempi in cui entrò nella normativa vigente, l’istituto dell’aggiudicazione degli appalti attraverso l’offerta economicamente più vantaggiosa o migliorativa che dir si voglia, che questa avrebbe rappresentato una modalità in grado di combattere ed abbattere la corruzione nei procedimenti di assegnazione delle gare. Si disse che non essendo più decise queste, dalla semplice offerta economica, certi giochetti in busta sarebbero finiti.

Noi dal momento in cui abbiamo raggiunto l’età della ragione, abbiamo detto che un discorso del genere può andare bene in un paese in cui il tasso di corruttività dei componenti della pubbliche amministrazioni, è sotto controllo, quand’anche fisiologicamente esistente. In Italia, nel sud in particolare, dove la disponibilità ad imbrogliare una gara, un affidamento, un concorso per assunzioni, è diffusissima, è completa, gli imbrogli si sono spalmati continuando a toccare l’aspetto dell’offerta al ribasso che pure sopravvive a questa procedura, ma estendendosi alla valutazione delle offerte tecniche che sono prerogativa nei componenti della commissione, il più delle volte comprati, il più delle volte ammaestrati prima sull’identità di chi la gara la dovrà vincere.

Per quanto riguarda, invece, il rapporto con Pasquale De Lucia, l’ex capo camorra pronuncia parole forti: “E’ una persona con la quale noi del clan eravamo soliti colludere e ci garantiva, attraverso le figure dei tecnici comunali, l’aggiudicazione ad imprese da noi designate, in cambio di denaro.

Non solo: a dimostrazione di questa intensità di rapporto, Schiavone dice che De Lucia veniva lasciato libero dal clan, quando esistevano accordi sui lavori, di trattenersi una quota che consegnava alle famiglie dei detenuti camorristi di San Felice a Cancello.

Fabio Oreste Luongo è imputato nel processo su camorra e appalti nel comune governato per tanti anni da Pasquale De Lucia e su questa persona Nicola Schiavone ritiene di poter esporre dei dettagli molto approfonditi. Racconta di essere stato un suo amico stretto, un quasi coetaneo suo e del fratello Walter, che hanno frequentato la stessa scuola e che questo rapporto aveva in qualche modo, indotto gli Schiavone a superare le diffidenze, nutrite nei confronti di Franco Luongo, accomunato al figlio dal soprannome Trusiano, che, sempre ad avviso di Nicola Schiavone, era un imprenditore in rapporti strettissimi con la famiglia Bidognetti con cui costituiva società di fatto.

A differenza di suo padre, Fabio Oreste Luongo si muoveva a spettro più largo, partecipava cioè a gare in tutta la provincia (non a caso oggi è imputato per un presunto meccanismo criminale connesso anche ad Antonio Zagaria, fratello di Michele Zagaria) e dialogava dunque con tutti i cartelli criminali, a partire da quello degli Schiavone. Al riguardo sarebbe stato oggetto delle riunioni che venivano organizzate proprio da Nicola Schiavone “per parlare delle strategie imprenditoriali di coloro che facevano parte dei cartelli da noi designati”.

Dunque, anche Luongo “Trusiano” apparteneva al cartello di Nicola Schiavone insieme ad altri imprenditori, due dei quali vedono coperta la loro identità nel verbale depositato nel processo, dalla rituale formula dell’omissis.