“CARO AMICO, TI SCRIVO”. La lettera autografata: ecco come fu organizzata da Cicciariello la super bacchetta per tranquillizzare Sebastiano Caterino

18 Dicembre 2021 - 18:12

VI RACCONTIAMO COME FU COMMENTATA AGLI IACP DI SANTA MARIA CAPUA VETERE DALLO STESSO CATERINO AL COSPETTO DI PASQUALE FAVA. Negli anni si è sempre parlato della bugia relativa alla finta pace offerta all’Evraiuolo per tranquillizzarlo e quindi rendere più facile l’agguato. Non conoscevamo i dettagli, però La riunione a cui parteciparono tutti i capi del clan dei Casalesi e in cui la lettera -con già da tempo in corso l’organizzazione dell’omicidio – fu scritta e consegnata alla madre di chi già dal 1991 era stato condannato a morte

CASAL DI PRINCIPE (g.g.) – Quando la bacchetta diventa un’arte. In questo caso un’arte nera, criminale, ma che esprime una modalità peculiare tipica del clan del Casalesi. C’è una particolare attitudine nell’Agro aversano a sfruttare quella che potremmo definire un’intelligenza ignorante, qualcosa che, a scriverla così, è decisamente un ossimoro finanche clamoroso.

Quando si leggono fatti come quelli presenti nello stralcio – che pubblichiamo oggi – della recente ordinanza, la terza su questo specifico fatto criminale, non possiamo non ricordare che la storia del clan dei Casalesi non è connotato solamente dalla mattanza di centinaia di omicidi, stragi e ferimenti, da introiti realmente superiori al miliardo di euro, derivati dalle primarie attività estorsive e poi reinvestiti in ogni dove, nelle filiere alimentari più importanti e dei generi di necessità, nei giochi d’azzardo da bar, soprattutto nel mattone. No, la storia dei Casalesi è fatta anche di una dialettica nella quale sono risultati particolarmente abili i componenti più importanti della

famiglia Schiavone, che consentì a Francesco Sandokan nel 1988 di trovare le parole e di convincere Mario Iovine su cose che poi non erano andate esattamente come raccontato sull’omicidio del fratello di quest’ultimo che, però, ne rimase persuaso al punto da prendere un’aereo, andare in Brasile per ammazzare Antonio Bardellino, il boss più in vista di quella Nuova Famiglia, del consorzio di tutti i clan della camorra consolidatasi negli anni Settanta che, dopo un’autentica mattanza vinse la guerra contro la Nuova Camorra Organizzata di Raffaele Cutolo. Quell’omicidio, sentenze definitive alla mano, avvenne, anche se il cadavere di Bardellino non fu mai trovato, aprendo il varco a revisioni più o meno improbabili, a rivelazioni non confermate, dato che si conosce, tra le caratteristiche dei più importanti clan malavitosi del mondo, quella di aggiungere alla propria capacità di uccidere, anche quella, all’occorrenza, di far sparire i cadaveri.

Tutti questi pensieri sono tornati alla mente quando quest’ultima ordinanza ha dato contenuto a ciò che si sapeva in linea generale e in linea di massima. E cioè che i capi del clan dei Casalesi, ad ottobre del 2003, si incontrarono ad inizio mese ed idearono, per l’appunto, una tipica bacchetta.

Francesco Cicciariello Schiavone, cugino diretto di Sandokan, era latitante e guidava da Casal Di Principe il clan, coadiuvato da Michele Zagaria e Antonio Iovine, con Peppinotto Caterino quale immediato rincalzo. In quel di Santa Maria Capua Vetere, Sebastiano Evraiuolo Caterino, si stava “allargando” moltissimo, con l’idea forse di divenire lui il leader della criminalità organizzata nella città del Foro, soppiantando proprio la famiglia Schiavone e i suo antichi ascari, costituiti dalla famiglia Del Gaudio, detti dei Bellagiò. Caterino L’Evraiuolo non era un target qualsiasi, trattandosi a sua volta di uno spietato killer, capace prima di colpire di strisciare senza produrre alcun rumore tra l’erba (da qui il suo soprannome), come solo gli uomini dei commandos speciali sanno fare. Caterino era stato storicamente in contraddizione con il clan dei Casalesi propriamente detto, essendo schierato prima con Bardellino e successivamente con la famiglia De Falco, dopo l’omicidio del loro capo, Vincenzo De Falco, durante tutta la sanguinosa guerra che sancì, nei primi anni Novanta, la vittoria definitiva dei giovani boss, di Sandokan Schiavone e Francesco Bidognetti, con Zagaria e Iovine già in ascesa.

Proprio per questo motivo, già a partire dal 1991, Sandokan ne aveva decretato la condanna a morte, che l’evraiuolo riuscì ad evitare rendendosi quasi invisibile e tornando in campo una decina di anni dopo, quando si era stabilito nel molto problematico quartiere IACP di Santa Maria Capua Vetere. Si diceva che Caterino utilizzasse addirittura un’auto blindata. E dunque quando il 4 ottobre, manco a dirlo, proprio nel giorno del suo onomastico, Cicciariello Schiavone riunì i vertici del clan a casa del ben noto imprenditore di San Cipriano d’Aversa Di Sarno, tutti eraqno consapevoli che l’eliminazione di Sebastiano Caterino sarebbe stata un’operazione tutt’altro che semplice. Da quando seguiamo i fatti giudiziari relativi a quell’agguato, abbiamo più volte intercettato la notizia della scelta strategica, più che altro bacchettara, dei capi di Casal di Principe, San Cipriano e Casapesenna di provare a tranquillizzare Caterino, facendogli capire che la condanna a morte del 1991 fosse acqua passata. Forse ci siamo distratti, ma non avevamo mai appreso i dettagli attraverso cui la strategia fu realizzata.

Cicciariello Schiavone prese carta, penna e calamaio e scrisse una lettera a Sebastiano Caterino. La firmò con le sue iniziali e chiusa con la frase “Tuo amico, Ciccio“, con successiva consegna alla madre di Caterino, così come riferiscono i collaboratori di giustizia presenti a quella riunione, insieme a tanti altri i cui nomi potete leggere nello stralcio dell’ordinanza che pubblichiamo in calce. Verrebbe da dire: meno male che era amico.

Da “amico” Cicciariello fu, insieme a Iovine e Zagaria, l’ideatore di uno degli agguati più e meglio organizzati della storia di questo clan, con un enorme dispiego di uomini e mezzi, che cominciarono a lavorarci già dall’estate, ben prima della stesura della lettera. E meno male che era amico Cicciariello. In caso contrario, che avrebbe fatto, la guerra mondiale? Vista e considerata la quantità enorme di proiettili esplosi in pochi istanti in via dei Romani il 31 ottobre 2003, a pochi metri di distanza dal sottopasso che immette nel rione Iacp.

Su questa vicenda, oltre ai pentiti, i magistrati della Dda hanno interrogato anche Angela Viviani, convivente al tempo di Sebastiano Caterino, la quale ha confermato, anche per averlo appreso dalla madre di Caterino, la quale consegnò la lettera al figlio e che dopo l’omicidio si chiuse in un totale silenzio, che la lettera fu recapitata al suo compagno. L’evraiuolo, però, conoscendo gli usi e i costumi dei suoi storici nemici, non credette ad una sola parola, al punto da commentare, al cospetto di Pasquale Fava, uno dei suoi fedelissimi di Santa Maria Capua Vetere, che quella lettera offriva una finta pace e che in realtà era “un biglietto di morte”.