CASERTA. BRASILIANI A MADDALONI. Ecco perchè la Cassazione ha deciso che MICHELE MARAVITA deve rimanere in carcere

28 Dicembre 2018 - 16:47

CASERTA/MADDALONI(m.v.) Il 21 aprile scorso Michele Maravita è rimasto coinvolto nella nota inchiesta sui brasiliani residenti a Maddaloni, che vedeva indagati, tra gli altri, il funzionario dell’ufficio Anagrafe del comune calatino, Giuseppe Cembrola.

Maravita, 31 anni, genero del boss di Caserta Antonio Della Ventura, è attualmente detenuto. Il suo legale ha presentato ricorso in Cassazione contro l’ordinanza dello scorso 15 maggio, con la quale il tribunale del Riesame di Napoli, ha confermato l’arresto in carcere per il 31enne, disposto da un giudice per le indagini preliminari del tribunale di Santa Maria Capua Vetere.

Maravita è accusato di favoreggiamento dell’immigrazione clandestina, corruzione e falsificazione documentale: per la procura, si occupava di reperire alloggi ai brasiliani che erano in attesa del rilascio della carta d’identità da parte del comune di Maddaloni, con la quale sarebbero poi entrati in Gran Bretagna, dove avrebbero ottenuto agilmente il permesso di soggiorno, grazie a quella cittadinanza italiana iure

sanguinis, basata su una falsa documentazione. Il tutto, ovviamente, pagando una certa somma di danaro.

Per l’accusa, Maravita corrispondeva poi al funzionario Cembrola quanto pattuito ed individuava i nuclei familiari presenti a Maddaloni, cui abbinare i brasiliani.

In ordine alle esigenze cautelari – scrivono gli ermellini nella loro sentenza – la motivazione dell’impugnata ordinanza si sottrae a censure valutabili in sede di legittimità. Il Tribunale ha opportunamente messo in evidenza che, in ragione del tipo di contestazione, vige la doppia presunzione relativa, di sussistenza delle esigenze cautelari e di adeguatezza della custodia cautelare, aggiungendo che non risultano dati di fatto che possano superare le presunzioni.

In particolare ha rilevato che la confessione, meglio definita come tardiva ammissione di responsabilità, non può giovare al superamento delle presunzioni appunto perché, in ragione del modo e dei tempi in cui è avvenuta, non è apprezzabile quale indice di una effettiva resipiscenza, – concludono – anche in ragione dell’assenza di un contributo in punto di ricostruzione degli addebiti.

Il ricorso, dunque, è stato respinto dalla Suprema Corte e Maravita è stato condannato al pagamento di 3 mila euro in favore della Cassa delle ammende. Il provvedimento gli è stato notificato in carcere.

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